Gen
31
2024
0

Tra foglie e asfalto

 

In un contesto urbano sempre più dominato da strutture di cemento e asfalto, la crescente consapevolezza dell’importanza del verde nelle città sta promuovendo una rivoluzione silenziosa. Ci sono oramai esempi concreti in tutto il mondo sul ruolo cruciale che il verde urbano svolge nel plasmare il nostro ambiente e il benessere umano. Il verde in città porta con sé una serie di benefici diversificati, noti come servizi ecosistemici, che influenzano positivamente sia l’ambiente che il benessere delle persone. Le piante assorbono gas nocivi, come l’anidride carbonica e altri inquinanti atmosferici, contribuendo a migliorare la qualità dell’aria nelle aree urbane.

Inoltre, gli alberi e le aree verdi possono fornire ombra, riducendo gli effetti delle isole di calore urbane e contribuendo a mantenere temperature più basse nelle città, specialmente durante i periodi caldi, quando gli alberi evapotraspirano di più. Inoltre, la presenza di verde in città favorisce la biodiversità, fornendo habitat per una varietà di specie vegetali e animali, promuovendo così l’equilibrio degli ecosistemi urbani. Il verde urbano assorbe anche l’acqua piovana, riducendo il rischio di allagamenti e contribuendo alla sostenibilità delle città. Alberi piantati strategicamente possono offrire ombra agli edifici, riducendo la necessità di raffreddamento artificiale e portando a risparmi energetici. Dal punto di vista del benessere umano, la presenza di verde in città è associata a una migliore salute mentale e fisica. Passeggiare in parchi o giardini può ridurre lo stress, migliorare il tono dell’umore e promuovere un senso di benessere generale. L’agricoltura urbana e gli orti comunitari contribuiscono alla sostenibilità alimentare, offrendo un accesso locale a prodotti freschi e promuovendo uno stile di vita più sano. Inoltre, spazi verdi ben progettati rendono le città più attraenti, invitando le persone a godere degli spazi pubblici e contribuendo a una maggiore coesione sociale. Gli alberi e le piante agiscono anche come barriere naturali contro il rumore urbano, fornendo un ambiente più tranquillo e rilassante. In sintesi, integrare il verde nelle città non solo migliora l’aspetto estetico, ma fornisce una serie di vantaggi tangibili che contribuiscono alla sostenibilità ambientale e al benessere delle comunità urbane.

Tra le città virtuose in tal senso, Singapore ha recentemente inaugurato il Singapore Green Plan 2030. Si tratta di un movimento nazionale per portare avanti l’agenda nazionale di sviluppo sostenibile di Singapore attraverso cinque pilastri principali: Città Natura, Vita Sostenibile, Rilancio Energetico, Economia Verde e Futuro Sostenibile. Per raggiungere questi obiettivi, il governo di Singapore introdurrà una serie di nuove iniziative e obiettivi nei settori della finanza verde, della sostenibilità, dell’energia solare, dei veicoli elettrici e dell’innovazione. Gli incentivi possono essere utilizzati per incoraggiare lo sviluppo e la diffusione di tecnologie nel campo dell’energia solare, dei veicoli elettrici e di altri settori della finanza verde. Gli incentivi forniti dal governo di Singapore possono dare alle aziende singaporiane la vitalità di cui hanno bisogno per avviare joint venture con aziende globali esistenti o per diventare leader di mercato in futuro. Singapore, con il suo progetto di “Città Giardino”, è un esempio paradigmatico. I giardini verticali e le iniziative di piantumazione massiccia hanno trasformato la città, riducendo la temperatura urbana e contribuendo alla qualità della vita.

Città come Portland, San Francisco e Vancouver stanno adottando politiche urbane incentrate sulla sostenibilità. Programmi di riforestazione urbana, parchi accessibili e la creazione di corridoi verdi contribuiscono significativamente al benessere urbano. In Giappone, la città di Kitakyushu ha investito in progetti di riforestazione su vasta scala, dimostrando come il verde in città possa fungere da strumento di adattamento ai cambiamenti climatici. Altri esempi salienti includono Oslo, con il suo impegno per una “città verde entro il 2030”, e Copenaghen, con la sua rete estensiva di piste ciclabili e spazi aperti. La strada considerata come la “mais bonita do mundo” è in Brasile a Porto Alegre e, se è così bella, il perché lo trovate in questo sito.

