Mar
31
2016

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Verde pace

 

Da una recente ricerca pubblicata su Journal of Environmental Psychology (Lee et al., 2015), è emerso sorprendentemente che in due gruppi di studenti universitari, i primi che vedevano l’immagine di un tetto di cemento spoglio per 40 secondi e gli altri lo stesso tetto inerbito e fiorito, si comportavano differentemente. Gli studenti che vedevano il tetto verde commettevano meno errori di omissione ed erano molto più concentrati nelle prove che venivano loro sottoposte successivamente. La vista del verde suscitava un benessere psicologico e stimolava il controllo dell’attenzione a livello corticale e sub-corticale. Questa ricerca la dice lunga sull’importanza del verde, soprattutto in ambienti lavorativi, ospedalieri e scolastici, e sulla necessità di avere una finestra davanti a sé quando si svolgono compiti ripetitivi o di usufruire di pause brevi e continue durante una lunga giornata lavorativa. Ricordo che quando lavoravo in un istituto alberghiero, insegnavo in una classe a piano terra, simile un negozio: la stanza aveva una finestra che affacciava su una saracinesca chiusa con una catena, impossibile da sollevare, per cui le lezioni erano svolte al chiuso e sotto luce neon. Dubito che gli studenti riucissero a concentrarsi più di tanto. Considerando poi che questi ragazzi svolgevano la ricreazione nel corridoio, davanti a un distributore di merendine e bibite, potete immaginare l’atmosfera di squallore.  Tornando agli studi seri, Lee e coautori, non contenti dei loro tetti cementificati, hanno anche provato a coprirli con diveri tipi di vegetazione, osservando che una vegetazione più alta, verde, erbosa e petalosa era preferita a una rada, rossastra e con la presenza di piante grasse.

Studenti che svolgono attività fisica nel verde hanno una migliore autostima rispetto a quelli che la fanno in palestra (dando per scontato che si faccia; io ricordo solo capriole su piastrelle di cemento, certificati medici e corse improvissate prima di compiti in classe di greco). Uno spazio aperto, seppure un piccolo parco con alberi potati geometricamente e uno sterrato, pone infatti problemi e capacità di adattamento maggiori di qualunque spazio chiuso, per cui i ragazzi imparano ad adattarsi, con evidenti vantaggi sulla loro capacità di risolvere i problemi. E’ anche per questo che il contatto con la natura già dall’infanzia influisce positivamente per tutta la vita di una persona.

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I soffitti cementificati o inverditi di Lee et al. (2015).

 

Test in cui cavie umane sono state sottoposte a filmati 3D di viali più o meno alberati hanno evidenziato che le persone che guardavano film con più verde (soprattutto passando da viali spogli ad altri parzialmente alberati) riuscivano a recuperare gli effetti di vari fattori di stress (rumori, compiti cognitivi, discorsi davanti a un pubblico, emozioni improvvise) precedenti alla visione del filmato. Penso alle nostre città, spesso prive di verde, e all’importanza della pianificazione urbanistica, che ha grandi effetti per il benessere dei cittadini (esiste una branca della ecologia, ciamata “ecologia urbana”, che si occupa anche di questi aspetti).

 

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Viali con diverse percentuali (1,7%, 34% e 68%) provocano effetti diversi. Da Jiang et al. (2014).

 

Non sono solo gli stimoli visivi della natura a dare beneficio, ma anche i suoni. Studi su gruppi di persone sottoposti ad ambienti virtuali con e senza verde, con e senza suoni naturali, hanno dimostrato che le immagini di foreste accompagnate da stimoli uditivi inducono un migliore benessere psicofisico e una maggiore capacità di sopportare gli stress.

Niente di nuovo, direte, ma gli studi su questi temi stanno aumentando esponenziamente negli ultimi anni e diventano sempre meno empirici e sempre più raffinati. La crescita di studi è inoltre proporionale all’aumento dell’urbanizzazione mondiale (oramai oltre il 50% degli uomini vive in città) e da stili di vita sempre più lontani da ambienti naturali.

