Gen
26
2023
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I disastri ambientali della guerra in Ucraina

Questo mese vi rimando ad un articolo di Lisa Signorile, bravissima divulgatrice scientifica, pubblicato sulla testa online “Il Tascabile” in cui si parla del disastro ambientale della guerra in Ucraina, un danno enorme che può esssere esteso a tutte le guerre in corso. Ho scritto una piccolissima parte dell’articolo e ho calcolato il rilascio di CO2 da parte dei suoli bombardati (se volete vedere il foglio di calcolo che ho elaborato, lo trovate qui). Scrive Lisa Signorile:

“La biochimica del suolo ha dei cicli biogeochimici piuttosto complessi che si basano principalmente sui microrganismi”, spiega Adriano Sofo, professore associato esperto di chimica del suolo dell’Università della Basilicata. “Le alte temperature distruggono i microrganismi del suolo, per non parlare della sua fauna, come i lombrichi. A temperature di 800 gradi la componente silicea del suolo vetrifica, cambiandone la struttura chimica, e la componente organica, come l’humus, mineralizza. Quello che rimane, cioè ceneri e minerali fini, viene eroso dagli agenti atmosferici”.
Ogni centimetro di suolo fertile distrutto è una perdita incalcolabile, visto che impiega centinaia di anni per rigenerarsi. Al danno al suolo fertile c’è poi da aggiungere la conversione del carbonio organico in CO2, che si disperde in grosse quantità in atmosfera, contribuendo al cambiamento climatico: ogni ettaro bombardato, ammettendo abbia un contenuto di sostanza organica del 4% in peso e che vengano combusti solo i primi 20 cm di suolo, può rilasciare in atmosfera quasi 400 tonnellate di CO2. Fortunatamente, il suolo, a causa della sua porosità, è un pessimo conduttore di calore e quindi solo i primi centimetri saranno persi irrimediabilmente”.

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Dic
29
2022
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Auguri di Buone Feste

E’ per me sempre più faticoso scrivere su questo blog e mi rendo conto di arrivare in affanno alla fine di ogni mese (il post di dicembre è ancora in sospeso ma arriverà presto!). Rimane pur sempre un grande piacere farlo, nonché un modo per imparare anche per me, per cui cerco sempre di ritagliarmi il tempo per preparare nuovi articoli il più possibile aggiornati e spero interessanti.

Auguro a tutti voi lettori più e meno assidui un augurio sincero di un buon 2023. Vi lascio con una foto di questo splendido agrifoglio che ho fotografato a Rifreddo, nei pressi di Potenza.

 

 

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Dic
27
2022
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Sottovalutati abitanti del suolo

Il termine “alghe” si riferisce generalmente a macroalghe, microalghe e cianobatteri, che sono organismi fotosintetici molto diversi tra loro. Mentre le prime sono organismi fotosintetici multicellulari di grandi dimensioni, i secondi sono organismi fotosintetici unicellulari o al massimo coloniali. Inoltre, sono tra i gruppi più antichi di esseri viventi; i cianobatteri, in particolare, sono apparsi per la prima volta sulla Terra più di 3 miliardi di anni fa e hanno contribuito a creare l’atmosfera che conosciamo oggi. Ho già parlato di inobatteri in questo blog (qui, qui e qui). Sebbene le piante vascolari siano gli organismi fotosintetizzanti più conosciuti ed evidenti, le microalghe e i cianobatteri blu-verdi producono circa il 50% dell’ossigeno atmosferico. Le microalghe e i cianobatteri sono considerati per lo più organismi acquatici, ma in realtà sono presenti in quasi tutti gli habitat, compresi quelli più estremi, quali le pareti degli edifici urbani, i deserti, le nevi dell’Antartide e l’aria a 2.000 metri di altezza, dove sono spesso gli unici produttori primari. In particolare, il carbonio fissato da questi microorganismi viene rilasciato nel suolo, migliorandone la struttura e la fertilità e favorendo così la crescita delle piante. Nonostante il loro ruolo ecologico, le microalghe e i cianobatteri terrestri sono organismi poco studiati che potrebbero essere minacciati da fattori come il cambiamento climatico, l’inquinamento o il degrado del suolo, ma finora sono stati raccolti pochi dati a riguardo.

Sia le microalghe che i cianobatteri sono per lo più considerati organismi acquatici, ma sono presenti in quasi tutti gli habitat che si possano immaginare, compresi quelli più estremi. Formano simbiosi, colonizzano rocce, suoli desertici, ghiacci polari e alpini, sono presenti nei suoli agricoli e forestali, costituiscono il fitoplancton e parte del fitobenthos, rappresentando il primo anello della catena alimentare. Inoltre, i cianobatteri azotofissatori blu-verdi del suolo forniscono un apporto gratuito di azoto, un elemento fondamentale dei fertilizzanti altrimenti costoso e spesso limitante per le piante coltivate. I cianobatteri sono considerati i pionieri degli ecosistemi terrestri e hanno un ruolo chiave nella formazione delle croste biologiche, nella solubilità e mobilità degli elementi, nella mineralizzazione della sostanza organica del suolo, e nel miglioramento della fertilità del suolo e della crescita delle piante. Queste caratteristiche li rendono particolarmente interessanti per il recupero e la conservazione della fertilità dei suoli degradati, come quelli aridi e semiaridi. Inoltre, la capacità di microalghe e cianobatteri di stabilizzare la struttura dei suoli è di particolare importanza nei suoli agricoli, sottoposti a continue lavorazioni che ne compromettono la qualità e la resilienza. Nei suoli altamente erosi/sprecati e in molti suoli agricoli sovrasfruttati, questi organismi possono promuovere la fertilità del suolo introducendo materia organica attraverso i loro processi fotosintetici, aumentando l’abbondanza e la diversità batterica e fungina, favorendo l’emergenza e la crescita delle piante, controllando biologicamente i patogeni vegetali, e potenziando le attività enzimatiche del suolo. Sono anche in grado di stimolare la crescita di altri microrganismi del suolo, favorendo la mineralizzazione della materia organica, la biodisponibilità e l’assorbimento dei nutrienti da parte delle piante.