Durante i miei viaggi, mi sono sempre sorpreso di vedere come metropoli e capitali (mi vengono in mente, tra le tante, Tel Aviv, San Francisco, Tokyo, Amsterdam, Berlino, Bruxelles, ecc.), stiano investendo sempre di più in questi progetti verdi, mentre in Italia si è enormemente indietro e ogni tentativo di introdurre piante e spazi aperti è quasi sempre fortemente osteggiato, adducendo le più svariate giustificazioni (alberi che cadono in testa e sulle macchine, foglie che intasano i tombini, invasioni animali cittadine, radici che distruggono l’asfalto, costi di manutenzione alti, necessità di case, ecc.). Spesso queste argomentazioni, nel migliore dei casi, sono basate sull’ignoranza dei numerosi benefici degli alberi e delle zone verdi in città; inoltre, di nuove case non ce ne sarebbe proprio bisogno, dato l’enorme calo demografico italiano, né tantomeno sarebbero necessarie molte auto se ci fosse un trasporto pubblico capillare e integrato. Molto spesso, tali scuse sono invece mosse da forti interessi delle amministrazioni locali, che evidentemente ricavano molto di più dall’edificazione di nuove aree e dagli appalti di strade, cemento e asfalto. Il tutto è condito da una scarsa pressione dal basso da parte dei cittadini, che pagano ingenti tasse comunali ma non pretendono aree verdi nelle loro città. I cittadini poi pagano di tasca loro tutti i servizi (energia elettrica per condizionatori, manutenzione di strade a causa dell’enorme tarffico cittadino, parchi gioco e ludoteche private, costi per palestre e ansiolitici, servizi per animali da compagnia, ecc.), che invece gli spazie verdi fornirebbero gratuitamente. Nella città in cui vivo, Trani, ci si affida a fior di consulenze per mappare i pochi alberi e per identificare quelli in presunte cattive condizioni (e si pagano i consulenti), si tagliano questi alberi (e si pagano i tagliatori), si potano – male – quelli sani (e si pagano i potatori), ma stranamente non se ne piantano mai di nuovi, mentre le aree disboscate vengono poi prontamente edificate o cementificate (dei pericoli del soil sealing ne avevo parlato qui).

Persino negli industrializzati USA, ci sono esempi virtuosi e paradigmatici. A Davis, in California, mi è capitato di andare a trovare un amico, il quale mi ha raccontato la storia del suo quartiere, Village Homes, attivo dagli anni ’80, con 225 case e 20 appartamenti. Il progetto presenta un’organizzazione urbana innovativa. L’orientamento delle strade e dei lotti, seguendo l’asse est-ovest e nord-sud rispettivamente, massimizza l’utilizzo dell’energia solare. Il design delle strade, con numerosi vicoli ciechi, rende meno attraente l’uso dell’auto, promuovendo percorsi pedonali verso il centro della città. Le vie seguono avvallamenti dove l’acqua piovana è indirizzata per irrigare piante e alberi, inclusi frutteti e vigneti. Le strade sono strette e prive di marciapiedi, con cul-de-sac curvati, riducendo l’esposizione al sole. Le linee curve delle strade limitano la velocità delle auto. Percorsi pedonali e ciclabili alternati alle strade attraversano aree comuni con giardini, strutture ludiche e opere d’arte. Le abitazioni si affacciano su queste aree, accentuando l’importanza di spostamenti a piedi e in bicicletta. Il sistema innovativo di drenaggio naturale, con letti di ruscelli e lagune, trattiene l’acqua piovana nel terreno, contribuendo alla conservazione dell’umidità e offrendo un elemento visivamente interessante. Gli spazi verdi sono anche funzionali, nel senso che ci sono alberi da frutto e noci, con oltre 30 varietà piantate per garantire frutti maturi praticamente ogni mese. Aree verdi produttive e ornamentali, gestite dai giardinieri, sono collocate lungo i percorsi pedonali principali. Terre agricole comprendono giardini, orti e vigneti, con il 24% del cibo coltivato nelle strade e negli orti. Il progetto include diverse soluzioni abitative e ampie aree verdi, con il 40% del terreno di proprietà comune. Purtroppo, nonostante il successo dimostrato indicano il Village Homes come modello ideale di design urbano, pochi hanno replicato il progetto in oltre 30 anni, per ragioni rimaste oscure. Qui in basso, il quartiere fotografato da me l’estate scorsa. Non vi sembra bello?

 

 

Proprio mentre stavo scrivendo questo articolo, ho letto il libro molto bello di Stefano Mancuso “Fitopolis: La città vivente“, in cui l’autore ci invita a immaginare una città in cui gli alberi possono colonizzare soprattutto le strade cittadine e i centri storici. Mancuso offre una prospettiva illuminante sull’integrazione del verde nelle città e dimostra come la progettazione sostenibile e la promozione della biodiversità possano coesistere con l’urbanizzazione. La realizzazione di tali concetti potrebbe fungere da modello per la creazione di città più belle e vivibili.

