Gen
31
2019

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Verdecarenza

 

 

Troverai più nei boschi che nei libri.
Gli alberi e le rocce ti insegneranno cose che nessun maestro ti dirà.

(San Bernardo di Chiaravalle)

 

Tre anni fa ho scritto un articolo sui benefici del verde sul nostro benessere psico-fisico basandomi sulla letteratura scientifica e sulla mia esperienza personale. A livello più o meno inconscio, sperimento ogni giorno la necessità di avere intorno a me delle piante, probabilmente perché ho fortunatamente trascorso la mia infanzia tra parchi urbani e montagne. Tornando al presente, qualche settimana fa ho partecipato ad un convegno e lì stavo parlando con un collega sugli effetti del verde sul benessere degli scolari e dei pazienti, a tal punto – gli dicevo – che in molti paesi si stanno progettando scuole e ospedali con dei veri e propri piani arredati con serre piene di piante. Negli ospedali, infatti, si assiste ad una diminuzione dei tempi di degenza fino al 25% in presenza di piante, con un notevole risparmio sulle spese sanitarie. Incredibilmente, dopo nemmeno 5 minuti, è andato sul palco un altro collega che ha ripetuto quasi parola per parola quello che stavo appena dicendo. La vicenda era a dir poco sorprendente, perché non eravamo sincronizzati volontariamente e lui non aveva tantomeno ascoltato il mio discorso. Dopo un po’, il “mistero” è stato svelato: oltre che accomunati da una certa sensibilità per queste tematiche, avevamo da poco letto lo stesso libro, Shinrin-Yoku – Immergersi nei Boschi, Qinq Li (Rizzoli Ed.).

Non voglio assolutamente fare la recensione di questo bel libro – non impegnativo da leggere ma basato su rigorose indagini scientifiche (l’autore è un autorevole immunologo giapponese, esperto di medicina forestale) – né rivangare la letteratura scientifica già commentata nello scorso articolo, ma vorrei parlare un po’ il concetto alla sua base: il bosco come nutrimento per l’anima e del corpo.

L’aria nelle foreste è infatti colma di una vasta gamma di sostanze chimiche, raggruppate nella categoria – non chimica ma funzionale – dei fitoncidi. Il termine “fitoncida” significa letteralmente “ucciso dalle piante” ed è stato coniato da nel 1937 dal Dr. Boris P. Tokin (1900-1984), un biochimico russo dell’università di Leningrado. Sono prodotti dalle piante come strumento di comunicazione (intraspecifica e interspecifica) tra le chiome degli alberi e come difesa chimica nei confronti dei microorganismi (azione antibiotica) e degli erbivori (insetti e altri animali; azione repellente). Chimicamente parlando, i fitoncidi comprendono soprattutto oli essenziali volatili (terpeni in primis), per cui la loro concentrazione nell’aria aumenta all’aumentare della temperatura. I terpeni sono metaboliti secondari prodotti dalle piante, i cui effetti sulla salute umana sono stati relativamente poco studiati, ad esclusione del loro uso come aromi nei cibi o nei profumi. Molti fitoncidi hanno aromi molto specifici e gradevoli al naso umano e sono sprigionati soprattutto, ma non solo, dalle conifere, costituendone le loro resine. In molte angiosperme, conferiscono a ogni fiore un caratteristico odore o aroma. Ebbene, le immersioni nei boschi, e di conseguenza in queste essenze, hanno effetti benefici notevoli sul sistema immunitario, riducono gli ormoni dello stress, garantiscono periodi di sonno più lunghi grazie a un migliore metabolismo della melatonina, diminuiscono tensione, ansia, rabbia, ostilità, affaticamento e confusione mentale. Altri effetti “secondari”, analoghi a quelli dell’attività sportiva, sono il miglioramento dell’umore, la diminuzione della pressione sanguigna e della frequenza cardiaca, una migliore funzionalità del cuore, il rallentamento dell’attività nervosa simpatica e la promozione di quella parasimpatica, che ci fa sentire rilassati e a nostro agio. L’effetto benefico è riproducibile, sebbene in misura minore, se diffondiamo in spazi chiusi gli stessi oli essenziali usando diffusori di vario tipo, candele o contenitori con trucioli di legno, che possono accoglierci con l’odore della foresta ogni volta che entriamo in casa o nel luogo di lavoro.