Infine, le microalghe e i cianobatteri del suolo sono in grado di sintetizzare numerose molecole organiche complesse di alto valore biologico. I prodotti commerciali a base di macromolecole e metaboliti estratti dalle microalghe possono avere molteplici usi: alimentari, nutraceutici, industriali, farmaceutici, mangimi, biofertilizzanti e ammendanti, biostimolanti, biocarburanti e agenti i biocontrollo delle malattie delle piante. L’unicità e l’importanza della ricerca su questi microorganismi del suolo risiedono nel fatto che oggi si discute molto sui metodi per “ricarbonizzare” i suoli, ma si trascura il loro ruolo nella fissazione del carbonio. Poiché il topsoil (i primi 20-30 cm di suolo) è il più fertile e ricco di microbi, e considerando che le microalghe e i cianobatteri del suolo vivono in questo strato superficiale, essi possono svolgere un ruolo chiave nell’arricchimento della materia organica del suolo e nella regolazione dei cambiamenti climatici. Inoltre, in quanto organismi pionieri, aprono la strada alle piante, in un circolo virtuoso di fissazione del carbonio e conseguente riduzione dell’anidride carbonica atmosferica. Studiando questi produttori primari, possiamo informare sui cambiamenti climatici, sulla desertificazione e sui fattori che influenzano le questioni agronomiche, come l’uso di fertilizzanti e fitofarmcaci. Conservazionisti, ricercatori del clima, proprietari di terreni interessati a metodi di fertilizzazione alternativi, industria dei fertilizzanti, responsabili delle politiche ambientali e agricole, potrebbero essere le parti interessate che potrebbero beneficiare in prima persona dei risultati di questo tipo di ricerche. Inoltre, microalghe e cianobatteri possono essere facilmente rese visibili con immagini al microscopio ottico ottenute mediante tecniche di microscopia relativamente semplici e accessibili a tutti. Questo favorisce il coinvolgimento di studenti di ogni ordine e grado e del pubblico in generale, e la divulgazione sui social network più diffusi le immagini delle praterie algali e cianobatteriche più suggestive.

A causa del crescente interesse suscitato dai cambiamenti climatici e dal riscaldamento globale, uno degli obiettivi principali di questi studi potrebbe essere quello di aumentare la consapevolezza del potenziale di fissazione del carbonio da parte di due gruppi di organismi terrestri poco studiati, ovvero i Cianobatteri (procarioti fotosintetici) e le Cloroficee (eucarioti fotosintetici). Poiché questi microorganismi terrestri sono colonizzatori di ambienti aridi e poco fertili, una loro conoscenza approfondita potrebbe avere un impatto positivo sulla pianificazione urbana, sulla gestione agricola dei paesaggi degradati e sulla conservazione degli ambienti naturali. Inoltre, i prodotti e la biomassa derivanti da microalghe e cianobatteri fanno parte della bioeconomia. Quest’ultima è un sistema socio-economico che comprende e interconnette attività economiche che utilizzano risorse rinnovabili provenienti dal suolo e dal mare per produrre cibo, materiali ed energia, e rappresenta una declinazione fondamentale dell’economia circolare, in quanto, oltre a basarsi su risorse rinnovabili, alimenta il “ciclo biologico”, ossia il recupero e la valorizzazione energetica dei prodotti di origine biologica, il recupero e la valorizzazione energetica degli scarti organici dei processi produttivi e/o dei rifiuti.

Le applicazioni e potenzialità future sono vastissime. I dati del Blue Economy Annual Economic Report mostrano che nell’UE il settore delle alghe impiega attualmente 14.000 persone e ha un valore di circa 1,7 miliardi di euro, cifra che comprende la ricerca e lo sviluppo, la produzione di attrezzature e i posti di lavoro nella più ampia catena di approvvigionamento che dipende dalla produzione di alghe. A ciò si aggiunge un valore di mercato legato ai prodotti a base di alghe che si stima crescerà da circa 10 miliardi di dollari nel 2018 a circa 15 miliardi di dollari entro il 2024. La sfida del prossimo futuro passa attraverso lo sviluppo di impianti di coltivazione e tecnologie economicamente vantaggiose per la raccolta della biomassa, e l’ottimizzazione del metabolismo delle microalghe e dei cianobatteri per massimizzarne la produttività e la produzione di nuove molecole di interesse. Tutto ciò consentirà di sfruttare al massimo il potenziale di questi microorganismi, sostenendo la crescita di un’economia sostenibile. Le caratteristiche che rendono attraente e vantaggioso l’utilizzo di questi organismi fotosintetici risiedono nel fatto che hanno un tasso di crescita elevato e continuo, hanno un ciclo di vita breve e sono in grado di vivere in una varietà di condizioni di crescita, e che la maggior parte delle risorse necessarie per sostenere la produzione di biomassa non sono in competizione con l’agricoltura, rappresentando una fonte complementare ideale alla produzione agricola tradizionale. Infine, l’efficienza di conversione dell’energia solare in biomassa delle colture algali, e quindi la produttività per ettaro, è molto maggiore di quella ottenibile con le colture tradizionali. Va tenuto presente che, anche dal punto di vista delle energie rinnovabili, le colture algali sono una delle soluzioni potenzialmente più interessanti e sostenibili per ridurre l’impatto ambientale antropico.

