Gen
03
2024

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Il racconto di Ostaria

Ricevo e pubblico molto volentieri questa bellissima storia. Ogni donazione sarà gradita e ricompensata. Buon Anno!

 

Il racconto di Ostaria

L’incredibile storia di un’antica varietà di fico rinvenuta nelle terre di Bari

 

Questo racconto di fatti realmente accaduti, con personaggi e tempi reali ma dalla realtà che supera la fantasia, nasce nella primavera del 2017 da un incontro fortuito con un uomo eccezionale… ma spero che questa storia non finisca mai.

I nomi delle persone, per un corretto problema di privacy, sono di fantasia.

Paolo Belloni

I Giardini di Pomona (https://www.igiardinidipomona.it/)

1 gennaio 2024

 

***

L’incontro con Lorenzo, personaggio straordinario

“Vedrai, ti piacerà” – stavo parlando con un visitatore de “I Giardini di Pomona” che, come a volte accade – mi aveva suggerito di visitare un vivaio specializzato in frutta antica in un paese vicino a Bari. Oltre alla visita del vivaio mi consigliava di conoscere il proprietario.

Incuriosito, misi in programma di andarci il primo pomeriggio libero.

Giunto alle porte del paese, trovai con qualche difficoltà l’insegna del vivaio all’ingresso di una abitazione privata. Mi addentrai nel vialetto d’ingresso che costeggiava la casa e mi trovai immerso in un coacervo di piante in vaso, altre messe a dimora in terra piena, carrelli per il trasporto, una rimessa coperta, sorretta da pilastri ma aperta sui lati, piena di attrezzi, di sacchi di terriccio, di piante da consegnare ed ebbi la netta sensazione di trovarmi immerso in un luogo di lavoro – forse di… troppo lavoro da poter compiere da soli – come se i progetti da realizzare fossero superiori alle energie disponibili.

A un certo punto comparve Lorenzo, il proprietario. Subito fui colpito dal suo sguardo: un misto di dolcezza, vivacità, determinazione, curiosità, serenità ed empatia. Un uomo anziano, di statura media, che doveva esser stato di grande bellezza e che ancora emanava una sorta di raffinato fascino contadino, assolutamente privo di orpelli.

Subito mi condusse nel suo vivaio-bosco-giardino. Un luogo che trasudava raffinatezza, ordinato disordine, passione, tradizione e ricerca.

Ci addentrammo tra piante in vaso raggruppate per specie, cespugli di canne che celavano melograni ottenuti da seme, agrumi storici, flora spontanea, piante ornamentali e piante rare. Era come se il vivaio fosse l’emanazione del suo approccio funzionale al mondo vegetale: assolutamente libero da convenzioni e da qualsiasi schema o pregiudizio.

La conversazione entrò subito nello specifico: parlammo delle varietà di mele e pere antiche che conoscevamo entrambi e condivisi alcuni suoi giudizi molto acuti su pregi e difetti delle stesse.

La prima impressione che ebbi di lui, mai smentita in seguito, fu quella di trovarmi di fronte a un personaggio straordinario, con una vastissima esperienza nella coltivazione, moltiplicazione e cura delle piante, ancora divorato dal desiderio di conoscere e sperimentare, privo di qualsiasi gelosia delle proprie scoperte, ma, al contrario, colmo di un generoso desiderio di condividere questo enorme patrimonio di conoscenze accumulato nella sua lunga vita passata tra le piante con tutti coloro che fossero disposti a riceverlo e farlo proprio.

Insomma, la persona che mi sarebbe piaciuto aver avuto come maestro.

Era come se Lorenzo avesse le capacità di certi curanderos sudamericani che, per curare un paziente, assumono e gli fanno assumere funghi allucinogeni per entrare in sintonia profonda con lui, visualizzare la malattia e la pianta da usare per curarlo. Ecco, era come se Lorenzo avesse la loro stessa capacità istintiva di entrare in connessione profonda con il mondo vegetale senza bisogno di alterare con altre sostanze il proprio stato mentale. Capiva immediatamente ciò di cui una pianta aveva bisogno e cercava di assecondarla.

A questa prima visita ne seguirono altre, venne a trovarmi più volte a “I Giardini di Pomona” da solo o con amici e nacque una buona amicizia sostenuta da reciproca stima.

 

Un fico di nome Ostaria

Un giorno di ottobre andai a trovarlo per portargli il mio libro Fichi di Puglia che mi aveva chiesto e mi fece trovare un magnifico cesto di frutti autunnali. La loro dovizia, l’eleganza delle forme e dell’abbinamento dei colori, la promessa di sapori antichi e la cura nella composizione non mi fecero notare, al momento, uno spazio minuscolo in cui erano incastonati alcuni piccoli fichi bruni essiccati che, tornato a casa, trovai assolutamente squisiti.

