Il campanile dell’UC Berkeley, in California
L’estate scorsa, di ritorno dall’orto botanico di Berkeley, raggiungibile dal campus dopo un’irta salita, mi resi conto che era tardi e che avrei potuto perdere il bus che avevo già prenotato e che mi avrebbe riportato all’UC Davis, università decisamente più “rurale”, in cui risiedevo. Una breve sosta per assaporare l’aria della UC Berkeley e, all’improvviso, un urgente bisogno fisiologico. Vedo il primo edificio che mi capita sott’occhio (qui in basso) ed entro velocemente alla ricerca del bagno, che fortunatamente trovo.
Il bus sarebbe partito dopo mezz’ora dal piazzale sottostante ma, perlomeno, ero più tranquillo da altri punti di vista. Prima di uscire, mi rendo conto di essere in un edificio importante: aria tranquilla e solenne, parcheggi riservati a premi Nobel all’esterno, studenti eleganti. Si trattava difatti della Tan Kah Kee Hall, edificata grazie ai finanziamenti di parenti e amici di Tan Kah Kee, un illuminato riformatore della Cina (foto qui in basso).
Nella sala di ingresso, una vetrinetta attrae la mia attenzione perché mi sembra un’edicola votiva dedicata ad un santo. E il santo in questione, con mia grande sorpresa, era nientemeno che Melvin Calvin, lo scopritore delle reazioni di fissazione dell’anidride carbonica nella fotosintesi clorofilliana (diede infatti il nome al famoso Ciclo di Calvin, raffigurato qui in basso).
Rimango stupito, più che altro per l’incredibile combinazione: unico pomeriggio all’UC Berkeley, ad esclusione di un concerto di Willie Nelson e Alison Krauss a cui avevo assistito nel 2015 nel Greek Theater dell’università, faticosa visita ai magnifici giardini botanici con tanto di sequoie, entrata necessaria e frettolosa nel primo edificio che mi capita, tra le decine che ci sono, e infine mi ritrovo davanti alle onorificenze di Calvin, il mio mito, per me che sono biologo e mi interesso di piante! Faccio qualche foto alla vetrina, senza capire molto, ed esco alla ricerca del bus, che prendo per un pelo. Con calma, oggi, a quasi un anno da quel giorno, rievoco questi bei ricordi e approfondisco la vita di Calvin, non tanto per capire le reazioni della fotosintesi, che insegno ogni anno ai miei studenti, ma per dipanare il mistero di tutte quei premi e diplomi là in esposizione (alcuni di essi li vedete qui in basso).
Melvin Calvin nacque a St. Paul, Minnesota, l’8 aprile 1911, da genitori emigrati russi. Nel 1931 conseguì la laurea in Chimica presso il Michigan College of Mining and Technology, seguita dal dottorato in Chimica all’Università del Minnesota nel 1935 con una tesi sull’affinità elettronica degli alogeni, sotto la guida del professor George A. Glocker. Tra il 1935 e il 1937 trascorse un periodo post-dottorale di due anni con il professor Michael Polanyi all’Università di Manchester, Inghilterra. Qui si sviluppò il suo interesse per la catalisi di coordinazione, in particolare per le metalloporfirine. Questo interesse ha avuto conseguenze sia teoriche (la chimica dei composti chelanti i metalli) che pratiche (composti chelati sintetici portatori di ossigeno). Iniziò la sua carriera accademica presso l’Università della California, a Berkeley, nel 1937 come assistente, diventando professore a pieno titolo nel 1947. A Berkeley, su invito del professor Gilbert N. Lewis, il suo interesse si orientò sugli aspetti teorici generali della struttura e del comportamento molecolare organico. Durante questo periodo, pubblicò due opere di rilievo: la prima con il professor Gilbert N. Lewis intitolata “Il Colore delle Sostanze Organiche”, la seconda con il professor G.E.K. Branch trattava “La Teoria della Chimica Organica”. È stato grazie a questi due mentori che in lui si sviluppò un interesse sul comportamento delle molecole organiche nei loro meccanismi più dettagliati. Questo interesse, unito alla precedente ricerca sul comportamento catalitico dei composti di coordinazione, stimolò la dedizione al problema della fotosintesi. L’introduzione del carbonio-14, a partire dal 1945, canalizzò i primi lavori nello sviluppo di tecniche per il suo utilizzo (carbonio isotopico) e la sua applicazione all’esplorazione della riduzione dell’anidride carbonica nella fotosintesi (il percorso del carbonio nelle reazioni al buio della fotosintesi). Dal 1946 ha diretto il gruppo di chimica organica presso il Lawrence Radiation Laboratory, che nel 1960 divenne il Laboratorio di Biodinamica Chimica. Nel 1961 ricevette il Premio Nobel per la Chimica per il suo ruolo nel decifrare come le piante utilizzano clorofilla e luce solare per convertire anidride carbonica e acqua nei diversi carboidrati. Dal 1963 fino al suo pensionamento, avvenuto nel 1980, è stato professore di biologia molecolare all’UC Berkeley. Nel 1980, dopo il pensionamento e dopo aver ricoperto il ruolo di direttore associato del Lawrence Berkeley National Laboratory, continuò a servire come consulente per numerose agenzie governative e organizzazioni scientifiche, mantenendo un piccolo gruppo di ricerca fino al 1996.