In fin dei conti, la colonizzazione e la terraformazione di Marte potrebbero partire dalle microalghe e dai cianobatteri terrestri!

Concludo questo articolo con un po’ di foto di microalghe e cianobatteri isolati da un oliveto lucano che ho scattato personalmente. Guardandole, penso che Darwin avesse ragione a definire gli organismi viventi “infinite forme bellissime”.

 

Grazie a loro, ho scritto:

Al-Maliki, S., Ebreesum, H. (2020). Changes in soil carbon mineralization, soil microbes, roots density and soil structure following the application of the arbuscular mycorrhizal fungi and green algae in the arid saline soil. Rhizosphere, 14, 100203.

Belnap, J. (2003). The world at your feet: desert biological soil crusts. Frontiers in Ecology and the Environment, 1(4), 181-189.

Chapman, R. L. (2013). Algae: the world’s most important “plants”—an introduction. Mitigation and Adaptation Strategies for Global Change, 18(1), 5-12.

Dulić, T., Meriluoto, J., Palanački-Malesević, T., Gajić, V., Važić, T., Tokodi, N., Obreht, I., Kostić, B., Kosijer, P., Khormali, F., Svirčev, Z. (2017). Cyanobacterial diversity and toxicity of biocrusts from the Caspian Lowland loess deposits, North Iran. Quaternary International, 429, 74-85.

European Commission (2020). A Farm to Fork Strategy for a Fair, Healthy and Environmentally-friendly Food System. COM(2020) 381 Final. https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=CELEX%3A52020DC0381

Knoll, A. H. (2008). Cyanobacteria and earth history. The cyanobacteria: molecular biology, genomics, and evolution, 484.

Kholssi, R., Lougraimzi, H., Grina, F., Lorentz, J. F., Silva, I., Castaño-Sánchez, O., & Marks, E. A. (2022). Green Agriculture: a Review of the Application of Micro-and Macroalgae and Their Impact on Crop Production on Soil Quality. Journal of Soil Science and Plant Nutrition. https://doi.org/10.1007/s42729-022-00944-3

Metting, B. (1981). The systematics and ecology of soil algae. The Botanical Review, 47(2), 195-312.

Rindi, F., Allali, H. A., Lam, D. W., & López-Bautista, J. M. (2009). An overview of the biodiversity and biogeography of terrestrial green algae. Biodiversity hotspots, 125, 105-122.

Sellitto, V. M. (2021). Microalghe (e Cianobatteri) – I Microorganismi Fotosintetici in Agricoltura. Edagricole, Bologna, Italy. Pp. 212.

Svirčev, Z., Dulić, T., Obreht, I., Codd, G., Lehmkuhl, F., Marković, S., Hambach, U., Meriluoto, J. (2019). Cyanobacteria and loess-an underestimated interaction. Plant and Soil, 439(1-2), 293-308.

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Nov
26
2022
0

La sostanza organica del suolo (seconda parte)

L’humus

L’humus è la frazione organica costituita da sostanze amorfe di colore più o meno scuro, che può essere parzialmente estratta dal suolo per solubilizzazione con particolari soluzioni disperdenti a reazione neutra o basica. Contiene anche proteine, peptidi, carboidrati e lipidi. Le sostanze umiche sono eteropolimeri con peso e complessità molecolare variabile (da centinaia a migliaia di dalton), costituiti da un nucleo centrale derivante dall’assemblaggio di anelli aromatici, chinonici ed eterociclici, a cui si legano catene alifatiche e gruppi funzionali periferici; sono sostanze quaternarie in quanto contengono C, H, O e N; sono complessi metallo-organici in quanto complessano i metalli, in esse prevalgono i gruppi funzionali di tipo carbossilico, idrossilico fenolico ed alcolico. Nel suolo, le diverse molecole tendono a policondensarsi tanto da raggiungere pesi molecolari apparenti molto elevati; per effetto degli ioni flocculanti, i policondensati umici tendono a legarsi gli uni agli altri determinando la formazione di micelle aventi dimensioni e caratteri colloidali; le proprietà generali sopra ricordate determinano la formazione di caratteristici spettri nell’infrarosso

Le sostanze umiche derivano da composti estremamente ridotti prodotti dalla fotosintesi che sono modificati gradualmente durante il processo di umificazione, con diminuzione del contenuto di C e H e accumulo di N e O. Questi composti organici sono prima sminuzzati dai microrganismi detritivori (nematodi radicivori, fungivori e batteriofagi; collemboli, acari micofagi, nematofagi e onnivori, amebe, flagellati, funghi saprofiti e micorrize, macrofauna, sinfili, diplopodi e microartropodi, anellidi) e poi idrolizzati da enzimi esocellulari prodotti dai microrganismi del suolo (batteri, funghi, attinomiceti e protozoi e altri), che ricavano energia dalla loro ossidazione, con liberazione parziale di CO2 e H2O, senza una completa mineralizzazione. L’umificazione quindi rientra nella categoria delle fermentazioni aerobiche in cui la presenza di ossigeno garantisce l’attività dei microrganismi aerobici; tuttavia, condizioni localmente o momentaneamente anaerobiche rallentano l’azione di quelle colonie microbiche la cui attività determinerebbe la completa mineralizzazione dei substrati organici. Tanto maggiore è la suberizzazione e la lignificazione delle cellule del periderma, dello xilema, delle nervature fogliari e tanto minore è la velocità della loro degradazione.

