Ott
27
2022
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La sostanza organica del suolo (prima parte)

 

Inauguro oggi una serie di articoli sulla sostanza organica del suolo che spero possano essere utili agli studenti dei miei corsi. Partirò dai concetti più generali per andare poi nel particolare.

Buona lettura!

 

La sostanza organica del suolo include residui di piante, animali e microrganismi viventi e a vari stadi di decomposizione, e sostanze sintetizzate dalla popolazione vivente del suolo. Quindi, include biomasse vegetali, animali e microbiche; necromasse integre o in fase di più o meno avanzata demolizione delle strutture cellulari; da tutta una serie di unità molecolari semplici che si liberano dalle biomasse e/o necromasse in seguito ad idrolisi; da molecole umiche che si formano per effetto di una serie di reazioni di ossidazione, ciclizzazione, polimerizzazione e policondensazione. La sostanza organica è composta per l’80-70% da humus e per il 10-30% da frazione attiva. Quest’ultima è composta per il 10-40% da organismi viventi e per l’80-60% da sostanza organica facilmente decomponibile, lettiera, radici e organismi morti. La sostanza organica vivente ammonta al 5-8% (radici 5%, macrorganismi 15%, microrganismi 80%) mentre quella non vivente al 92-95% (macroresidui 10-20%, sostanze non umiche 30% e sostanze umiche 40-50%).

Data la notevole variabilità dei componenti della sostanza organica del suolo, non è possibile inquadrarla con una definizione che sia al tempo stesso sintetica ed esaustiva. La stessa attribuzione di un’origine biologica sarebbe di per sé riduttiva in quanto una quota, sia pur minima, è di origine sintetica. L’unica proprietà inconfutabile che identifica un componente della sostanza organica è la presenza del carbonio organico, ossia con un numero di ossidazione inferiore a +4.

Fanno parte dell’insieme della sostanza organica:

  • la biomassa vivente, costituita da tutti gli organismi viventi presenti nel suolo (animali, radici dei vegetali, microrganismi);
  • la biomassa morta (necromassa), costituita dai rifiuti e dai residui degli organismi viventi presenti nel suolo e da qualsiasi materiale organico di origine biologica, più o meno trasformato e apportato dall’uomo; nel suolo si trova in stato più o meno avanzato di decomposizione (residui della vegetazione, carcasse di animali, fertilizzanti organici, deiezioni, ecc.);
  • la sostanza organica di natura sintetica, costituita da prodotti derivati da una sintesi industriale e apportati più o meno volontariamente dall’uomo (plastica, residui di fitofarmaci, concimi organici di natura sintetica, ecc.); il loro ruolo nella dinamica della sostanza organica è strettamente dipendente dalla biodegradabilità, che a sua volta dipende dalla complessità strutturale dei componenti e dalla presenza di microrganismi in grado di aggredirli (in particolare Attinomiceti);
  • l’humus, un eteropolimero prodotto da una rielaborazione microbica della sostanza organica decomposta a partire da composti organici semplici e nuclei di condensazione aromatici di bassa biodegradabilità, questi ultimi derivati per lo più dalla decomposizione microbica delle lignine.

 

La classificazione della sostanza organica secondo criteri pedologici segue due differenti approcci: il primo distingue la sostanza organica in tipi, sulla base di caratteristiche morfologiche, quali alcune proprietà chimiche, l’aspetto esteriore, la presenza di determinati organismi viventi e fa riferimento ad un aspetto specifico della sostanza organica; il secondo approccio, invece, è di carattere più generale, in quanto distingue la sostanza organica in classi, sulla base del grado di decomposizione.

 

Classi di sostanza organica

La classificazione secondo classi è un approccio più funzionale in quanto prende in esame lo stadio di evoluzione delle trasformazioni nell’ambito del ciclo del carbonio e si adatta ad essere applicata in un ambito più vasto. Per contro, la demarcazione delle diverse classi non è molto netta a causa della complessità e della sovrapposizione dei processi di decomposizione.