Oltre ad una maggiore capacità di concentrazione, attenzione, felicità e riduzione dello stress (non è un caso che in Olanda ci sia il minore tasso di criminalità europeo e le ore trascorse nella natura siano mediamente 4 al giorno), il contatto con la natura migliora la salute (obesità, malattie cardiovascolari, stato psicologico), la coesione sociale e il recupero da traumi gravi. A quest’ultimo proposito, uno studio dell’Università del Michigan programmi di riabilitazione nel verde hanno migliorato di molto le condizioni di vita di veterani di guerra con profondi traumi, tra cui accentuate tendenze autolesioniste e suicide. Per quanto concerne la prosocialità, è stato visto che la cordialità, l’empatia, la generosità, la fiducia e l’aiuto reciproco aumentano dopo il contatto con ambienti naturali (prevalentemente forestali e ricchi di acqua).

E’ altresì vero che non è solo la presenza di parchi a dare benefici ma anche il loro grado di accessibilità (ad es., pubblico o privato, recintato o meno, ecc.), e il tipo di fruizione attiva (campi da gioco, piscine, percorsi pedonali o ciclabili, ecc.) o passiva (arboreti, aree picnic, capanni, ecc.). Sembra inoltre che gli spazi con una maggiore biodiversità vegetale, percepita o esaminata dopo aver impartito ai gruppi di persone delle mini-lezioni, inducano un benessere psicofisico maggiore.

Anche camminare nel verde o nel cemento fa la sua differenza. In uno studio (Bratman et al., 2015) nei dintorni di Stanford, in California, è stato osservato che camminare in ambienti naturali determina benefici affettivi (minore ansia e maggiore persistenza di pensieri positivi) e cognitivi (aumento della memoria di lavoro e della concentrazione). Potrebbe essere questa semplice pratica a prevenire, curare o almeno minimizzare gli effetti di disordini picologici, inclusa la depressione. Sempre Bratman et al. (2015), nella prestigiosa rivista PNAS, hanno fatto per primi un importante passo in avanti, saltando il fosso dell’empirismo, e dimostrando che camminare nei boschi per 90 minuti diminuisce l’attività della corteccia prefrontale subgenuale, la cui attività è strettamente legata al pensiero persistente e ripetitivo (rimurginazione), quest’utimo uno de primi segnali di stress mentale e depressione. Al contrario, questi effetti sono trascurabili per percorsi cittadini tra palazzi e asfalto.

 

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Camminare nel verde diminuisce i pensieri ricorrenti (a sinistra) e l’attività di zone della corteccia prefrontale subgenuale (a destra). Da Bratman et al. (2015), PNAS.

 

Queste ricerche potrebbero far sorridere rispetto a problemi ben più imemdiati ma, in un mondo sempre più urbanizzato, la lotta cemento vs verde potrebbe essere di primaria importanza. L’uomo si è evoluto per milioni di anni prima in foreste e poi in spazi naturali ampi e variegati. Probabilmente conserviamo ancora il “ricordo genetico” di questi habitat e lo trasmettiamo di generazione in generazione. I cambiamenti ambientali, velocissimi, degli ultimi decenni hanno catapultato l’uomo in ambienti sempre più artificiali e stretti, ma gli effetti di questo cambiamento sulla psiche potrebbero essere sottili e a lungo termine. E’ noto che i topolini si trovano emotivamente meglio e sono più stimolati in gabbie piene di oggetti naturali (rami, paglia, cortecce, ecc.) rispetto a gabbie con equivalenti artificiali in plastica. Significativi sono anche gli effetti dell’illuminazione artificiale municipale e dei ritmi circadiani alterati sull’umore, sulle infiammazioni del sistema nervoso e sulla secrezione di neurormoni. Considerando che, per molti versi, l’urbanizzazione rappresenta un disadattamento evolutivo tra il “cervello contemporaneo” e i sistemi neurali dei nostri antenati, un aumento della vulnerabilità alle malattie psichiatriche può rappresentare una minaccia medica crescente che le popolazioni urbane affronteranno nei prossimi anni.

Il verde, anche a piccole dosi, basterà a non farci impazzire?