Il verde nelle città non è più solo un’opzione estetica, ma una necessità imprescindibile per affrontare sfide urbane complesse. Fortunatamente, stanno emergendo molteplici vie per trasformare gli ambienti urbani in luoghi più sani, sostenibili e armoniosi. Questo rivela una tendenza crescente verso un’urbanizzazione equilibrata, in cui l’uomo e la natura si influenzano positivamente a vicenda. La sfida ora è coltivare e diffondere queste pratiche, affinché il verde possa continuare a prosperare nelle città del futuro.

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Gen
03
2024
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Il racconto di Ostaria

Ricevo e pubblico molto volentieri questa bellissima storia. Ogni donazione sarà gradita e ricompensata. Buon Anno!

 

Il racconto di Ostaria

L’incredibile storia di un’antica varietà di fico rinvenuta nelle terre di Bari

 

Questo racconto di fatti realmente accaduti, con personaggi e tempi reali ma dalla realtà che supera la fantasia, nasce nella primavera del 2017 da un incontro fortuito con un uomo eccezionale… ma spero che questa storia non finisca mai.

I nomi delle persone, per un corretto problema di privacy, sono di fantasia.

Paolo Belloni

I Giardini di Pomona (https://www.igiardinidipomona.it/)

1 gennaio 2024

 

***

L’incontro con Lorenzo, personaggio straordinario

“Vedrai, ti piacerà” – stavo parlando con un visitatore de “I Giardini di Pomona” che, come a volte accade – mi aveva suggerito di visitare un vivaio specializzato in frutta antica in un paese vicino a Bari. Oltre alla visita del vivaio mi consigliava di conoscere il proprietario.

Incuriosito, misi in programma di andarci il primo pomeriggio libero.

Giunto alle porte del paese, trovai con qualche difficoltà l’insegna del vivaio all’ingresso di una abitazione privata. Mi addentrai nel vialetto d’ingresso che costeggiava la casa e mi trovai immerso in un coacervo di piante in vaso, altre messe a dimora in terra piena, carrelli per il trasporto, una rimessa coperta, sorretta da pilastri ma aperta sui lati, piena di attrezzi, di sacchi di terriccio, di piante da consegnare ed ebbi la netta sensazione di trovarmi immerso in un luogo di lavoro – forse di… troppo lavoro da poter compiere da soli – come se i progetti da realizzare fossero superiori alle energie disponibili.

A un certo punto comparve Lorenzo, il proprietario. Subito fui colpito dal suo sguardo: un misto di dolcezza, vivacità, determinazione, curiosità, serenità ed empatia. Un uomo anziano, di statura media, che doveva esser stato di grande bellezza e che ancora emanava una sorta di raffinato fascino contadino, assolutamente privo di orpelli.

Subito mi condusse nel suo vivaio-bosco-giardino. Un luogo che trasudava raffinatezza, ordinato disordine, passione, tradizione e ricerca.

Ci addentrammo tra piante in vaso raggruppate per specie, cespugli di canne che celavano melograni ottenuti da seme, agrumi storici, flora spontanea, piante ornamentali e piante rare. Era come se il vivaio fosse l’emanazione del suo approccio funzionale al mondo vegetale: assolutamente libero da convenzioni e da qualsiasi schema o pregiudizio.

La conversazione entrò subito nello specifico: parlammo delle varietà di mele e pere antiche che conoscevamo entrambi e condivisi alcuni suoi giudizi molto acuti su pregi e difetti delle stesse.

La prima impressione che ebbi di lui, mai smentita in seguito, fu quella di trovarmi di fronte a un personaggio straordinario, con una vastissima esperienza nella coltivazione, moltiplicazione e cura delle piante, ancora divorato dal desiderio di conoscere e sperimentare, privo di qualsiasi gelosia delle proprie scoperte, ma, al contrario, colmo di un generoso desiderio di condividere questo enorme patrimonio di conoscenze accumulato nella sua lunga vita passata tra le piante con tutti coloro che fossero disposti a riceverlo e farlo proprio.

Insomma, la persona che mi sarebbe piaciuto aver avuto come maestro.

Era come se Lorenzo avesse le capacità di certi curanderos sudamericani che, per curare un paziente, assumono e gli fanno assumere funghi allucinogeni per entrare in sintonia profonda con lui, visualizzare la malattia e la pianta da usare per curarlo. Ecco, era come se Lorenzo avesse la loro stessa capacità istintiva di entrare in connessione profonda con il mondo vegetale senza bisogno di alterare con altre sostanze il proprio stato mentale. Capiva immediatamente ciò di cui una pianta aveva bisogno e cercava di assecondarla.

A questa prima visita ne seguirono altre, venne a trovarmi più volte a “I Giardini di Pomona” da solo o con amici e nacque una buona amicizia sostenuta da reciproca stima.