Si distinguono quattro classi di sostanza organica del suolo, non tutte indicate con una denominazione specifica:

  1. La prima classe, detta spesso edaphon, è la sostanza organica costituita dalla biomassa vivente e, quindi, dall’insieme degli organismi viventi presenti nel suolo (pedofauna, apparati radicali delle piante, microflora batterica e fungina. La composizione dell’edaphon è fondamentale in quanto può condizionare notevolmente lo sviluppo delle trasformazioni successive.
  2. La seconda classe è la sostanza organica non decomposta costituita dalla biomassa morta. Le caratteristiche intrinseche dipendono strettamente dalle condizioni ambientali e dalla cenosi edafica: a) nei suoli forestali prevalgono i residui della parte aerea delle piante, per lo più rami e foglie, ma possono esserci marcate differenziazioni secondo le caratteristiche del bosco, che può favorire o meno lo sviluppo di un sottobosco erbaceo; b) nei suoli naturali ricoperti da vegetazione prevalentemente erbacea (prateria, pascolo) prevalgono i residui degli apparati radicali, in particolare con vegetazione prevalentemente composta da graminacee; c) nei suoli agrari si può notare un’estrema variabilità in funzione delle tecniche adottate; in generale si delinea un ruolo fondamentale per gli apparati radicali delle piante, ai quali si aggiungono eventualmente i residui colturali e altri materiali organici incorporati con le lavorazioni.
  3. La terza classe è la sostanza organica in via di decomposizione. Si tratta della classe meno delineata a causa della eterogeneità e complessità dei processi in corso, che risentono anche della forte differenziazione in funzione delle condizioni ambientali. In generale si osserva un grado più o meno avanzato di decomposizione, ma con la possibilità di identificare ancora il materiale organico di provenienza. Nei suoli forestali sono facilmente individuabili i miceli fungini che permeano il materiale in decomposizione.
  4. La quarta classe si identifica con l’humus, in altri termini con il prodotto finale delle trasformazioni che non confluiscono nella mineralizzazione e che vedono la rielaborazione, la polimerizzazione e la condensazione dei composti organici semplici attuate da una parte della pedofauna e, soprattutto, dalla microorganismi edafici. Si suole spesso distinguere due sottoclassi che fanno riferimento al rapporto con la frazione minerale del suolo:
  • humus stabile: è rappresentato dall’humus legato alla frazione minerale con formazione di complessi argillo-umici;
  • humus labile: è rappresentato dall’humus non incorporato nella frazione minerale, dalla quale può essere separato con mezzi fisici; secondo alcuni autori questa sottoclasse rappresenta uno stadio prematuro della fase finale dell’umificazione e andrebbe a rigore inserito nella terza classe.

 

Le quattro classi della sostanza organica sono presenti in tutti i suoli in cui è attivo un processo di decomposizione e umificazione, tuttavia, a parte l’edaphon, non sempre sono di facile identificazione. Fanno eccezioni i suoli forestali, nei quali in genere si verifica una marcata demarcazione delle classi lungo il profilo del suolo, con eccezione della prima, che per sua natura si sviluppa in parte fuori dal suolo, in parte negli orizzonti superficiali. La seconda classe si localizza nel sottorizzonte l dell’orizzonte O (nella letteratura indicato anche come orizzonte Aooo) e rappresenta la lettiera indecomposta formata da foglie e rami. La terza classe si localizza nel sottorizzonte f dell’orizzonte O e rappresenta la lettiera in via di decomposizione, ricca di ife fungine e pedofauna. La quarta classe si localizza in parte nel sottorizzonte h dell’orizzonte O (humus labile) e in parte nell’orizzonte A (humus stabile).

 

Funzioni della sostanza organica

Fermo restando che le proprietà chimiche e fisiche della sostanza organica avvengono in gran parte nello stato di humus, alla sostanza organica in genere si attribuiscono varie funzioni che, in generale, contribuiscono a migliorare la fertilità di un suolo.