Incuriosito gli telefonai per chiedergli il nome della varietà e come avrei potuto procurarmi le sue talee. Mi disse che il fico si chiamava Ostaria ed era una varietà locale con fichi molto piccoli nata da un seme fortunato probabilmente cresciuto vicino a una vecchia osteria. Da qui, come spesso accade, il nome. In ogni caso, si trattava di una varietà antichissima praticamente estinta di cui un suo amico aveva ancora un enorme albero.

Poiché ritengo che la funzione del fico non sia più quella di sfamare la gente – come è stato in passato, basti pensare al suo ruolo di colonna portante nella dieta mediterranea – ma si sia trasformata in quella di sfizio gourmand che provoca meraviglia per la vastissima gamma di sapori che esprime, da anni sto cercando fichi di piccola pezzatura ma con grande carattere.

Gli chiesi quindi di procurarmi qualche talea di questa varietà che vedevo funzionale alla mia ricerca.

 

L’avventura della riproduzione

Un giorno di maggio dell’anno seguente Franco mi telefonò informandomi che mi aveva moltiplicato Ostaria. Mi donò un vaso basso di grande circonferenza ripieno di piccole talee radicate, già con le prime foglioline. Ero colmo di gioia. Il giorno dopo lo impiegai a separare una per una le piccole talee, districando delicatamente le radichette e travasando le piantine in singoli vasi. Ormai avevo più di 20 piante in vaso. Non aspettavo altro che vederle andare a frutto per conoscere il sapore di quel fico fresco, visto che lo avevo gustato solo da essiccato. Nel giro di un paio d’anni, le piantine, cresciute bene, erano diventate alberelli.

In quel periodo frequentavo un amico che aveva realizzato in Basilicata un impianto di fichi da produzione. Da trent’anni mi battevo per il ritorno alla coltivazione del fico nel Sud Italia e mi parve il raggiungimento di un traguardo. Subito gli proposi di abbinare al suo impianto una produzione di nicchia con quattro varietà di fichi piccoli scelte da me, selezionate tra le oltre 500 varietà da me coltivate. Tra queste, l’ultima arrivata Ostaria.

Subito si rese disponibile ed io seguii la messa a dimora delle piante. Per precauzione mi ero tenuto qualche vaso di Ostaria che piantai in una nuova foresta alimentare in aridocoltura – la numero tre – che stavamo realizzando a Pomona.

Nel frattempo, il Covid aveva rallentato la mobilità e quando, lo scorso anno, appena possibile, tornai in Basilicata a visitare l’impianto, constatai con costernazione che non era restato nulla. Tutte le piante, abbandonate a loro stesse, erano morte. Il viaggio di ritorno fu un misto di dolore profondo, senso di smarrimento e grande rabbia.

Il ’22 era già stato un anno disgraziato. Moltissime delle varietà messe a dimora nei due anni precedenti, frutto degli ultimi 5 anni di lavoro di recupero, erano morte a causa del grande calore estivo e della prolungata siccità. Non avere i soldi per un impianto di irrigazione e le forze per irrigare a mano come avevamo fatto per tutta l’estate 2021, in cui c’erano due ragazzi del Servizio Civile Nazionale ad aiutarci, aveva comportato la scelta drammatica di abbandonare il giovane impianto con circa 200 varietà.

Questa decisione grave, presa insieme a Marcello, il mio più stretto collaboratore, era stata una scelta obbligata. Ci consolammo dicendoci che alla fine avremmo scoperto quali specie fossero più resistenti alla siccità. Una magra consolazione. In effetti scoprimmo che tra fico, melograno e giuggiolo – le tre principali specie di fruttifere piantumate nella foresta mediterranea in aridocoltura – quella di gran lunga più resistente era il melograno, seguita dal giuggiolo e, come buon’ultima, dal fico.

Ripercorrere le swales* della “foresta alimentare 3”, leggere le targhette con i nomi delle varietà decedute, ripensare a come ciascuna era giunta in mio possesso, le persone che me l’avevano data e la nazione di provenienza era una sorta di via crucis. Ad ogni stazione un rinnovato dolore!

 

Uno straordinario ritrovamento

La drammatica constatazione di aver perso tutte le piante di Ostaria mi spinse a mettere da parte l’orgoglio e a rivolgermi nuovamente a Lorenzo. Gli raccontai cosa mi era successo chiedendogli se mi potesse fornire nuovamente alcune talee di Ostaria. Mi invitò ad andare a trovarlo informandomi che pochi giorni prima la vecchia pianta del suo amico era stata tagliata e che sperava rispuntassero dei polloni ma desiderava che andassimo insieme a constatare la situazione.