 

Un fico di nome Ostaria

Un giorno di ottobre andai a trovarlo per portargli il mio libro Fichi di Puglia che mi aveva chiesto e mi fece trovare un magnifico cesto di frutti autunnali. La loro dovizia, l’eleganza delle forme e dell’abbinamento dei colori, la promessa di sapori antichi e la cura nella composizione non mi fecero notare, al momento, uno spazio minuscolo in cui erano incastonati alcuni piccoli fichi bruni essiccati che, tornato a casa, trovai assolutamente squisiti.

Incuriosito gli telefonai per chiedergli il nome della varietà e come avrei potuto procurarmi le sue talee. Mi disse che il fico si chiamava Ostaria ed era una varietà locale con fichi molto piccoli nata da un seme fortunato probabilmente cresciuto vicino a una vecchia osteria. Da qui, come spesso accade, il nome. In ogni caso, si trattava di una varietà antichissima praticamente estinta di cui un suo amico aveva ancora un enorme albero.

Poiché ritengo che la funzione del fico non sia più quella di sfamare la gente – come è stato in passato, basti pensare al suo ruolo di colonna portante nella dieta mediterranea – ma si sia trasformata in quella di sfizio gourmand che provoca meraviglia per la vastissima gamma di sapori che esprime, da anni sto cercando fichi di piccola pezzatura ma con grande carattere.

Gli chiesi quindi di procurarmi qualche talea di questa varietà che vedevo funzionale alla mia ricerca.

 

L’avventura della riproduzione

Un giorno di maggio dell’anno seguente Franco mi telefonò informandomi che mi aveva moltiplicato Ostaria. Mi donò un vaso basso di grande circonferenza ripieno di piccole talee radicate, già con le prime foglioline. Ero colmo di gioia. Il giorno dopo lo impiegai a separare una per una le piccole talee, districando delicatamente le radichette e travasando le piantine in singoli vasi. Ormai avevo più di 20 piante in vaso. Non aspettavo altro che vederle andare a frutto per conoscere il sapore di quel fico fresco, visto che lo avevo gustato solo da essiccato. Nel giro di un paio d’anni, le piantine, cresciute bene, erano diventate alberelli.

In quel periodo frequentavo un amico che aveva realizzato in Basilicata un impianto di fichi da produzione. Da trent’anni mi battevo per il ritorno alla coltivazione del fico nel Sud Italia e mi parve il raggiungimento di un traguardo. Subito gli proposi di abbinare al suo impianto una produzione di nicchia con quattro varietà di fichi piccoli scelte da me, selezionate tra le oltre 500 varietà da me coltivate. Tra queste, l’ultima arrivata Ostaria.

Subito si rese disponibile ed io seguii la messa a dimora delle piante. Per precauzione mi ero tenuto qualche vaso di Ostaria che piantai in una nuova foresta alimentare in aridocoltura – la numero tre – che stavamo realizzando a Pomona.

Nel frattempo, il Covid aveva rallentato la mobilità e quando, lo scorso anno, appena possibile, tornai in Basilicata a visitare l’impianto, constatai con costernazione che non era restato nulla. Tutte le piante, abbandonate a loro stesse, erano morte. Il viaggio di ritorno fu un misto di dolore profondo, senso di smarrimento e grande rabbia.

Il ’22 era già stato un anno disgraziato. Moltissime delle varietà messe a dimora nei due anni precedenti, frutto degli ultimi 5 anni di lavoro di recupero, erano morte a causa del grande calore estivo e della prolungata siccità. Non avere i soldi per un impianto di irrigazione e le forze per irrigare a mano come avevamo fatto per tutta l’estate 2021, in cui c’erano due ragazzi del Servizio Civile Nazionale ad aiutarci, aveva comportato la scelta drammatica di abbandonare il giovane impianto con circa 200 varietà.

Questa decisione grave, presa insieme a Marcello, il mio più stretto collaboratore, era stata una scelta obbligata. Ci consolammo dicendoci che alla fine avremmo scoperto quali specie fossero più resistenti alla siccità. Una magra consolazione. In effetti scoprimmo che tra fico, melograno e giuggiolo – le tre principali specie di fruttifere piantumate nella foresta mediterranea in aridocoltura – quella di gran lunga più resistente era il melograno, seguita dal giuggiolo e, come buon’ultima, dal fico.

Ripercorrere le swales* della “foresta alimentare 3”, leggere le targhette con i nomi delle varietà decedute, ripensare a come ciascuna era giunta in mio possesso, le persone che me l’avevano data e la nazione di provenienza era una sorta di via crucis. Ad ogni stazione un rinnovato dolore!