L’umificazione avviene:

  • partendo da monomeri derivanti dai polimeri degradati, seguita da legame con proteine;
  • dall’idrolisi delle macromolecole seguita da condensazioni tra amminoacidi e composti aromatici;
  • dalla condensazione tra amminoacidi e chinoni all’interno della cellula microbica dopo la morte e prima della lisi cellulare, consentendo così un incontro efficace tra queste due classi di molecole;
  • partendo dai prodotti del metabolismo secondario di batteri e attinomiceti, con la sintesi di polimeri di tipo aromatico a partire da carboidrati (attraverso la via dell’acetato-malonato o dell’acido shichimico).

Nella formazione dell’humus prendono parte reazioni di idrossilazione, demetilazione decarbossilazione, ossidazione di gruppi metossilici e carbossilici dei fenoli e chinoni, di eliminazione delle catene laterali e così via. Per intervento delle fenolossidasi e delle laccasi o di catalizzatori inorganici, l’ossidazione dei fenoli determina successivamente una generalizzata formazione di composti chimici chinonici e la presenza di radicali liberi. Tali molecole, reagendo tra loro o con composti caratterizzati dalla presenza di gruppi -NH2 e -SH conducono alla formazione di polimeri che hanno una composizione elementare e altre caratteristiche chimiche simili a quelle delle molecole umiche.

Nell’humus sono presenti composti organici dell’azoto, soprattutto amminoacidi, peptidi e proteine, che si possono trasformare in composti di tipo melaninico e/o reagire in svariati modi con i composti fenolici e chinonici derivanti dalla degradazione chimica degli zuccheri e della lignina. Importanti sono gli amminoacidi aromatici. Quando il processo di umificazione è quasi terminato le molecole ottenute sono state parzialmente ossidate e quindi hanno aumentato la loro reattività e, infine, durante la polimerizzazione (legami covalenti) e la policondensazione (legami non covalenti) in parte spontanea di tali prodotti, avviene la loro flocculazione mediante ioni calcio, magnesio, ferro e idrogeno, con la formazione di micelle umiche aventi dimensioni e caratteri colloidali. Infine, molecole complesse quali proteine, polisaccaridi e acidi nucleici, possono legarsi al reticolo venutosi a formare, con conseguente aumento delle dimensioni apparenti delle sostanze umiche.

I processi che avvengono durante l’umificazione sono responsabili della formazione dei monomeri necessari alla formazione dei polimeri umici e si svolgono secondo modalità che portano alla sintesi di determinati composti quasi in modo indipendente dal particolare substrato disponibile. È dal meccanismo di formazione della struttura secondaria che si osservano invece differenze fondamentali tra i due processi (ricombinazioni delle molecole casuali). Per questa ragione le sostanze umiche sono degli eteropolimeri aventi complessità e composizione estremamente variabili, anche se i loro componenti primari hanno caratteristiche comuni. Analisi mediante tecniche di gel filtrazione hanno evidenziato infine che le sostanze umiche possono aumentare o diminuire in modo reversibile le proprie dimensioni qualora le loro soluzioni vengano desalificate o acidificate, mettendo in evidenza che prevale il processo di policondensazione con deboli legami intra ed intermolecolari piuttosto che quello di polimerizzazione con formazione di legami covalenti.

L’humus è un componente chimico del suolo derivato da un processo di decomposizione e di rielaborazione della sostanza organica. Rappresenta la parte più attiva, sotto l’aspetto chimico e fisico, della sostanza organica del suolo e interagisce con la frazione minerale e con la soluzione circolante influenzando le proprietà chimiche e fisiche del suolo. La scoperta dell’importanza dell’humus per la nutrizione della pianta la si fa risalire all’agronomo tedesco Albrecht Thaer.

 

Composizione chimica dell’humus

L’identificazione chimica dell’humus è indefinita in vari aspetti a causa della complessità ed eterogeneità della sua composizione. Molti autori usano distinguere la sostanza organica del suolo in composti umici e non umici. Questi ultimi hanno una ben definita collocazione sistematica e si identificano in una delle varie classi di composti macromolecolari (proteine, lipidi, polisaccaridi, lignina, cera, acidi nucleici, ecc.) o di composti organici semplici mono o polifunzionali (zuccheri, acidi carbossilici, alcoli, amminoacidi, polifenoli, ecc.). Ogni tentativo di collocazione sistematica dell’humus è impossibile sia per la composizione chimica indefinita sia per la complessità strutturale; tuttavia presenta delle proprietà fisiche e chimiche costanti che ne rendono possibile una caratterizzazione distinguendolo nettamente dagli altri composti organici.

Una definizione dell’humus in prima istanza lo identifica come un eteropolimero, ossia un composto macromolecolare di composizione non definita, di elevato peso molecolare, dotato di proprietà colloidale, di colore variabile dal giallo al bruno al nero. I suoi componenti chimici sono identificati con un approccio basato su un complesso procedimento di estrazione. Data la complessità strutturale dell’humus, qualsiasi processo di estrazione rappresenta un artefatto che altera i risultati. La materia è oggetto di ampi studi e dibattici e ai fini della standardizzazione è coordinata, a livello scientifico, dall’International Humic Substances Society (IHSS, Società Internazionale delle Sostanze Umiche), che ha definito le procedure standard di estrazione.