Fra le funzioni fisico-meccaniche si segnalano da un lato gli effetti benefici sulla struttura e da un altro l’attenuazione dei difetti derivanti da una tessitura non equilibrata.

  • Attraverso la formazione dei complessi argillo-umici, la sostanza organica umificata migliora la struttura del suolo, specie in presenza di una buona dotazione in calcio, permettendo la formazione di aggregati strutturali primari di dimensioni ottimali e tali da far evolvere la struttura verso il tipo grumoso.
  • Nei terreni sciolti migliora la capacità di ritenzione idrica. Va specificato in proposito che l’humus ha una capacità d’imbibizione tale da assorbire e trattenere quantitativi d’acqua fino a 20 volte il proprio peso.
  • Nei terreni argillosi migliora la permeabilità e il rapporto fra macropori e micropori, e riduce la tenacità del suolo. Questi effetti derivano per lo più dal passaggio da una struttura granulare ad una struttura grumosa.
  • In generale riduce la predisposizione all’erosione superficiale, sia per l’eventuale presenza di una lettiera, sia per la formazione di aggregati strutturali più stabili.
  • Aumenta la capacità portante del suolo, riducendo i danni dovuti alla compressione esercitata dalle macchine agricole e dal calpestamento da parte di uomini e animali.

 

Fra le funzioni chimiche e fisico-chimiche, si segnala in particolare il ruolo svolto dalla sostanza organica del suolo nelle dinamiche che regolano la disponibilità e l’assorbimento degli elementi nutritivi, in gran parte dovuto all’aumento del tenore in colloidi.

  • Aumento della capacità di ritenzione delle basi (potassio, calcio, magnesio) in virtù dell’elevata capacità di scambio cationico dell’humus.
  • Aumento della capacità di ritenzione dei fosforo per adsorbimento anionico.
  • Aumento della capacità di ritenzione degli elementi nutritivi per assorbimento biologico. Questa funzione è fondamentale per il trattenimento degli elementi molto mobili (azoto e zolfo), ma in generale interessa anche gli altri elementi nutritivi, soprattutto quando il suolo ha una bassa capacità di scambio.
  • Rallentamento delle dinamiche relative alla retrogradazione del fosforo.
  • Protezione dei microelementi dall’insolubilizzazione grazie alla chelazione.
  • Aumento del potere tampone.

 

Fra le funzioni biologiche si segnala il ruolo svolto come substrato alimentare per lo sviluppo della pedofauna e dei microrganismi, ma anche un’azione di stimolazione dell’attività delle radici, che si espleta con meccanismi ancora poco noti e che fanno parte delle dinamiche d’interazione fra radice e rizosfera.

Fra le funzioni ecologiche, a quelle già citate, quali la protezione dall’erosione e la stimolazione dell’attività biologica in generale, va aggiunto l’importante ruolo svolto dalla sostanza organica nell’inattivazione, per adsorbimento di molteplici composti organici ad azione biotossica, sia di origine biologica (polifenoli) sia di origine sintetica (erbicidi e fitofarmaci in generale). I terreni ricchi di sostanza organica sono a tutti gli effetti importanti sistemi di smaltimento che riducono i fenomeni di inquinamento delle falde freatiche. Questo non significa che il suolo possa essere usato arbitrariamente come mezzo di smaltimento di rifiuti tossici provenienti da altre attività antropiche, ma non va trascurato il ruolo della sostanza organica nella riduzione dell’impatto ambientale di diverse sostanze che normalmente arrivano al suolo con l’attività agricola.

 

La sostanza organica dal punto di vista agronomico

Le funzioni positive svolte dalla sostanza organica si riflettono in altrettanti benefici sotto l’aspetto agronomico. Questo concetto non si applica esclusivamente alle tecniche di agricoltura sostenibile (ad es. l’agricoltura biologica), ma ha una validità di carattere generale in quanto si riflette, oltre agli aspetti ambientali, anche sul costo relativo all’esecuzione di varie tecniche, con particolare riferimento alla concimazione, alle lavorazioni del suolo e all’irrigazione.