È stato insignito di numerosi premi, medaglie e cattedre, come potete vedere nelle foto in basso, ed è stato membro di numerose società scientifiche. È stato eletto alla National Academy of Sciences, all’American Philosophical Society, all’American Academy of Arts and Sciences, alla Royal Society di Londra, alla Royal Netherlands Academy of Sciences and Letters e alla German Academy of Scientists, Leopoldina. Ha ricevuto lauree honoris causa in Scienze presso il Michigan College of Mining and Technology, l’Università di Nottingham, l’Università di Oxford e la Northwestern University.
Tralasciando le mie tristi avventure alla ricerca dei bagni della Tan Kah Kee hall, camminando attraverso il campus dell’Università di Berkeley, è probabile imbattersi nella “Round House“, o Calvin Laboratory, un testamento architettonico dedicato alla visione di Calvin. Costruito nei primi anni ’60, l’edificio ha ospitato il gruppo di ricerca di Melvin Calvin per circa metà della sua carriera all’UC Berkeley. Formalmente noto come Laboratorio di Biodinamica Chimica, il gruppo operava in un ambiente di laboratorio aperto progettato per favorire la discussione e la cooperazione tra scienziati di diverse discipline. L’estensione del suo interesse ai problemi generali della biologia è stata inevitabile, e così il suo laboratorio si popolò di scienziati provenienti da tutte le aree della scienza, sia dalla chimica e fisica che dalla biologia. Nella sua autobiografia del 1992, “Following the Trail of Light: A Scientific Odyssey“, Calvin il suo laboratorio descrisse come “uno dei primi e più importanti laboratori interdisciplinari al mondo” che contribuì anche a plasmare la sua visione su come condurre la ricerca. “Non esiste qualcosa come la scienza pura“, scrisse. “Con questo intendo che la fisica incide sull’astronomia da un lato e sulla chimica e biologia dall’altro. La sintesi di un concetto veramente nuovo richiede qualche forma di unione nella mente di aspetti pertinenti di diverse discipline.” Calvin è ricordato, infatti, per aver collegato fisica, chimica e biologia al fine di delineare il percorso del carbonio atmosferico nella fotosintesi. Nel suo discorso per la Medaglia Priestley del 1978, Calvin descrisse il suo interesse di una vita nella fotosintesi artificiale per la conversione dell’energia solare e l’esplorazione delle piante come fonti di carburanti idrocarburici e materie prime chimiche.
Quali furono gli eventi che condussero Calvin al Nobel? Durante il periodo a Manchester, Calvin sviluppò un interesse per i composti metallici coordinati, in particolare le metalloporfirine (come la clorofilla), e per la fotochimica. Dopo il trasferimento in California, il suo pensiero si orientò verso gli aspetti teorici delle strutture organiche, inclusi gli origini del colore. La combinazione di questi interessi contribuì direttamente alla sfida della comprensione della fotosintesi. Nel 1945, Ernest O. Lawrence, direttore del laboratorio di radiologia dell’UC Berkeley, suggerì a Calvin che era “tempo di fare qualcosa di utile” con l’elemento radioattivo 14C. L’isotopo a lunga vita del carbonio era stato scoperto nel 1940 nel ciclotrone di Berkeley. All’inizio del 1946, Calvin presentò una proposta di ricerca per un nuovo gruppo interdisciplinare di biochimica organica. Il gruppo fu quindi ospitato nel Laboratorio di Biodinamica Chimica (la famosa round house) descritto come una struttura di legno decrepita che conteneva uno spazio ampio senza pareti interne – il primo “laboratorio aperto” di Calvin. Il gruppo sfruttò il 14C disponibile come principale strumento per tracciare un percorso chimico (era possibile tracciare questo isotopo del carbonio proprio perché era radioattivo). Calvin e i suoi collaboratori seguirono infatti l’assorbimento nel tempo e il percorso successivo del 14C attraverso il ciclo fotosintetico nelle alghe utilizzando metodi analitici come la cromatografia su carta e la radiografia. Per determinare le complesse reazioni step-by-step, i prodotti finali delle reazioni venivano estratti ed identificati con pazienza. I colleghi di Calvin hanno descritto la sua natura audace nel perseguire idee innovative, la sua abilità nel porre domande importanti e la sua volontà di avventurarsi in nuovi campi di ricerca. Durante la sua carriera, ha esplorato la chimica degli atomi caldi, la carcinogenesi, la geochemica organica, l’immunochemica e persino l’analisi delle rocce lunari come parte della ricerca e per la comprensione di possibili forme di vita lunare.