 

Gruppo funzionale carbossilico

Le conoscenze della composizione chimica sono incerte e in continua evoluzione anche in relazione all’impiego di metodologie più avanzate. Più che la composizione e la struttura in senso stretto, sulle quali sussistono ancora informazioni approssimative, hanno un valore significativo le conoscenze parziali in merito alle proprietà chimiche e chimico-fisiche e all’esistenza di specifici gruppi funzionali. Molte di queste conoscenze sono in realtà derivate da ipotesi interpretative dei risultati delle indagini, soprattutto in relazione al fatto che l’oggetto d’indagine è l’artefatto di un procedimento di estrazione che altera l’effettiva struttura e composizione e che alcuni metodi d’indagine producono di per sé degli artefatti.

In merito alla composizione in elementi, la letteratura indica che il tenore in carbonio e azoto negli acidi umici, mentre il tenore in ossigeno è più alto negli acidi fulvici. Il carattere acido dei composti umici è attribuito alla presenza di gruppi funzionali acidi quali il carbossile associato a catene alifatiche o ad anelli aromatici e il gruppo fenolico dei nuclei aromatici. Le proprietà acide sono più marcate negli acidi fulvici e questo spiega anche il maggior tenore in ossigeno di questi componenti e il loro carattere di solubilità.

 

Gruppo funzionale fenolico

Le indagini di spettroscopia (ultravioletto, infrarosso, risonanza magnetica) hanno messo in luce la presenza di gruppi idrossido (-OH), gruppo carbonile (C=O), gruppi carbossile, anelli aromatici, fra i quali anche chinoni e catene alifatiche e suffragano l’ipotesi della presenza di altri gruppi funzionali come, ad esempio, quelli amminici (-NH2) e tiolici (-SH).

Più incerte sono le informazioni sulla struttura e fanno riferimento a ipotesi interpretative. In generale si condivide la presenza negli acidi umici di nuclei aromatici condensati, che fungono da scheletro sul quale si legano composti organici semplici (chinoni, amminoacidi, amminozuccheri, polifenoli), macromolecolari (polisaccaridi, polipeptidi) e metalli. Alcune ipotesi fanno risalire l’origine di questi nuclei aromatici di condensazione ai prodotti della degradazione delle lignine. La polimerizzazione degli acidi fulvici sarebbe invece dovuta, secondo alcune ipotesi, a legami idrogeno formati dai gruppi carbossile e fenolico dei nuclei aromatici, con formazione di una struttura tridimensionale che imbriglia al suo interno composti organici relativamente semplici. A livello di ipotesi vera e propria è l’identità chimica dei nuclei aromatici che, in ogni caso, è attribuita ad acidi fenilcarbossilici e a polifenoli.

 

Estrazione delle frazioni dell’humus

La procedura standard definita dall’IHSS per l’estrazione e l’isolamento dei componenti dell’humus è stata definita per la prima volta nel 1981. In seguito ha subito dei miglioramenti. La procedura attuale, adottata dal 1996, prevede l’esecuzione di diversi trattamenti meccanici (agitazione e centrifugazione), fisico-chimici (adsorbimento, dialisi) e chimici (trattamenti con acidi e alcali) sul campione iniziale o sulle frazioni isolate nelle singole fasi. La procedura dura nel complesso alcuni giorni, a causa dei tempi richiesti dalle fasi che prevedono l’agitazione. Nel complesso si articola in due fasi principali, da cui si ottengono due frazioni solubili, rappresentate dagli acidi fulvici, e una insolubile, rappresentata dagli acidi umici. La prima fase prevede la sospensione del campione in una soluzione di HCl, l’agitazione e la successiva separazione, per decantazione o per centrifugazione, di un residuo solido e di un surnatante denominato estratto FA1. La seconda fase si attua sul residuo solido che viene neutralizzato e successivamente sospeso in una soluzione di NaOH. La sospensione è sottoposta a più cicli intermittenti di agitazione e infine si separano, per centrifugazione, un precipitato insolubile e un surnatante, denominato estratto FA2. I prodotti ottenuti sono sottoposti a trattamenti che si svolgono con metodologie specifiche allo scopo di isolare rispettivamente gli acidi fulvici e gli acidi umici.

Gli acidi umici sono contenuti nel precipitato insolubile separato nella seconda fase. Questo precipitato è sottoposto a trattamenti sequenziali di sospensione e precipitazione allo scopo di purificarlo allontanando i componenti inorganici e la sostanza organica non umificata. In sintesi i trattamenti sono i seguenti:

  1. Sospensione in soluzione di KOH e KCl e centrifugazione. Da questa operazione si scartano i residui solidi e si mantiene il surnatante.
  2. Il surnatante ottenuto dall’operazione precedente è sottoposto ad un trattamento di precipitazione per aggiunta di HCl. Dopo centrifugazione si scarta il surnatante e si mantiene il precipitato.
  3. Il precipitato è sottoposto a sospensione in soluzione di HCl e HF, agitazione e centrifugazione, scartando il surnatante. Questo trattamento ha lo scopo di allontanare i sali minerali con il surnatante e va ripetuto finché la concentrazione salina nel surnatante scartato scende sotto l’1%.
  4. Dopo l’operazione precedente, il precipitato è sottoposto a dialisi con acqua distillata. L’operazione si conclude quando la soluzione filtrata non contiene più ioni Cl. A questo punto il precipitato si ritiene completamente desalificato.
  5. Il precipitato residuo dopo la dialisi è rappresentato dagli acidi umici e viene sottoposto a liofilizzazione per poterlo conservare.

Gli estratti FA, contenenti gli acidi fulvici, sono invece sottoposti separatamente a trattamenti di isolamento basati sull’adsorbimento. Allo scopo si impiega uno scambiatore non ionico, rappresentato da una resina (XAD-8). La metodologia applicata per l’estratto FA 1 e l’estratto FA 2 differisce nei dettagli operativi. Gli acidi fulvici isolati dall’estratto FA 1 sono conservati in soluzione, quelli isolati dall’estratto FA 2 sono invece conservati allo stato secco tramite liofilizzazione.