Lo trovai leggermente invecchiato. Subito mi condusse sul posto, un’antica masseria austera. Mi fece vedere il luogo dove il grande albero era stato tagliato. Aveva qualche difficoltà a camminare. Ci sedemmo a parlare di fronte all’aia e mi raccontò dei suoi terribili dolori di schiena e del prodigioso rimedio di sua invenzione che utilizzava per farseli passare: si preparava una tintura madre di Ruta graveolens e nel macerato alcoolico aggiungeva spicchi d’aglio, timo e rosmarino insieme a del chinino che si procurava non so come da un paese dell’Est. Era da una decina d’anni che si curava sfregandosi quella pozione a sua detta miracolosa sulle parti dolenti. Si era anche consultato con un medico che gli aveva detto che “per uso esterno non era pericoloso”. Soltanto che adesso non aveva più nessuna pianta di Ruta. “E’ una colonizzatrice, te ne porto quanta ne vuoi, ama la terra povera, poi si dissemina facilmente da sola” – gli dissi.

A novembre del ’23 sono tornati a Pomona docenti e allievi di una scuola di orticoltura del Belgio per un progetto Erasmus+. Quindi abbiamo organizzato per loro tutte le attività quotidiane per lo stage di tre settimane e, tra queste, visto che avevamo subìto danni dalle arvicole, il trapianto nelle food forest di Ruta graveolens e di Scilla marittima. La prima emana un odore che tiene lontani i roditori, la seconda, se ingerita, è tossica. Durante l’espianto della Ruta affidai a Valery, un ragazzo molto sensibile e disponibile, l’incarico di preparare alcuni vasetti di Ruta ben radicata per Lorenzo.

Concluso a dicembre il progetto Erasmus+ telefonai subito a Lorenzo dicendogli che avevo la Ruta per lui. Al telefono mi informò che mi aveva riprodotto una pianta di Ostaria e se volevo dei rami. Non capii bene cosa intendesse dirmi ma, come spesso accade in Puglia, cadde la linea e mi risolsi di andare a trovarlo il prima possibile.

Mi chiedevo dove fosse andato a scovare un’altra pianta di Ostaria. Son sicuro che doveva aver messo in moto tutte le sue conoscenze determinato a setacciare tutto l’agro del paese e mezza provincia di Bari per trovare forse l’ultimo esemplare di questa varietà. Quando giunsi da lui pochi giorni prima di Natale ‘23 mi fece trovare un vaso con una pianta di circa un metro di altezza con tre gruppi di foglie verdissime. A Pomona non avevo più nessuna foglia in tutta la collezione di fichi e davanti ai miei occhi increduli avevo foglie di una verzura da mese di maggio. Mi disse che, trovata la pianta madre, aveva tenuta umida la talea irrorandola più volte al giorno con uno spruzzino, poi, esposta al sole, erano subito spuntate le foglie.

Mentre mi donava il vaso lo chiamarono al telefono, parlò qualche minuto e poi si rivolse a me informandomi che stavano per arrivare i rami e se li volevo. Aveva trovato un esemplare di Ostaria abbandonato, completamente coperto dai rovi, ma gigantesco. Per rinforzare la pianta ne aveva fatto potare la parte superiore.

Dopo poco ci raggiunse un furgone con cassone aperto carico di rami di potatura di Ostaria.

A fianco del vaso che mi ero già messo in macchina riempii completamente i sedili posteriori di rami per farne un buon numero di talee.

Dopo aver scelto insieme ai miei collaboratori il luogo dove mettere a dimora la pianta che Lorenzo ci aveva donato (un posto dove passiamo tutti più volte al giorno in modo da poterla tenere costantemente sott’occhio) abbiamo trapiantato in vaso tantissime talee, altre talee le abbiamo messe direttamente in terra con tutti i diversi sistemi che conosco: a proboscide, a ramo pluriennale interrato e a zampa di gallina.

Ora mi sento un po’ più tranquillo.

 

***

Ringrazio ancora Lorenzo per la dedizione con cui mi ha preparato uno tra i più bei regali della mia vita e penso a quanto questo regalo sia stato fatto anche a Ostaria. Lorenzo, come tutti i veri contadini, conosce esattamente l’inestimabile valore della biodiversità e, ancora una volta dalla parte delle piante, ha capito che l’unico sistema per salvare Ostaria fosse quello di darla a me perché a mia volta l’affidassi a tante diverse amorevoli mani.