 

Uno straordinario ritrovamento

La drammatica constatazione di aver perso tutte le piante di Ostaria mi spinse a mettere da parte l’orgoglio e a rivolgermi nuovamente a Lorenzo. Gli raccontai cosa mi era successo chiedendogli se mi potesse fornire nuovamente alcune talee di Ostaria. Mi invitò ad andare a trovarlo informandomi che pochi giorni prima la vecchia pianta del suo amico era stata tagliata e che sperava rispuntassero dei polloni ma desiderava che andassimo insieme a constatare la situazione.

Lo trovai leggermente invecchiato. Subito mi condusse sul posto, un’antica masseria austera. Mi fece vedere il luogo dove il grande albero era stato tagliato. Aveva qualche difficoltà a camminare. Ci sedemmo a parlare di fronte all’aia e mi raccontò dei suoi terribili dolori di schiena e del prodigioso rimedio di sua invenzione che utilizzava per farseli passare: si preparava una tintura madre di Ruta graveolens e nel macerato alcoolico aggiungeva spicchi d’aglio, timo e rosmarino insieme a del chinino che si procurava non so come da un paese dell’Est. Era da una decina d’anni che si curava sfregandosi quella pozione a sua detta miracolosa sulle parti dolenti. Si era anche consultato con un medico che gli aveva detto che “per uso esterno non era pericoloso”. Soltanto che adesso non aveva più nessuna pianta di Ruta. “E’ una colonizzatrice, te ne porto quanta ne vuoi, ama la terra povera, poi si dissemina facilmente da sola” – gli dissi.

A novembre del ’23 sono tornati a Pomona docenti e allievi di una scuola di orticoltura del Belgio per un progetto Erasmus+. Quindi abbiamo organizzato per loro tutte le attività quotidiane per lo stage di tre settimane e, tra queste, visto che avevamo subìto danni dalle arvicole, il trapianto nelle food forest di Ruta graveolens e di Scilla marittima. La prima emana un odore che tiene lontani i roditori, la seconda, se ingerita, è tossica. Durante l’espianto della Ruta affidai a Valery, un ragazzo molto sensibile e disponibile, l’incarico di preparare alcuni vasetti di Ruta ben radicata per Lorenzo.

Concluso a dicembre il progetto Erasmus+ telefonai subito a Lorenzo dicendogli che avevo la Ruta per lui. Al telefono mi informò che mi aveva riprodotto una pianta di Ostaria e se volevo dei rami. Non capii bene cosa intendesse dirmi ma, come spesso accade in Puglia, cadde la linea e mi risolsi di andare a trovarlo il prima possibile.

Mi chiedevo dove fosse andato a scovare un’altra pianta di Ostaria. Son sicuro che doveva aver messo in moto tutte le sue conoscenze determinato a setacciare tutto l’agro del paese e mezza provincia di Bari per trovare forse l’ultimo esemplare di questa varietà. Quando giunsi da lui pochi giorni prima di Natale ‘23 mi fece trovare un vaso con una pianta di circa un metro di altezza con tre gruppi di foglie verdissime. A Pomona non avevo più nessuna foglia in tutta la collezione di fichi e davanti ai miei occhi increduli avevo foglie di una verzura da mese di maggio. Mi disse che, trovata la pianta madre, aveva tenuta umida la talea irrorandola più volte al giorno con uno spruzzino, poi, esposta al sole, erano subito spuntate le foglie.

Mentre mi donava il vaso lo chiamarono al telefono, parlò qualche minuto e poi si rivolse a me informandomi che stavano per arrivare i rami e se li volevo. Aveva trovato un esemplare di Ostaria abbandonato, completamente coperto dai rovi, ma gigantesco. Per rinforzare la pianta ne aveva fatto potare la parte superiore.

Dopo poco ci raggiunse un furgone con cassone aperto carico di rami di potatura di Ostaria.

A fianco del vaso che mi ero già messo in macchina riempii completamente i sedili posteriori di rami per farne un buon numero di talee.

Dopo aver scelto insieme ai miei collaboratori il luogo dove mettere a dimora la pianta che Lorenzo ci aveva donato (un posto dove passiamo tutti più volte al giorno in modo da poterla tenere costantemente sott’occhio) abbiamo trapiantato in vaso tantissime talee, altre talee le abbiamo messe direttamente in terra con tutti i diversi sistemi che conosco: a proboscide, a ramo pluriennale interrato e a zampa di gallina.

Ora mi sento un po’ più tranquillo.

 

***

Ringrazio ancora Lorenzo per la dedizione con cui mi ha preparato uno tra i più bei regali della mia vita e penso a quanto questo regalo sia stato fatto anche a Ostaria. Lorenzo, come tutti i veri contadini, conosce esattamente l’inestimabile valore della biodiversità e, ancora una volta dalla parte delle piante, ha capito che l’unico sistema per salvare Ostaria fosse quello di darla a me perché a mia volta l’affidassi a tante diverse amorevoli mani.