 

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L’Italia di notte (NASA). Quanto influisce l’illuminazione artificiale sul nostro umore?

 

 

Grazie a loro, ho scritto:

 

Assaf Shwartz, Anne Turbé, Laurent Simon, Romain Julliard (2013) Enhancing urban biodiversity and its influence on city-dwellers: An experiment. Biological Conservation 171: 82–90

Bin Jiang, Chun-Yen Chang, William C. Sullivan (2014) A dose of nature: Tree cover, stress reduction, and gender differences. Landscape and Urban Planning 132: 26–36

Catherine Paquet, Thomas P. Orschulok, Neil T. Coffee, Natasha J. Howard, Graeme Hugo, Anne W. Taylor, Robert J. Adams, Mark Daniel (2013) Are accessibility and characteristics of public open spaces associated with a better cardiometabolic health? Landscape and Urban Planning 118: 70–78

Ethan A. McMahan, David Estes (2015) The effect of contact with natural environments on positive and negative affect: A meta-analysis, The Journal of Positive Psychology 10 (6): 507–519

Gregory N. Bratman, Gretchen C. Daily, Benjamin J. Levy, James J. Gross (2015) The benefits of nature experience: Improved affect and cognition. Landscape and Urban Planning 138: 41–50

Gregory N. Bratman, J. Paul Hamilton, Kevin S. Hahn, Gretchen C. Daily, James J. Gross (2015) Nature experience reduces rumination and subgenual prefrontal cortex activation. PNAS 112 (28): 8567–8572

Gregory N. Bratman, J. Paul Hamilton, and Gretchen C. Daily (2012) The impacts of nature experience on human cognitive function and mental health. Ann. N.Y. Acad. Sci. 1249: 118–136

Jason Duvall, Rachel Kaplan (2013) Exploring the benefits of outdoor experiences on veterans.

Jia Wei Zhang, Paul K. Piff, Ravi Iyer, Spassena Koleva, Dacher Keltner (2014) An occasion for unselfing: Beautiful nature leads to prosociality. Journal of Environmental Psychology 37: 61–72

Kate E. Lee, Kathryn J.H. Williams, Leisa D. Sargent, Claire Farrell, Nicholas S. Williams (2014) Living roof preference is influenced by plant characteristics and diversity. Landscape and Urban Planning 122: 152–159

Kate E. Lee, Kathryn J.H. Williams, Leisa D. Sargent, Nicholas S.G. Williams, Katherine A. Johnson (2015) 40-second green roof views sustain attention: The role of micro-breaks in attention restoration. Journal of Environmental Psychology 42: 182–189

Katharine Reed, Carly Wood, Jo Barton, Jules N. Pretty, Daniel Cohen, Gavin R. H. Sandercock (2013) A repeated measures experiment of green exercise to improve self-esteem in UK school children. PLoS ONE 8(7): e69176

Kelly G. Lambert, Randy J. Nelson, Tanja Jovanovic, Magdalena Cerdá (2015) Brains in the city: Neurobiological effects of urbanization. Neuroscience and Biobehavioral Reviews 58: 107–122

Matilda Annerstedt, Peter Jönsson, Mattias Wallergård, Gerd Johansson, Björn Karlson, Patrik Grahn, Åse Marie Hansen, Peter Währborg (2013) Inducing physiological stress recovery with sounds of nature in a virtual reality forest — Results from a pilot study. Physiology & Behavior 118: 240–250

Roly Russell, Anne D. Guerry, Patricia Balvanera, Rachelle K. Gould, Xavier Basurto, Kai M.A. Chan, Sarah Klain, Jordan Levine, Jordan Tam (2013) Humans and nature: How knowing and experiencing nature affect well-being. Annu. Rev. Environ. Resour. 38: 473–502

Terry Hartig, Richard Mitchell, Sjerp de Vries, and Howard Frumkin (2014) Nature and health. Annu. Rev. Public Health 35: 207–228

Viniece Jennings, Cassandra Johnson Gaither (2012) Approaching environmental health disparities and green spaces: An ecosystem services perspective. Int. J. Environ. Res. Public Health 12: 1952–1968

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