I rapporti con la concimazione riguardano in particolare la possibilità d’impostare livelli di fertilità chimica più alti beneficiando del maggiore potere adsorbente che, a parità di condizioni, l’humus conferisce al suolo. Dal punto di vista economico va inoltre considerato il vantaggio di ridurre le perdite per dilavamento o per insolubilizzazione che possono riguardare rispettivamente l’azoto e il fosforo e, in casi estremi, le stesse basi quando si opera in terreni con scarso potere assorbente.

Le lavorazioni possono beneficiare delle migliori condizioni strutturali che si instaurano nei terreni che hanno una non trascurabile dotazione in argilla. L’aumento di sofficità che un’alta dotazione in sostanza organica conferisce ai terreni con tessitura fine o finissima si traduce in una minore tenacità e, in definitiva, in una riduzione dei costi energetici delle lavorazioni. Un altro aspetto importante è il miglioramento delle proprietà fisiche nei terreni gestiti con tecniche di non lavorazione attuate sia nei seminativi (ad es. semina su sodo) sia negli arboreti (ad es. inerbimento). L’attuazione di queste tecniche permette di migliorare la dotazione in sostanza organica, a livelli comparabili a quelli di un suolo ricoperto da un pascolo, ed ottenere benefici in termini di resistenza al costipamento e all’erosione e, in generale, causa una migliore permeabilità.

I benefici sull’irrigazione derivano dalle migliori condizioni strutturali e dall’aumento della capacità di ritenuta idrica dei terreni ben dotati di sostanza organica. Ciò permette di ridurre sia le perdite per percolazione profonda, sia quelle per ruscellamento (qualora si operi in terreni in pendio). Una migliore ritenzione idrica permette inoltre di adottare una maggiore elasticità nell’impostazione dei turni di adacquamento.

 

Bilancio della sostanza organica

In ogni tipo di suolo, la dinamica della sostanza organica è la risultante dei processi di umificazione e mineralizzazione, che si svolgono contemporaneamente sia pure con intensità differenti secondo le condizioni pedoclimatiche. Nei suoli naturali le condizioni ambientali sono sostanzialmente stabili, con eventuali variazioni periodiche nel corso dell’anno dovute alla successione delle stagioni; ciò conduce all’instaurazione di un equilibrio dinamico, dal quale scaturisce una determinata dotazione in sostanza organica che può essere alta o bassa in relazione alle condizioni pedologiche, climatiche e vegetazionali. L’alterazione di queste condizioni, come ad esempio un disboscamento, un incendio, uno sconvolgimento climatico genera un aggiustamento delle dinamiche fino al raggiungimento di un nuovo equilibrio, che in genere s’instaura su livelli più bassi.

La messa a coltura di un suolo naturale determina sempre una riduzione del tenore in sostanza organica. Ciò si deve all’alterazione del profilo pedologico causato dalle lavorazioni, alle migliori condizioni di aerazione, determinate dalle periodiche lavorazioni, che privilegiano la mineralizzazione a scapito dell’umificazione e, in genere, alla riduzione della biomassa umificabile a causa dell’asportazione dei prodotti o della distruzione dei residui colturali. Osservando la dinamica della sostanza organica in un suolo naturale messo a coltivazione si nota una riduzione progressiva della dotazione in sostanza organica e in humus che, dopo un certo numero di anni si assesta a livelli stazionari più bassi. L’eventuale abbandono della coltivazione o l’adozione di tecniche conservative porta ad un lento incremento del tenore ma in genere il nuovo equilibrio si assesta a livelli stazionari più bassi rispetto a quelli del suolo naturale originario.

Il tenore in sostanza organica del suolo agrario è strettamente legato alle tecniche e alle rotazioni adottate in rapporto alle condizioni pedoclimatiche. Diversi sono i fattori che possono influenzarne la dinamica.