 

Proprietà dell’humus

Le caratteristiche chimiche e strutturali dell’humus sono alla base di proprietà di fondamentale importanza nella determinazione delle proprietà del suolo, con riflessi sulla sua fertilità.

 

Proprietà colloidali

L’elevato peso molecolare e la densità di gruppi funzionali acidi sono responsabili delle proprietà colloidali dell’humus. L’humus si comporta come un colloide idrofilo, elettronegativo ai valori ordinari di pH nel suolo. Il suo stato fisico normale è quello di colloide flocculato, soprattutto nei suoli con reazione da leggermente acida a moderatamente alcalina (pH < 8,5). Nei suoli fortemente alcalini (pH > 8,5) è allo stato disperso.

 

Acidità, scambio e chelazione

Le proprietà acide sono dovute ai gruppi carbossilici e ai gruppi fenolici. Trattandosi di acidi deboli, la dissociazione aumenta con il pH: a valori normali sono i gruppi carbossilici ad essere dissociati, mentre a valori di pH elevati si dissociano anche i gruppi ossidrile dei fenoli. La formazione di cariche negative dovute alla dissociazione acida, oltre ad attribuire all’humus le caratteristiche di un colloide elettronegativo, è all’origine di fondamentali proprietà chimiche:

  • Capacità di scambio cationico. Le cariche negative sono neutralizzate con l’adsorbimento di cationi (ioni H+ e Al3+ in terreni molto acidi, cationi metallici (Ca2+, Mg2+, K+, ecc.). Per mezzo dello scambio ionico l’humus trattiene le basi di scambio preservandole dal dilavamento e rilasciandole gradualmente. Questa proprietà assume una notevole importanza nel caso dell’humus, dal momento che la CSC è mediamente molto più alta di quella dei minerali argillosi (3-400 meq per 100 g). La capacità di scambio cresce all’aumentare del pH per la relazione che lega quest’ultimo al grado di dissociazione acida dell’humus.
  • Potere tampone. In virtù delle deboli proprietà acide dell’humus e della presenza di basi di scambio adsorbite sulla sua superficie (in condizioni ordinarie di pH), l’humus ha un elevato potere tamponante nei confronti delle variazioni di pH: nel primo caso, in presenza di acidi, rilascia basi di scambio e adsorbe ioni idrogeno riducendone pertanto l’attività nella soluzione circolante; nel secondo caso, in presenza di basi, adsorbe cationi metallici e rilascia ioni idrogeno i quali neutralizzano gli ioni idrossido. In virtù di queste proprietà il potere tampone verso l’acidificazione cresce all’aumentare del pH, mentre verso l’alcalinizzazione cresce al diminuire del pH. Nei terreni a reazione neutra o leggermente acida, il potere tampone si manifesta con la maggiore intensità sia verso l’acidificazione sia verso l’alcalinizzazione, opponendosi efficacemente alle variazioni verso reazioni anomale. Al contrario, nei terreni acidi e alcalini, questa proprietà rappresenta una condizione sfavorevole in quanto si oppone agli interventi di correzione.
  • Chelazione. Grazie alla presenza di gruppi carbossile adiacenti o di gruppi carbossile e ossidrile adiacenti, l’humus ha proprietà chelanti nei confronti dei microelementi (ferro, rame, zinco, ecc.) in quanto forma legami organo-metallici che li preservano dall’insolubilizzazione.

 

Interazioni con elementi nutritivi

Fra le proprietà chimiche intrinseche che hanno riflessi sulla nutrizione minerale delle piante, oltre alla capacità di scambio cationico va considerato anche il ruolo svolto nell’assorbimento biologico, di fondamentale rilevanza agronomica. Nella composizione dei costituenti dell’humus rientrano elementi nutritivi fondamentali quali l’azoto, lo zolfo, il fosforo e, grazie alla formazione di legami organo-metallici, potassio, magnesio, calcio, ferro, ecc. Questi elementi, pur non essendo immediatamente disponibili per le piante, formano una riserva che viene rilasciata gradualmente attraverso la mineralizzazione. L’humus rappresenta perciò uno dei fondamentali strumenti di manifestazione del potere adsorbente del suolo, di rilevante importanza soprattutto nei seguenti contesti:

  • gli elementi estremamente mobili, che si perdono per facilità con il dilavamento (azoto e zolfo), sono trattenuti dal suolo grazie all’incorporazione nell’humus, che in condizioni di flocculazione non è mobile;
  • gli elementi facilmente soggetti a insolubilizzazione o a fissazione (fosforo e potassio), sono preservati dalla retrogradazione grazie all’incorporazione nell’humus, che li rilascia gradualmente in forma solubile. Questa proprietà è fondamentale nei terreni calcarei e nei terreni acidi, dove il fosforo è destinato all’insolubilizzazione rispettivamente sotto forma di fosfato tricalcico nei primi e di fosfati di alluminio e ferro nei secondi; la presenta di buone dotazioni di humus permette perciò di rallentare i fenomeni negativi di immobilizzazione del fosforo.

In merito alle interazioni fra il potassio e i metalli alcalino-terrosi (calcio e magnesio), l’humus contribuisce a regolare gli antagonismi che si esercitano fra questi elementi per mezzo dell’adsorbimento selettivo. Calcio e magnesio da un lato e potassio dall’altro, esercitano un antagonismo reciproco che si manifesta nell’assorbimento radicale con possibili fenomeni di carenza. Dal momento che l’humus adsorbe in misura maggiore il calcio e il magnesio, ne abbassa il tenore nella soluzione circolante favorendo l’assorbimento radicale del potassio. Viceversa, in caso di elevate dotazioni di potassio l’adsorbimento s’indirizza prevalentemente verso quest’ultimo, limitandone la competizione nell’assorbimento radicale nei confronti di calcio e magnesio.