E com’era Calvin da giovane? Nel 1926, il professore di scienze delle superiori gli disse: “Non diventerai mai uno scienziato perché tiri troppo ad indovinare.” In quegli anni, Calvin era uno studente introverso e curioso alla Detroit Central High School. Dopo aver saltato due classi nella scuola elementare, era più giovane e più piccolo dei suoi compagni di classe. Piuttosto che alimentare la curiosità del giovane Calvin, il suo insegnante di scienze lo rimproverava: “Stai zitto. Non sai di cosa stai parlando, non hai analizzato correttamente i dati.” Ma il ragazzo precoce non smise mai di farsi domande. “Ti dico,” ricordò Calvin in un’intervista, “L’insegnante di scienze mi ha veramente scoraggiato, non motivato. Era uno di quei professori che, come me lo ricordo, considerava la scienza solo come una raccolta di dati da cui tracciare delle conclusioni plausibili. E l’indovinare non giocava alcun ruolo nello sviluppo della scienza.” Ma, come Calvin lo ricordò, “Io ero un grande indovinatore! Mi faceva domande e io indovinavo le risposte. Metà delle volte sbagliavo,” ammise Calvin, “e lui semplicemente mi sminuiva.” Trentacinque anni dopo quei rimproveri, la rivista TIME nominò Melvin Calvin “Mr. Fotosintesi” per la sua ricerca pionieristica che svelò il modo in cui le piante sfruttano la luce solare, l’acqua e l’aria per produrre il loro cibo e, ultimamente, per alimentare tutti gli altri esseri viventi del pianeta.
La storia di Calvin è infarcita degli aspetti della sua rinomata carriera scientifica, dal lavoro post-dottorato con Michael Polanyi in Inghilterra, all’ingresso nel College di Chimica di Berkeley nel 1937, passando per il suo contributo al Progetto Manhattan e alla sua ricerca pionieristica sulla fotosintesi. Ma la potenza della sua storia risiede nelle storie inaspettate, non scientifiche e personali, che rivelano il lato umano ed emotivo dei processi scientifici che, dall’esterno, potrebbero sembrare puramente razionali o apolitici. Calvin ricordò il momento in cui decise di diventare chimico. Fu lo stesso anno della scuola superiore, dal 1926 al 1927, mentre Calvin si trovava nel negozio di alimentari che suo padre lottava per mantenere a galla. La famiglia di Calvin, di classe operaia, non sempre arrivava a fine mese. Gli anni ’20 potevano essere “ruggenti” per alcuni, ma come oggi, un grande e crescente divario separava i ricchi dai poveri. La famiglia di Calvin apparteneva a quest’ultima categoria. “Stava lottando,” spiegò Calvin parlando di suo padre, “e ho lavorato in quel negozio con lui.” All’età di sedici anni, Calvin ricordò, “Mi guardai intorno e vidi che tutto in quel negozio dipendeva in qualche modo dalla chimica, dalle etichette sulle lattine al cibo all’interno, dall’inchiostro alla carta, tutto coinvolgeva la chimica.” La lotta del padre per la sicurezza economica plasmò il giovane Melvin Calvin. “Io non avrei fatto quello,” concluse. “avrei fatto qualcosa di interessante che mi desse da vivere allo stesso tempo.”