 

Una donazione per salvare Ostaria

Da tutto questo è nata l’idea di un progetto ispirato a una catena di Sant’Antonio a fin di bene: a partire da oggi, con consegna a giugno ‘24, quando le piantine saranno radicate e in fogliazione, avrete la possibilità di prenotare Ostaria a partire da € 50,00. Un costo decisamente alto per una pianta di fico per quanto esclusiva, ma giustificato e accessibile per una donazione finalizzata alla conservazione della biodiversità. Chiunque acquista la pianta potrà a sua volta, se è capace di riprodurla, rivenderla al prezzo che riterrà più congruo, in modo da rifarsi del costo iniziale, oppure donarla diventando, sia in un caso che nell’altro, a sua volta attore di un sistema virtuoso di conservazione della biodiversità. Un gesto concreto che a voi consente di partecipare attivamente al progetto e a noi di recuperare altre varietà a rischio di estinzione, ricordando che la biodiversità non si salva con i convegni, ma quando le piante affondano le proprie radici nella terra madre e nutrice.

Per prenotare una piantina sarà sufficiente effettuare un versamento con PayPal: http://www.paypal.me/igiardinidipomona/50 oppure mediante

un bonifico intestato a:

Azienda agricola dimostrativa “I giardini di Pomona “di P. Belloni

IBAN: IT78X0306978934100000679003 inviando la ricevuta a: [email protected] . In entrambi i casi vanno inviati i dati per poter effettuare la consegna: nome, cognome, numero di telefono e indirizzo del luogo dove si vuole che la pianta venga consegnata. I costi di spedizione per l’Italia sono inclusi.

Se si desidera che insieme alla pianta giunga al destinatario anche questo racconto ricordarsi di inserire la mail del destinatario.

Naturalmente l’importo della donazione non ha limiti per eccesso!

Sarà nostra cura comunicarvi la data della spedizione delle piantine non appena saranno pronte.

 

Informazioni utili per i sostenitori

A partire da giugno riceverete Ostaria in un vaso 12×12. Potrete tenere la piantina nello stesso vaso fino a novembre oppure travasarla in un vaso un po’ più grande da 3 litri a fine luglio. Se volete piantarla in terra piena vi conviene aspettare la caduta delle foglie a novembre.

Le piante continuano a sviluppare le radici e durante l’inverno si adattano meglio al terreno. Così non sarà necessario prendersene cura fino alla primavera ‘25. Se si decidesse di tenere la pianta in vaso, è opportuno cambiarle vaso ogni anno, per i primi anni, aumentando progressivamente il diametro e aggiungendo il terriccio mancante. Innaffiare sempre fino a fare fuoruscire l’acqua dai fori alla base subito dopo i trapianti.

 

Consigli per la piantumazione in terra piena

Il fico è una pianta mediterranea. Scegliete di posizionarlo in pieno sole, in un luogo senza ristagni d’acqua e ad una ragionevole distanza dalla casa e da eventuali cisterne in quanto le sue potenti radici possono, allungandosi, combinare guai. Non preoccupatevi del suolo, il fico è una pianta facile che si adatta a qualsiasi tipologia di terreno (adora le rovine di cemento), è un albero parsimonioso e generoso. Consente tutti gli errori di potatura senza soffrirne troppo. L’essenziale è bagnarla per i primi tre anni da aprile a ottobre in modo che possa estendere bene le proprie radici e diventare perfettamente autonoma. Ma non abbiate timore: anche in questo caso vi segnalerà quando vuole acqua abbassando le foglie.

Quando si innaffia una pianta bisogna sempre innaffiarla con abbondanza e poi lasciarla asciugare fino a quando non vi chiederà nuovamente l’acqua. Le piante muoiono più spesso per marciume radicale che per siccità e se sono troppo viziate perdono caratteri di rusticità. Tuttavia una buona concimazione, meglio se con stallatico maturo, verrà senza dubbio apprezzata.

Il fico non teme troppo il freddo, resiste tranquillamente a -10° e neppure il vento e l’acqua salmastra. Se vi preoccupate solo di dargli da bere quando ha sete vi darà delle magnifiche soddisfazioni e, visto che può raggiungere cent’anni di età, tanti frutti per voi e le generazioni future. Poi, come scrive Carmine Abate è “l’albero della fortuna”.

Da ultimo, chi prenoterà una pianta riceverà due nuovi testi:

  1. Perché il fico
  2. Il fico, scrigno di tesori per la salute.

Di Luv, l’altra varietà di fico piacentino, nera come il lupo nelle favole dei bambini, che ho salvata da sicura estinzione… vi racconterò un’altra volta.