 

Interazione con composti organici di sintesi

Una proprietà chimica di fondamentale importanza sotto l’aspetto ecologico è quella di poter adsorbire diverse molecole organiche, chimicamente e biologicamente attive, immobilizzandole e inattivandole. Questa azione è importante perché limita o abbatte del tutto l’impatto ambientale di diversi fitofarmaci, in particolare alcune categorie di erbicidi, evitandone il dilavamento e, nel contempo, la manifestazione di effetti residuali dovuti alla persistenza nel suolo. Come esempi si possono citare il glifosato e le triazine: questi erbicidi vengono infatti adsorbiti dall’humus e a seguito dell’incorporazione perdono la loro attività biologica. L’efficacia è tale che il glifosato è disattivato nel suolo nell’arco di pochi giorni e le triazine, impiegate come erbicidi ad azione residuale, sono sconsigliate nei terreni torbosi e richiedono dosaggi più alti in quelli ricchi di sostanza organica.

 

Interazione con i componenti minerali

L’humus interagisce con i componenti minerali del suolo formando complessi organo-minerali. Nei terreni acidi l’humus forma complessi con gli idrossidi di ferro e alluminio, colloidi idrofobi ed elettropositivi, stabilizzando lo stato di flocculazione. La mobilità di questi complessi dipende dal rapporto idrossidi/humus. A valori alti prevale l’insolubilità degli idrossidi di alluminio e ferro, perciò questi tendono ad accumularsi nel profilo del suolo; a valori bassi prevale la mobilità dell’humus, a causa dell’instabilità dovuta alla carenza di calcio e in condizioni di elevata umidità gli idrossidi sono facilmente lisciviati.

Più importante, ai fini della formazione della struttura del suolo è la formazione dei complessi umo-argillosi: l’humus agisce come cemento legando gli aggregati primari (formati dai minerali argillosi) in modo da formare aggregati strutturali secondari di dimensioni dell’ordine di 1-3 mm. Questa condizione è favorevole all’evoluzione di una struttura di tipo glomerulare, tipica dei terreni ben dotati di sostanza organica, in contrapposizione alla struttura granulare, tipica dei terreni argillosi poveri di sostanza organica. Un requisito essenziale affinché si formino i complessi umo-argillosi è la presenza di discrete dotazioni di calcio. Gli ioni calcio, infatti, fanno da ponte elettrostatico fra i colloidi umici e quelli argillosi, stabilizzando i complessi organo-minerali e la struttura. Per questo motivo i terreni che in genere presentano una buona e stabile struttura sono quelli a reazione neutra o moderatamente alcalina con una buona dotazione in humus.

 

Ritenzione idrica

Come colloide idrofilo l’humus ha la proprietà intrinseca di legare le molecole d’acqua sulla sua superficie, assorbendo un quantitativo pari a 20 volte il proprio peso. Di conseguenza l’humus ha una notevole capacità di ritenzione idrica, superiore a quella dei colloidi minerali del suolo. Va tuttavia precisato che la tensione matriciale dell’acqua nell’humus ha valori più bassi, perciò per sottrarre l’acqua all’humus è necessario un maggior dispendio energetico da parte delle piante. Sulla base delle proprietà fisiche e chimiche descritte in precedenza, all’humus sono attribuite importanti funzioni che, in caso di buone dotazioni, conferiscono al suolo caratteristiche fisiche, chimiche e meccaniche nettamente differenti rispetto ai terreni con scarse dotazioni. La maggior parte di queste caratteristiche sono da interpretarsi come positive, tuttavia eccessive dotazioni in humus comportano alcuni effetti collaterali indesiderati. I riflessi positivi sulle proprietà fisico-meccaniche sono essenzialmente associati alla formazione di una struttura stabile e di tipo glomerulare. Un suolo dotato di una buona struttura, a parità di altre condizioni, ha un rapporto equilibrato fra umidità e aerazione, è permeabile, soffice. L’elevata capacità d’imbibizione dell’humus, inoltre, conferisce al suolo una maggiore capacità di ritenzione idrica. In definitiva la buona dotazione in humus si traduce in condizioni di abitabilità migliori per le piante e i microrganismi e, nel contempo, condizioni meccaniche che riducono i costi delle lavorazioni e dell’irrigazione.

Non meno importanti sono i riflessi sulle proprietà chimiche del suolo. Il beneficio più evidente di un alto tenore in humus è l’elevata dotazione di elementi nutritivi in virtù dell’alta capacità di scambio cationico e dell’assorbimento biologico, fattori che preservano gli elementi nutritivi dal dilavamento. Non va tuttavia trascurato il ruolo svolto dall’humus nella regolazione degli antagonismi fra gli elementi nutritivi, il rallentamento dei fenomeni di retrogradazione e fissazione minerale nei confronti del fosforo e del potassio, la preservazione dei microelementi dall’insolubilizzazione. Nei terreni a reazione normale, neutra o leggermente acida, il forte potere tampone dell’humus si manifesta nella sua migliore espressione opponendosi alle cause di variazioni anomale del pH. Questo aspetto è fondamentale per stabilizzare nel tempo le condizioni di solubilità favorevoli all’assorbimento degli elementi nutritivi. In definitiva la buona dotazione in humus si traduce in condizioni di nutrizione ottimali per le piante, grazie alle elevate dotazioni in elementi nutritivi e alle dinamiche più equilibrate che si instaurano tra fase solida, fase liquida e apparati radicali.

