Mag
10
2016
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Come rendere velenosi i funghi, ma a scopo buono

01 - Funghi

 

Questo blog parla di piante ma oggi sconfiniamo un po’. Tra le varie tecncnologie usate per decontaminare suoli e acque inquinate, il biorisanamento è una delle più affascinanti. Si tratta dell’uso di piante, funghi e microorganismi per rimuovere, contenere, inattivare e/o degradare contaminanti ambientali pericolosi.

Nel caso delle piante, si parla di fitorisanamento, e il suo successo dipende da molti fattori, quali: estensione della contaminazione, disponibilità e accessibilità ai contaminanti per i microrganismi rizosferici (che vivono cioè intorno alle radici), assorbimento radicale, capacità delle piante di intercettare, assorbire, accumulare e/o degradare i contaminanti, facilità nella raccolta delle piante, trattamenti post raccolta (ad es., compostaggio, compattamento, trattamenti termici) per ridurre il volume e il peso della biomassa e, eventualmente, per riciclare i containanti (as es. metalli).

 

02 - Fitorisanamento

Figura 1. Il principio del fitorisanamento: estrazione di inquinanti del suolo e traslocazione dalle radici al germoglio.

 

Le specie vegetali da usare per il fitorisanamento possono essere selezionate per la loro capacità di estrarre contaminanti dal suolo e accumularli nei tessuti, modificare le caratteristiche del suolo o dei metalli riducendo la mobilità degli inquinanti, estrarre dal suolo e decomporre chimicamente i composti inquinanti, creare nel terreno un ambiente favorevole alla degradazione dei contaminanti con processi biochimici naturali. La rimozione dei contaminanti inorganici avviene per stabilizzazione (immobilizzazione dei metalli pesanti mediante legami chimici con sostanze prodotte dalle radici, al fine di rallentarne o inibirne la migrazione verticale verso la falda) ed estrazione (accumulo nei tessuti vegetali ad alte concentrazioni, soprattutto nelle parti aeree). Al termine del trattamento la biomassa vegetale deve essere raccolta e smaltita. La rimozione dei contaminanti organici avviene per prelievo diretto (trasformazione e accumulo dei metaboliti nei tessuti delle piante) o per modifica delle proprietà chimico-fisiche del suolo e rilascio radicale di fattori enzimatici, che stimolano l’attività dei microrganismi autoctoni.

Ben più interessante è l’utilizzo di funghi per il biorisanamento (micorisanamento). I funghi sono organismi molto peculiari a causa delle loro caratteristiche morfologiche, fisiologiche e genetiche. In termine di biodiversità, i funghi nel loro insieme sono il secondo gruppo tassonomico più abbondante, con 1,5 milioni di specie (di cui solo 100.000 identificate), secondi solo agli artropodi. Ancor più delle piante, i funghi sono ubiquitari e capaci di colonizzare tutte le matrici (suolo, acqua, aria) in ambienti naturali. L’aria in particolare è un veicolo importante per la diseminazione di propaguli fungini (conidi, spore, ife), che rappresentano la componente principale del bioaerosol. Il suolo rimane comunque l’habitat principale di questi organismi a causa delle numerose nicchie ecologiche presenti in una varietà di biomi, dalla tundra artica alle dune dei deserti. Nel suolo, inoltre, i funghi sono in grado di stabilire simbiosi con altri organismi, in particolare piante e, in minor misura, animali.

 

03 - Pleurotus agar

04 - Pleurotus liquido

Figura 2. Pleurotus ostreatus (cardoncello) coltivato in agar e in coltura liquida.

 

Al contrario delle piante, i funghi sono organismi eterotrofi, come gli animali, e ottengono le sostanze necessarie per la propria crescita in tre modi differenti: saprofitimo, parassitismo o simbiosi mutualistica. I saprotrofi decompongono la sostanza organica e contribuiscono così al riciclo degli elementi. Molti altri funghi sono biotrofi e formano associazioni simbiontiche con piante (micorrize), alghe, animali (soprattutto artropodi) e batteri. Alcuni di essi sono patogeni, anche per l’uomo.