Nei paesi nordici – e scandinavi in particolare – e nei paesi dell’Est asiatico la cultura del verde è più sentita che in Italia e le passeggiate nel bosco sono una norma anche durante gli orari di lavoro. Ricordo una volta in Svezia, una docente che smise di parlarmi all’improvviso per l’urgenza di fare una passeggiata nel bosco in inverno e dovetti seguirla per continuare il discorso. Un altro mio collega belga, da cui ho preso spesso ispirazione per la mia attività scientifica, è stato ospitato a Matera, il luogo dove lavoro. Una sera, alla domanda dell’albergatore: “Signore, quale musica desidera come sottofondo?”, lui rispose: “Il silenzio è la migliore musica, soprattutto in un’area [n.d.r. i Sassi di Matera] bella e silenziosa come questa”. Lì per lì non ci pensai, ma effettivamente i Sassi di Matera sono molto particolari in quanto costituiscono un ecosistema urbano da un lato povero ed essenziale (non consideriamo la situazione turistica e lussuosa attuale) ma dall’altro perfettamente inglobato nell’ambiente circostante. Difatti, gli stessi Sassi sono per metà grotte e per metà case e sono circondati da canyon naturale, e l’intera area è un’oasi di silenzio dall’atmosfera quasi surreale immersa in una città moderna. Gli ecosistemi naturali sono, per l’appunto, enormi riserve di silenzio contraddistinte da panorami pacifici e contemplativi (su YouTube potete trovare file audio registrati nelle foreste più belle). Le chiome degli alberi inoltre hanno un effetto fonoassorbente dovuto al loro elevato contenuto di acqua e alla loro stratificazione, e le foglie sono un po’ come i pannelli di una sala di incisione. Da biologo, sono consapevole che sotto il silenzio delle foreste si svolge la lotta per la sopravvivenza di molteplici organismi viventi – per cui si tratta di una pace apparente – e non mi vorrei mai trovare al posto di un cacciatore-raccoglitore del Paleolitico, non per altro perché non avrei tempo libero per fare tutto quello che mi piace e mi interessa, ma di sicuro apprezzo la pace di un’area naturale.

Insieme a olfatto e udito, è anche la vista a trarre beneficio dalle foreste. Uno statunitense medio trascorre dalle 6 alle 8 ore davanti a un qualche tipo di schermo LED, pari al tempo impiegato per dormire. La luce di questi schermi è bluastra e con uno spettro molto diverso da quello solare, più spostato verso le componenti rosso-arancio. Questo tipo di luce affatica la vista e predispone allo stress. Inoltre, studi recenti suggeriscono che siamo preparati a riconoscere e apprezzare le regolarità degli elementi naturali, come ad esempio i frattali dei rami di un albero, delle nervature e della disposizione delle foglie, o delle ramificazioni di un corso d’acqua. Fino all’avvento dell’agricoltura (stimata a circa 10.000 anni fa), siamo stati per circa 300 milioni di anni immersi giorno e notte nella natura e, per questa ragione, l’abbiamo sempre considerata la nostra casa. I frattali naturali ci riconducono a quella familiarità, ormai inscritta nel nostro comportamento profondo, che ci rilassa e ci conforta e ci fa sentire meglio, liberandoci da emozioni negative. È stato altresì stimato che per stare bene in un ambiente, ognuno di noi dovrebbe essere circondato da almeno 20 alberi o almeno da altrettante piante di appartamento.

Infine, è noto e accertato l’effetto delle piante come purificatori naturali dell’atmosfera. Le parti epigee delle piante, soprattutto quelle fitte e dense delle chiome degli alberi, agiscono come spugne e assorbono il particolato atmosferico delle città, responsabile di asma, malattie cutanee e tumori.  È possibile portare portare un po’ di foresta in casa per purificare l’aria? È stato infatti stimato che l’aria degli ambienti chiusi, può essere fino a 5 volte più inquinata di quella dell’esterno. Ne sanno qualcosa anche gli astronauti, che vivono in stazioni spaziali anguste e dall’aria fetida, anche se per fortuna il loro olfatto si assuefa a qualsiasi odore, fino al punto da non avvertirlo più. Per rimediare a questo, la NASA ha identificato dieci piante adatte a crescere nelle future stazioni spaziali orbitanti: spatafillo, potos, edera, crisantemo, gerbera, sanseveria, palma di bambù, azalea, dracena e falangio. Sono tutte specie sciafile, per cui hanno bisogno di poca luce e vivono bene – tornando sulla Terra – anche nei nostri appartamenti, dove purificano l’aria e ne aumentano l’umidità (il nostro riscaldamento casalingo rende infatti l’aria troppo secca, dannosa per il nostro sistema respiratorio).

Al giorno d’oggi, viviamo in carenza di verde cronica. Da due anni, più del 50% della popolazione mondiale abita attualmente nelle città. Nel 2030 è previsto che si arriverà al 60%. Le città consumano il 75% dell’energia mondiale e sono responsabili dell’80% delle emissioni di gas serra e di altri inquinanti.  È per questo motivo che paesi e amministratori più attenti e sensibili arricchiscono i centri urbani di spazi verdi, perlomeno per mitigare l’effetto nocivo dei mari di cemento armato. Essere circondati da piante ci fa sentire più calmi e felici e dovrebbe essere obbligatorio progettare città ed edifici pubblici includendo parchi e piante. D’altra parte, sarebbe consigliabile portare i bambini nelle foreste per dare loro una sorta di imprinting dalle future ricadute positive: crescere con una carenza di verde, privi di un bisogno naturale così importante ma non soddisfatto, potrebbe causare malesseri psico-fisici le cui cause sarebbero difficilmente individuabili da adulti.

 

(fonte dell’immagine: Alberi Ricorsivi – Stefano Berardi)

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