 

Lavorazioni del suolo

Le lavorazioni periodiche interferiscono con il profilo e con la composizione della biocenosi edafica, ma soprattutto creano un aumento di porosità che si traduce in una maggiore aerazione e, di conseguenza, in una mineralizzazione più spinta. In generale abbassano dunque il tenore in sostanza organica. L’azione negativa si accentua con le lavorazioni profonde, come l’aratura e con quelle eseguite in epoca primaverile-estiva. Tecniche conservative di gestione, come l semina su sodo e l’inerbimento riducono notevolmente questo svantaggio.

Fertilizzazione organica. La fertilizzazione organica è fondamentale per incrementare il tenore in sostanza organica della seconda classe in quanto la biomassa incorporata si aggiunge a quella costituita principalmente dalle radici delle piante. L’efficacia della fertilizzazione è strettamente associata alla natura dei materiali apportati e in particolare hanno un ruolo ha un ruolo fondamentale il rapporto C/N che influenza il coefficiente isoumico.

  • Materiali con elevato rapporto C/N, come la paglia e i residui di potatura, sono ricchi in lignina e cellulosa e poverissimi in azoto, hanno una decomposizione lenta e difficile, con un basso grado di mineralizzazione e di umificazione, per cui tendono ad accumularsi nel suolo senza contribuire all’umificazione. Tradizionalmente si tende in genere ad evitare l’incorporamento di grandi quantitativi di questi materiali e si asportano e destinandoli ad altri usi o, in alternativa, si bruciano in campo per sfruttare l’effetto concimante della cenere. Questa pratica, se da un lato porta a immediati benefici, nel lungo periodo riduce notevolmente la fertilità potenziale del suolo.
  • Materiali con basso rapporto C/N, come i liquami, la pollina e altri prodotti di origine esclusivamente animale, sono poveri in lignina e cellulosa e ricchi in azoto di natura proteica. Questi materiali sono di rapida decomposizione, ma orientata prevalentemente alla mineralizzazione. Anche in questo caso, il contributo all’umificazione è modesto, tuttavia mantengono elevati livelli di fertilità chimica grazie all’apporto di considerevoli quantità di elementi nutritivi disponibili in tempi relativamente brevi ma facilmente soggetti a perdite.
  • Materiali con rapporto C/N equilibrato, come il letame e il compost, hanno una composizione mista, in parte di origine animale e in parte di origine vegetale. Questa condizione favorisce la decomposizione e un sostanziale equilibrio fra mineralizzazione e umificazione. In definitiva si tratta dei migliori ammendanti organici, ma per il costo elevato hanno un utilizzo limitato e, in genere, destinato ai regimi colturali più redditizi. Nell’azienda agraria tradizionale aveva un ruolo determinante la presenza dell’allevamento: questa struttura, finalizzata al mantenimento degli animali da lavoro e, secondariamente, alla produzione di latte e carne, permetteva la produzione di ingenti quantitativi di materiale organico umificabile, ottimizzando il reimpiego della paglia e delle deiezioni animali. La specializzazione degli indirizzi produttivi nell’agricoltura di mercato ha ridotto notevolmente questa risorsa, incrementando la produzione di materiali organici che singolarmente contribuiscono poco a mantenere buoni livelli di humus nel suolo.