Virtualmente, tutti i composti organici di origine naturale possono essere degradati da una o più specie fungine grazie alla produzione di una varietà di enzimi intracellulari, riconducibili ai tre grandi gruppi delle amilasi, lipasi e proteasi, e all’attività di enzimi extracellulari, i più comuni dei quali sono ossidoriduttasi (ad es., lignina perossidasi, manganese perossidasi e laccasi). Un numero limitato di specie possono degradare pectine, cellulosa e emicellulosa come fonte di carbonio. Infine, alcuni funghi sono i principali degradatori di polimeri naturali particolarmente complessi e resistenti all’attacco microbico, come la cheratina, la chitina e la lignina.

La capacità di degradare quest’ultima sostanza, molto peristente e quindi lentamente biodegradabile, è una fortuna per noi, in quanto l’apparato di enzimi usato per la decomposizione del legno può essere anche usato per attaccare numerosi composti aromatici e alifatici (i “mattoncini” della struttura della lignina), inclusi alcuni inquinanti ambientali, come idrocarburi policiclici aromatici (IPA), bifenili policlorurati (PCB), coloranti, TNT, nitroglicerina, pesticidi, erbicidi, ecc.

 

05 - Ecophysiology fungi

Figura 3. Differenti gruppi ecofisiologici di funghi potenzialmente coinvolti nel biorisanamento (Goltapeh et al., 2013).

 

I funghi saprofiti sono ben conosciuti, già da 50 anni, per la loro capacità di degradare inquinanti e quindi per il loro potenziale uso nel micorisanamento. Anche i funghi simbionti, distribuiti nei suoli attraverso ne radici delle piante, possono essere candidati per risanare suoli contaminati. Ad esempio, i funghi micorrizici occupano una interfaccia strutturale e funzionale tra la decomposizione e la produzione primaria e hanno un ruolo chiave in molti suoli, in quanto mobilizzano i nutrienti da fonti organiche e possiedono anche capacità saprofitiche ben sviluppate grazie ad enzimi ossidativi e idrolitici.

Insieme alla capacità di degradare una vasta gamma di inquinanti, i funghi utili per il micorisanamento dovrebbero possedere anche altre caratteristiche, come la capacità di colonizzare velocemente ed omogeneamente i suoli, resistere ad alte concentrazioni di composti tossici, sopravvivere per lunghi periodi in condizioni restrittive, e competere con gli altri microorganismi del suolo.

Nel mio piccolo, ho svolto parte di un esperimento (Buchiccio et al., 2016) riguardante la degradazione di due prodotti farmaceutici (carbamazepina, un antiepilettico, e claritromicina, un antibiotico) da parte di due funghi (Pleurotus ostreatus, il comune cardoncello, in grado di degradare legno, e Trichoderma harzianum, un fungo rizosferico usato in agricoltura come microorgansmo di biocontrollo, in grado di respingere patogeni e favorire la creita delle piante). Lo studio è stato svolto in ambiente acquoso in condizioni aerobie. Dopo già 7 giorni, i due funghi sono stati in grado di degradare i due composti in sottoprodotti farmaoclogicamente inattivi e non pericolosi per l’ambiente.

In questo studio, la capacità biodegradante di farmaci da parte di T. harzianum, un importante fungo in grado di promuovere la crescita delle radici (e per qusto motivo molto usato in campo vivaitico e aronomico in generale) è stata accertata essere comparabile o addirittura maggiore di quella dei funghi del marciume bianco del legno (white rot), quali il Pleurotus. L’utilizzo di acque irrigue contaminate da principi attivi comporta un grande pericolo potenziale: l’assorbimento ed il trasferimento di tali contaminanti all’interno delle piante. Inoltre, a seconda delle proprietà chimico-fisiche dei principi attivi, il trasferimento dalle radici alle foglie della pianta sarà più o meno favorito. Per questo sarebbe interessante verificare in laboratorio tali sistemi includendo anche le piante, ricreando in questo modo le condizioni presenti negli ambienti naturali.