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Dic
25
2023
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Darwin e i suoi erbari

Rivelare le storie inedite dietro alle specie di Darwin che hanno plasmato l’evoluzione

Il Progetto di Digitalizzazione di Kew sta stimolando un nuovo studio sulle collezioni di piante di Charles Darwin provenienti dal suo famoso viaggio a bordo dell’HMS Beagle.

 

Quasi due secoli dopo che il giovane Charles Darwin, all’età di 22 anni, partì per il suo viaggio intorno al mondo a bordo dell’HMS Beagle – un viaggio che ispirò la sua visione dell’evoluzione – le specie vegetali che raccolse continuano a fornire nuovi spunti e rimangono un’area attiva di ricerca curatoriale. L’Erbario di Kew, uno dei più grandi al mondo, è un importante centro delle collezioni di piante di Darwin. Dei 1.400 campioni vegetali raccolti da Darwin a bordo dell’HMS Beagle, circa 450 sono conservati a Kew, mentre la maggior parte situata presso l’Erbario dell’Università di Cambridge.

 

Cosa contiene la collezione di KEW di campioni di Darwin?

La collezione di Kew rappresenta 75 famiglie di piante, raccolte da Darwin in luoghi come le isole Galápagos, la Terra del Fuoco e l’arcipelago di Chonos in Cile. Ma poiché nuove informazioni su chi abbia raccolto quale pianta emergono continuamente con la digitalizzazione e la catalogazione digitale dei campioni, resi disponibili online tramite il  progetto di digitalizzazione, nessuno conosce con certezza l’intero elenco dei campioni di Darwin.

Il compito di identificare ogni singola pianta raccolta da Darwin, o da qualsiasi collezionista dell’era vittoriana, è reso più difficile dal fatto che all’epoca era pratica comune attaccare più campioni vegetali su un unico foglio di erbario. Ciò crea problemi poiché i fogli devono essere archiviati in base a uno solo dei taxa presenti, quindi qualsiasi materiale attaccato a un campione non correlato è molto difficile da rintracciare. Ora un ambizioso progetto per digitalizzare l’intera collezione di più di 8 milioni di campioni di piante e funghi di Kew sta mettendo in luce alcuni angoli nascosti di questo unico archivio botanico.

 

Riscoperta di campioni storici

Nel processo, gli scienziati stanno scoprendo campioni di collezionisti precedenti che sono rimasti inosservati per anni. Se ciò includerà tesori sconosciuti di Darwin resta da vedere. Ciò significa che mentre il viaggio del Beagle è entrato da tempo nei libri di storia, le collezioni di piante di Darwin sono soggette a continue indagini e a una certa incertezza. Ciò che non è in discussione, tuttavia, è l’importanza storica e botanica dei campioni che ha raccolto mentre il Beagle viaggiava attraverso l’Atlantico, attorno all’America del Sud e ritorno in Inghilterra attraverso il Pacifico nel suo viaggio di esplorazione per l’Ammiragliato britannico dal 1831 al 1836.

 

Come Darwin giunse alla teoria della selezione naturale

Di particolare rilevanza sono il gran numero di campioni delle isole Galápagos, dove Darwin scoprì che le specie di piante e animali differivano da un’isola all’altra, anche se molte delle isole non erano lontane tra loro. Fu mentre rifletteva su questo che Darwin iniziò a formulare le sue idee rivoluzionarie sull’evoluzione della vita sulla Terra e sull’idea che una specie potesse generare più specie, ognuna sfruttando nicchie diverse.

E’ noto che Darwin fu ispirato dall’evoluzione adattativa dei fringuelli delle Galápagos, che hanno becchi diversi da un’isola all’altra, ma le piante giocarono anche un ruolo cruciale nello sviluppo della sua teoria sull’origine delle specie. Nel processo di raccolta di una vasta gamma di specie vegetali, creò una preziosa risorsa botanica che rimane fondamentale per la comprensione moderna dell’ecologia fragile dell’area. Prima della visita di Darwin nel 1835, si sapeva molto poco sulla gamma di fauna delle isole Galápagos e la sua visita fu trasformativa. Dopo cinque settimane di duro lavoro, i suoi sforzi di raccolta avevano coperto circa il 24% di tutta la flora delle isole conosciuta oggi.

 

Il ruolo delle piante nella teoria di Darwin

Catalogare e comprendere la rilevanza di ciò che aveva trovato fu un processo lungo e avrebbe richiesto un’altra decade per essere portato a termine. Darwin imballò con cura e inviò a casa campioni dal Beagle al suo mentore, il professor John Henslow a Cambridge, e i due uomini scambiarono lettere in cui Darwin esponeva le sue teorie in via di sviluppo. Gli Archivi di Kew contengono 44 di queste lettere. Le piante emersero successivamente come avendo un ruolo fondamentale nello sviluppo della teoria di Darwin sulla selezione naturale. I metodi innovativi di insegnamento di Henslow, tra cui l’uso di collezioni erbarie e conferenze illustrate, espose Darwin agli intricati schemi di variazione all’interno delle specie vegetali.