Avvicendamenti colturali. Le rotazioni colturali hanno un ruolo meno evidente ma di grande importanza per la stabilizzazione di un livello di equilibrio a ciclo poliennale. Le colture offrono differenti contributi al tenore in sostanza organica, in relazione alla quantità complessiva di biomassa prodotta e lasciata al suolo come residuo colturale. Per alcune colture l’asportazione di sostanza organica, sotto forma di prodotto sia principale sia secondario, è ingente, mentre per altre la quantità di biomassa residua è tale da contribuire in modo non indifferente al miglioramento del suolo. Su questo concetto si basa la tradizionale distinzione, ormai considerata obsoleta, fra colture miglioratrici (come ad esempio alcune colture da rinnovo e le foraggere) e depauperanti (altre colture da rinnovo e i cereali in generale). La casistica è molto vasta, ma alcuni casi specifici sono tradizionalmente citati nella letteratura come esempi chiave:

  • Il prato di leguminose foraggere (ad es. erba medica, trifoglio) è considerato una coltura miglioratrice per eccellenza, in quanto lascia nel suolo residui con un rapporto C/N quasi equilibrato grazie all’azotofissazione simbiontica.
  • Il prato di graminacee foraggere (ad es. dattile, loietto) è considerato miglioratore in quanto accumula un notevole quantitativo di radici fini che permeano fittamente il suolo, favorendo una decomposizione che non viene disturbata dalle lavorazioni.
  • Le colture da rinnovo (ad es. barbabietola, patata, pomodoro, mais, ecc.) sono tradizionalmente considerate miglioratrici in quanto ad esse si destina in genere la fertilizzazione organica, perciò lasciano il suolo in un migliore stato di fertilità. In generale però il contributo intrinseco alla dotazione in sostanza organica è modesto in quanto la coltivazione in file distanziate, con interfile sarchiate o diserbate, riduce notevolmente il quantitativo di biomassa prodotta. Sul bilancio complessivo della sostanza organica gioca inoltre un ruolo non trascurabile l’azione delle lavorazioni, tradizionalmente intensive in queste colture, e la destinazione dei residui colturali: ad esempio, la coltivazione del carciofo; questa coltura sarebbe di per sé miglioratrice per l’abbondante biomassa prodotta, ma si comporta in effetti come sfruttatrice in quanto, al termine della stagione, questa biomassa viene bruciata in campo oppure imballata e destinata come foraggio agli allevamenti in aziende distinte.
  • Le leguminose da granella (ad es. fava, cece, lenticchia) sono tradizionalmente considerate miglioratrici perché contribuiscono ad arricchire il suolo in materiale organico con rapporto C/N più equilibrato. In realtà l’effetto miglioratore è molto più blando rispetto a quello del prato di leguminose e queste specie si collocano meglio nella categoria delle colture da rinnovo. L’azoto prodotto dalla fissazione simbiontica, infatti, confluisce in gran parte nel prodotto asportato, mentre i residui colturali hanno caratteristiche assimilabili a quelle della paglia; l’effetto miglioratore si limita per lo più alle masse radicali lasciate nel suolo.
  • Il riposo pascolativo (ad es. il maggese) ha un effetto miglioratore in quanto beneficia dello sviluppo spontaneo di una vegetazione prativa ricca di graminacee e delle deiezioni lasciate dagli animali al pascolo. Questo effetto si manifesta in particolare quando il riposo pascolativo si protrae per diversi anni, fino a qualche lustro, in quanto lo stato di fertilità del suolo agrario evolve assumendo le proprietà di un pascolo vero e proprio. Questa pratica è ancora adottata in aree circoscritte, ad agricoltura estensiva, nell’Italia meridionale alternando il riposo pascolativo alla monocoltura a cereali o ad altre colture industriali. Storicamente ha avuto un ruolo non indifferente nella conservazione della fertilità organica nei terreni destinati prevalentemente alla cerealicoltura.
  • I cereali autunno-vernini (ad es. grano, orzo) sono tradizionalmente considerati colture depauperanti in quanto la biomassa prodotta è ridottissima ed ha scarsa attitudine all’umificazione. Con queste colture si usa asportare completamente il prodotto (granella e paglia) e tradizionalmente si procede all’incendio delle stoppie o al loro pascolamento. In definitiva il contributo alla fertilità organica è modestissimo se non addirittura negativo; basti pensare che in Italia meridionale la monosuccessione a grano e orzo, praticata per secoli nelle aree interessate dal latifondismo, ha portato ad un inesorabile impoverimento di suoli che in antichità avevano un livello elevato di fertilità.