Sotto l’aspetto biologico va citata la più intensa attività dei microrganismi, i quali intervengono in alcune fasi fondamentali dei cicli biogeochimici degli elementi nutritivi. Un suolo ben dotato di sostanza organica e con un rapporto equilibrato tra mineralizzazione e umificazione si presenta biologicamente molto attivo con indubbi benefici sul turn over degli elementi. I colloidi organici rappresentano inoltre dei siti preferenziali per l’insediamento delle colonie batteriche. Sotto l’aspetto ambientale è fondamentale l’azione anti-erosiva dell’humus, in quanto la formazione dei complessi umo-argillosi permette una maggiore resistenza all’erosione superficiale (esercitata dal vento e dalle acque di scorrimento) e al dilavamento. L’importanza di questo ruolo è tale che i suoli forestali montani e collinari interessati da incendi e disboscamenti incontrollati vanno incontro nell’arco di pochi anni all’erosione e al dissesto idrogeologico. Non meno importante è il ruolo svolto dalle alte dotazioni in humus nel preservare fenomeni di inquinamento delle falde acquifere grazie all’adsorbimento e all’inattivazione di sostanze a potenziale azione tossica (composti organici di sintesi, metalli pesanti).

 

Influenza della sostanza organica sulla fertilità e sulle proprietà fisiche del suolo

L’evoluzione dei composti organici, in quanto caratterizzata da dinamicità e sensibilità alle variazioni degli effetti esterni, è la responsabile più diretta della capacità dei terreni naturali ospitare, nutrire e promuovere la crescita delle piante. È la velocità di mineralizzazione che regola, infatti, il livello e la disponibilità dei nutrienti e sono la quantità e la qualità delle sostanze organiche che condizionano, in misura preminente sugli altri fattori, alcune caratteristiche fisiche e chimiche del suolo e la velocità di alcuni importanti processi metabolici delle piante. La mutua disposizione delle particelle primarie e la loro organizzazione spaziale, sostenuta da interazioni con ioni e cementi inorganici ed organici, costituiscono quella che viene chiamata la struttura del suolo e determinano la forma e la dimensione degli spazi vuoti (pori) all’interno di questo.

La sostanza organica ha un’azione cementante sugli aggregati del suolo (20-250 µm, cioè 0,020-0,250 mm) e il numero di aggregati stabili in un suolo è direttamente correlabile alla quantità di sostanza organica. Gli agenti leganti transienti, la frazione più rapidamente decomponibile della SO, quali i polisaccaridi di origine microbica e vegetali presenti nel suolo e stabili a causa della loro collocazione in micropori, non raggiungibili da enzimi idrolitici, protetti e stabilizzati dalle sostanze umiche, complessati a ioni metallici. L’aggiunta di sostanza organica al suolo (interramento di residui colturali, letamazione, sovescio) promuove la formazione di aggregati stabili attraverso l’aumento dell’attività microbica e della produzione di esopolisaccaridi (mucillagini microbiche) da parte dei microrganismi.

Gli agenti leganti persistenti sono le sostanze umiche vere e proprie, più stabili a causa della loro natura polifenolica. Complessano ioni positivi sulla loro superficie e stabilizzano così la struttura attraverso la formazione di ponti cationici. I macroaggregati (diametro > 250 um) sono quindi stabilizzati, contengono più ossidi di ferro e sostanze umiche ad alo peso molecolare.

Gli agenti leganti temporanei sono rappresentati da radici e dai loro derivati quali peli radicali, cellule morte, mucillagini, sostanze solubili ed essudati. Soprattutto le sottili radici delle graminacee. A queste si aggiungono anche le ife fungine e delle micorrize (VAM: endomicorrize vescicolari-arbuscolari), a causa dell’enorme estensione e della sottigliezza delle ife, che portano alla formazione di una fitta rete che ingloba e riunisce aggregati più piccoli in unità di maggiori dimensioni. Le ife si dispongono sulle superfici degli aggregati e il loro effetto non scompare, come per la radici, con la loro morte. I macroaggregati sono molto influenzati dalle lavorazioni e dal tipo di coltura adottati. Sistemi colturali che prevedono una riduzione totale o parziale delle lavorazioni (sostituzione dell’aratura con l’erpicatura, non lavorazione) portano ad un aumento della sostanza organica e del numero di macroaggregati. Le lavorazioni non dovrebbero avvenire quando il suolo è in condizioni di umidità elevate. Le lavorazioni inoltre aumentano l’aerazione del suolo e una maggiore ossidazione della sostanza organica, causando anche una netta diminuzione della macrofauna.

La sostanza organica impedisce lo sfaldamento degli aggregati strutturali ed il ruscellamento superficiale, aumenta la ritenzione idrica di un suolo e diminuisce la densità apparente (maggiore porosità). La sostanza organica influenza la capacità di ritenzione idrica del suolo non solo perché condiziona l’aggregazione strutturale e quindi la porosità, ma anche per un effetto diretto. Infatti i polisaccaridi e le sostanze umiche possono trattenere fino a quattro volte il loro peso in acqua a causa dell’elevato numero di gruppi funzionali idrofili presenti sulle molecole. L’acqua trattenuta influenza anche il regime di temperatura del suolo causa della sua elevata capacità termica. Anche il colore dipende dalla quantità di sostanza organica presente e determinano la quantità di energia solare assorbita dal suolo soprattutto quando questo è privo di vegetazione.

 

[continua…]

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