Le collezioni di piante di Darwin dal suo viaggio trasformativo, inviate a Henslow, gettarono le basi per la sua comprensione delle popolazioni e della variazione all’interno di esse. Queste prime esplorazioni botaniche, guidate dalla tutoria di Henslow, prefigurarono sottilmente i concetti evolutivi che avrebbero successivamente rivoluzionato la biologia. Fu solo nel 1843 che il giovane Joseph Dalton Hooker, figlio del direttore dell’epoca dei Giardini di Kew, accettò di esaminare dettagliatamente le piante delle Galápagos di Darwin.

 

Charles Darwin e Joseph Hooker discutono le scoperte di Darwin

Hooker presentò i suoi risultati a tre riunioni della Linnean Society nel 1845, descrivendo decine di nuove specie e concludendo che più della metà delle piante delle Galápagos non si trovava da nessun’altra parte nel mondo. In altre parole, erano endemiche e, in molti casi, limitate a singole isole. Hooker e Darwin, che divennero amici stretti, si impegnarono in una vivace corrispondenza sulle piante delle Galápagos mentre Darwin perfezionava la sua teoria dell’evoluzione.

In una famosa lettera del 1844 a Hooker, Darwin confidò per la prima volta la sua convinzione che le specie non fossero immutabili, aggiungendo che dire una cosa del genere era “come confessare un omicidio”. Di particolare interesse per Darwin e Hooker erano le piante della famiglia delle Asteraceae a causa del grande numero di generi e specie endemiche in questo gruppo. Diverse di queste piante sono presenti in modo prominente nell’Erbario di Kew, e la famiglia botanica è anche al centro degli sforzi moderni per proteggere la delicata flora delle Galápagos.

Gli ambientalisti sono preoccupati per il progressivo impoverimento delle foreste delle Galápagos di Scalesia, un genere di Asteraceae che forma alberi giganti con fiori a forma di margherita. Le piante sono uniche nelle Galápagos e ciascuna delle specie mostra una notevole adattamento alle condizioni di crescita nelle diverse isole. Sfortunatamente, ora sono minacciate dalla deforestazione, dai cambiamenti climatici e dalla diffusione delle piante di more invasive, che impediscono alla prossima generazione di alberi di crescere.

 

Accelerare la scienza utilizzando i campioni di Darwin

Oggi, un obiettivo chiave della Charles Darwin Foundation nelle Galápagos è salvare la specie Scalesia cordata, un albero endemico della parte meridionale dell’isola di Isabela che è sull’orlo dell’estinzione. Il progetto di digitalizzazione a Kew è ancora nelle fasi iniziali, con altri sei milioni di campioni da digitalizzare entro il 2026, il che significa che un tesoro di campioni di piante e i loro segreti devono ancora essere scoperti. Le collezioni di Kew sono fondamentali sia per la ricerca attuale che per le generazioni future per affrontare le nostre sfide più grandi, compresi i cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità.

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Dic
25
2023
0

Auguri 2023/24

 

Sogno un mondo di Pace che si dispiega nel sorriso grato dell’innocenza, dove l’uomo si prende cura degli altri esseri animati o inanimati su questa Terra. La vita frenetica ci distrae dalla realtà del tempo che passa e quando ce ne rendiamo conto, spesso, gran parte di esso è già passato. Cosa rimane? Quante volte l’uomo si è tradito nell’onnipotenza di sopraffare gli altri per un pezzo di terra o per una carriera… quante volte ha vissuto nella superficialità dei momenti?

Ci è stata data una vita, una possibilità di raggiungere coloro che il destino ci ha fatto incontrare. Non possiamo rimanere indifferenti. L’altro, che ci piaccia o no, ora vive nello stesso momento in cui noi consumiamo la nostra vita.

Ai viaggiatori di passaggio è stata data l’opportunità di amare, gioire, perseguire la bontà e la bellezza per una vita piena. Non c’è tempo per essere tristi e sprofondare nelle miserie e nelle difficoltà che prima o poi incontriamo. Auguro a tutti un buon Natale e di trovare spazio nel nostro cuore anche per chi non è fortunato come noi e fatica a trovare la serenità. Cerchiamo di perseguire tutte le opportunità che la vita ci offre nell’affetto dei nostri cari, nell’immensità, nell’incanto e nella comunione di ogni forma del Creato.

Auguri!

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