 

Una donazione per salvare Ostaria

Da tutto questo è nata l’idea di un progetto ispirato a una catena di Sant’Antonio a fin di bene: a partire da oggi, con consegna a giugno ‘24, quando le piantine saranno radicate e in fogliazione, avrete la possibilità di prenotare Ostaria a partire da € 50,00. Un costo decisamente alto per una pianta di fico per quanto esclusiva, ma giustificato e accessibile per una donazione finalizzata alla conservazione della biodiversità. Chiunque acquista la pianta potrà a sua volta, se è capace di riprodurla, rivenderla al prezzo che riterrà più congruo, in modo da rifarsi del costo iniziale, oppure donarla diventando, sia in un caso che nell’altro, a sua volta attore di un sistema virtuoso di conservazione della biodiversità. Un gesto concreto che a voi consente di partecipare attivamente al progetto e a noi di recuperare altre varietà a rischio di estinzione, ricordando che la biodiversità non si salva con i convegni, ma quando le piante affondano le proprie radici nella terra madre e nutrice.

Per prenotare una piantina sarà sufficiente effettuare un versamento con PayPal: http://www.paypal.me/igiardinidipomona/50 oppure mediante

un bonifico intestato a:

Azienda agricola dimostrativa “I giardini di Pomona “di P. Belloni

IBAN: IT78X0306978934100000679003 inviando la ricevuta a: [email protected] . In entrambi i casi vanno inviati i dati per poter effettuare la consegna: nome, cognome, numero di telefono e indirizzo del luogo dove si vuole che la pianta venga consegnata. I costi di spedizione per l’Italia sono inclusi.

Se si desidera che insieme alla pianta giunga al destinatario anche questo racconto ricordarsi di inserire la mail del destinatario.

Naturalmente l’importo della donazione non ha limiti per eccesso!

Sarà nostra cura comunicarvi la data della spedizione delle piantine non appena saranno pronte.

 

Informazioni utili per i sostenitori

A partire da giugno riceverete Ostaria in un vaso 12×12. Potrete tenere la piantina nello stesso vaso fino a novembre oppure travasarla in un vaso un po’ più grande da 3 litri a fine luglio. Se volete piantarla in terra piena vi conviene aspettare la caduta delle foglie a novembre.

Le piante continuano a sviluppare le radici e durante l’inverno si adattano meglio al terreno. Così non sarà necessario prendersene cura fino alla primavera ‘25. Se si decidesse di tenere la pianta in vaso, è opportuno cambiarle vaso ogni anno, per i primi anni, aumentando progressivamente il diametro e aggiungendo il terriccio mancante. Innaffiare sempre fino a fare fuoruscire l’acqua dai fori alla base subito dopo i trapianti.

 

Consigli per la piantumazione in terra piena

Il fico è una pianta mediterranea. Scegliete di posizionarlo in pieno sole, in un luogo senza ristagni d’acqua e ad una ragionevole distanza dalla casa e da eventuali cisterne in quanto le sue potenti radici possono, allungandosi, combinare guai. Non preoccupatevi del suolo, il fico è una pianta facile che si adatta a qualsiasi tipologia di terreno (adora le rovine di cemento), è un albero parsimonioso e generoso. Consente tutti gli errori di potatura senza soffrirne troppo. L’essenziale è bagnarla per i primi tre anni da aprile a ottobre in modo che possa estendere bene le proprie radici e diventare perfettamente autonoma. Ma non abbiate timore: anche in questo caso vi segnalerà quando vuole acqua abbassando le foglie.

Quando si innaffia una pianta bisogna sempre innaffiarla con abbondanza e poi lasciarla asciugare fino a quando non vi chiederà nuovamente l’acqua. Le piante muoiono più spesso per marciume radicale che per siccità e se sono troppo viziate perdono caratteri di rusticità. Tuttavia una buona concimazione, meglio se con stallatico maturo, verrà senza dubbio apprezzata.

Il fico non teme troppo il freddo, resiste tranquillamente a -10° e neppure il vento e l’acqua salmastra. Se vi preoccupate solo di dargli da bere quando ha sete vi darà delle magnifiche soddisfazioni e, visto che può raggiungere cent’anni di età, tanti frutti per voi e le generazioni future. Poi, come scrive Carmine Abate è “l’albero della fortuna”.

Da ultimo, chi prenoterà una pianta riceverà due nuovi testi:

  1. Perché il fico
  2. Il fico, scrigno di tesori per la salute.

Di Luv, l’altra varietà di fico piacentino, nera come il lupo nelle favole dei bambini, che ho salvata da sicura estinzione… vi racconterò un’altra volta.

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