 

06 - Micorisanamento

Figura 4. Sottoprodotti di degradazione della claritromicina da parte di Pleurotus ostreatus e Trichoderma harzianum (Buchicchio et al., 2016).

 

Oltre a molti farmaci, T. harzianum è in grado di degradare DDT, dieldrina, endosulfano, pentacloronitrobenzene, pentacorofenolo, e numerosi erbicidi, e di accumulare alcuni metalli, quali il cadmio in una vasta gamma di condizioni ambientali. Rispetto ai “consueti” funghi usati per il micorisanamento, l’aspetto applicativo interessante è che Trichoderma avrebbe una duplice funzione: da una parte aumenta le rese colturali perché protegge le piante da patogeni stimolando i loro sistemi di difesa (questo si tradurrebbe in diminuzione dell’uso di fungicidi, nematicidi, acaricidi e insetticidi) e favorisce la crescita e lo sviluppo delle piante, dall’altra è in grado di risanare gli ecositemi in caso di contaminazioni di vario genere. Trichoderma, infatti, è stato anche applicato per il biorisanamento di suoli contaminati da metaboliti tossici prodotti da microorganismi.

Oltre a Trichoderma e Pleurotus, però, sono molti I generi fungini già usati per il fitorisanamento o potenzialmente utilizzabili per questo scopo. In alcuni casi, prima dell’utilizzo in campo su larga scala, si procede al sequenziamento di interi genomi fungini alla ricerca di geni potenzialmente utili (di solito cidificanti enzimi in grado di degradare le sostanze inquinanti). Alcuni di essi, ad es. Piriformospora indica e Sebacina vermifera, come Trichoderma, sono funghi promotori di crescita delle piante. Aspergillus, Fusarium, Rhizomucor e Emericella spp. sono spesso usati per il disinquinamento di suoli contaminati da metalli pesanti. Anche funghi comuni ed eduli (ad es. alcuni rappresentanti di Pleurotus, Agaricus e Lactarius spp.), o i cosiddetti “funghi a mensola” (Coriolus spp.) e gelatinosi (Jelly spp.) sono normalmente usati come funghi micorisananti, e la loro azione può essere esaltata da detergenti e biosurfattanti naturali o di artificiali.

 

 

Grazie a loro, ho scritto:

 

Buchicchio A., Bianco G., Sofo A., Masi S., Caniani D. (2016) Biodegradation of carbamazepine and clarithromycin by Trichoderma harzianum and Pleurotus ostreatus investigated by liquid chromatography – high-resolution tandem mass spectrometry (FTICR MS-IRMPD). Science of the Total Environment 557–558: 733-739

Goltapeh E.M., Danesh Y.R., Varma A. (2013) Fungi as Bioremediator. Springer-Verlag Berlin Heidelberg. ISBN 978-3-642-33810-6

Kulshreshtha S., Mathur N., Bhatnagar P. (2014) Mushroom as a product and their role in mycoremediation. AMB Express 2014, 4: 29

Min B., Park H., Jang Y., Kim J.J., Kim K.H., Pangilinan J., Lipzen A., Riley R., Grigoriev I.V., Spatafora J.W., Choi I.G. (2015) Genome sequence of a white rot fungus Schizopora paradoxa KUC8140 for wood decay and mycoremediation. Journal of Biotechnology 211: 42-43

Singh M., P.K. Srivastava, P.C. Verma, R.N. Kharwar, N. Singh and R.D. Tripathi (2015) Soil fungi for mycoremediation of arsenic pollution in agriculture soils. Journal of Applied Microbiology 119: 1278-1290

Wu M., Xu Y., Ding W., Li Y., Xu H. (2016) Mycoremediation of manganese and phenanthrene by Pleurotus eryngii mycelium enhanced by Tween 80 and saponin. Appl. Microbiol. Biotechnol. Published online: 22 April 2016. DOI 10.1007/s00253-016-7551-3

 

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