La chimica sarebbe diventata la carriera di Calvin, ma lui bramava ottenere più della sola scienza. Gli sport non gli andavano bene, quindi alle superiori si unì alla squadra di dibattito, e “facevo teatro, sai, cose drammatiche. … Abbiamo messo in scena Sogno di una notte di mezza estate e io interpretavo [Nick] Bottom.” A quel tempo, Calvin confessò, “ero paffuto, sai … quindi ho interpretato Bottom per motivi ovvi!” La trasformazione asinina di Bottom portava comicità nella commedia di Shakespeare, che era adatta a Calvin, ma il ruolo sensibilizzava anche il pubblico su temi significativi, come il rapporto tra realtà e immaginazione. Il personaggio concreto di Bottom, più di ogni altro nella commedia, si addentra profondamente nella foresta dove trascende la sua identità per sperimentare la magia della natura, incantare una regina delle fate e tornare dopo aver avuto “una visione davvero rara … un sogno, oltre la comprensione dell’uomo.” E fu proprio così che la continua meraviglia di Calvin per i misteri della natura lo rese uno dei più importanti biochimici del mondo in un settore, quello della biologia vegetale, oltreuttto sottovalutato e poco finanziato. In un’epoca in cui si assisteva a crescenti divari tra umanesimo e scienza, il giovane Melvin Calvin costruì ponti. Dopo aver completato le superiori all’età di 16 anni, Calvin iniziò corsi di ingegneria al Michigan College of Mining and Technology nella remota Upper Peninsula dello stato. “Sapevo che le mie opportunità lì erano limitate,” rivelò Calvin, “perché era quello che era, una scuola di ingegneria.” Dopo i suoi primi due anni lì, le finanze traballanti della sua famiglia lo costrinsero a tornare a Detroit. “A quel tempo,” ricordò Calvin, “avevo già iniziato a capire di aver bisogno di un’esplorazione intellettuale … avevo bisogno di un’apertura mentale.” Di sera Calvin lavorava in una fonderia di ottone a Detroit facendo test chimici su scorie metalliche, e durante il giorno frequentava le lezioni. “Dopo due anni di scuola di ingegneria sono andato alla Wayne State e non ho mai toccato una materia di ingegneria. Non ci sono nemmeno andato vicino. Ho studiato storia, arte e psicologia … È stata una scelta deliberata.” Calvin continuò la sua “apertura” sia nella scienza che nelle discipline umanistiche e artistiche completando il suo corso al Michigan Tech, conseguendo il suo dottorato e completando una borsa post-dottorato. Nel suo laboratorio Calvin analizzava elementi radioattivi con semivite variabili. Ma fuori dal laboratorio, invece di leggere letteratura scientifica, “preferivo libri che avessero una lunga durata.” Leggeva grandi classici come Don Chisciotte, Anna Karenina e Guerra e pace. “Erano romanzi in cui vivere,” ricordò con affetto, “non si vive nella letteratura tecnica.” Mentre leggeva Guerra e pace, per esempio, “non sono andato a lavoro, non ho fatto nulla per circa 10 giorni, sai, ho letto quel libro. Mi sono alzato e l’ho letto, ho pranzato e l’ho letto, ho cenato, sono andato a dormire. … Non sono andato a lavoro. L’ho letto tutto d’un fiato. Non mi ha aiutato molto in termini di tempo, ma ricordo di averlo fatto. Ho vissuto in quella storia. … È stata un’esperienza molto potente.”
I ricordi evocati da Calvin mostrano un lato che le sue pubblicazioni scientifiche non avevano mai rivelato. Più di un decennio dopo il premio Nobel del 1961, Calvin rifletté ancora sul professore di scienze delle superiori che gli aveva detto di smettere di farsi e fare troppe domande. “Più imparo sulla scienza nei quarant’anni successivi, più mi rendo conto che l’indovinare è la parte veramente creativa della scienza. Il raccogliere dati e trarre conclusioni è davvero un’operazione formale. La parte che non è un’operazione informatica è la parte veramente creativa, ed è l’indovinare.” La storia di Melvin Calvin mostra i lati umani della scienza, l’elemento l’immaginativo, la curiosità e l’intuizione, indispensabili per progredire nella comprensione della natura. La sua è una storia che riguarda tutti noi, uomini comuni; una lezione su come la passione, il lavoro, l’inventiva, la costanza e l’immaginazione possano permetterci di raggiungere grandi risultati. E, così come per un altro grande premio Nobel (Katalin Karikó, di cui recentemente ho letto la bibliografia), tutto questo può succedere “Nonostante tutto”. Ma questa è un’altra storia.