 

[continua…]

Written by Horty in: Senza categoria |
Lug
24
2022
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Nature-based solutions (esempi)

Come promesso, con un po’ di ritardo, pubblico oggi un po’ di esempi di nature-based solutions. Si tratta solo di piccoli spunti tratti dalla mia esperienza e mi rendo conto che la casistica è enorme. Oltretutto, questo mese sono molto stanco e non mi va di scrivere molto (la parte “teorica” l’ho trattata, in modo piuttosto impersonale, nel post del mese scorso), per cui stavolta userò più che altro alcune immagini che andranno benissimo allo scopo.

 

Nella foto in basso, siamo nel retro dell’ingresso Campus di Bari, dove mi sono laureato. Me la ricordo come una zona di palazzi grigi e squallidi dove sostavo la macchina terrorizzato prima di fare un esame ma, come vedete, è bastato un po’ di verde curato per renderla più bella. A volte è sufficiente la buona volontà di pochi condomini a fare la differenza. Il benessere, in questo caso, è soprattutto psicologico e visivo.

 

Questo sotto è un esempio nella città in cui vivo.

 

Qui ci troviamo invece nel centro storico di Monopoli (Bari), decisamente più pittoresca.

 

Qui invece una parete di un condominio (il mio) dove una vite americana ha occupato tutto lo spzio disponibile. Oltre ad essere molto bella (parere personale), porta fresco a causa di ombra e traspirazione, è un’oasi per piccoli anfibi e per insetti impollinatori, è fonte di contrasto con altri condomini che non ne apprezzano la bellezza e i benefici.

 

Passando a qualcosa di più sofisticato, il city tree posto all’esterno nel Parlamento Europeo a Bruxelles è un esempio di albero artificiale, con tui i vantaggi che un albero può fornire in termini di regolazione del microclima urbano, assorbimento di particelle inquinanti, produzione di ossigeno, ecc. Qual è la differenza con un albero naturale, direte allora? La principale è che il tecnologico city tree dà gli stessi benefici che si otterrebbero se si piantassero 275 alberi!

 

A Eindhoven, nei Paesi Bassi, ci sono fattorie urbane con animali recintati e curatissimi. Lo scopo è quello di aumentare il benessere psicofisico degli abitanti (e dei dipendenti di alcune aziende) grazie al contatto con gli animali. Pubblico qui alcune immagini scattate durante una mia visita alla città.

 

Qualche anno fa ho parlato di permacoltura, un modo per coltivare in maniera sostenibile e “assecondando” i processi naturali. Qui in basso, un orto in Olanda completamente biologico ed energeticamente autosufficiente (tranne che per il lavoro dei ragazzi della cooperativa che lo gestiscono con competenza ed entusiasmo da vendere). Ci sarebbe tantissimo da dire a riguardo, ma i rimando al loro sito web (in inglese). Pubblico qui solo qualche foto che mostra la biodiversità di questo enorme orto, con tante consociazioni di colture diverse, che danno innumerevoli benefici al suolo. Come potete vedere in foto, ci sono anche piante non commestibili, come siepi fiorite per ospitare insetti impollinatori.

 

 

Sempre in Olanda, stavolta ad Utrecht, le pensiline delle stazioni del bus sono sormontate da prati verdi per aumentare il già notevole verde cittadino. Tra i vari vantaggi, c’è quello che il metallo delle pensiline non si arroventa quando c’è il sole, come succede da noi in Italia.

 

 

 

Infine, una foto (quella in basso) coperta da copyright di un mio articolo (che cito qui) a cui tengo molto e che riassume alcune delle mie esperienze più belle. In ordine, potete vedere due esempi di verde a Milano, tra cui il famosissimo bosco verticale progettato da Stefano Boeri. Una terrazza urbana tra le infinite scalinate di San Francisco, un orto urbano (il mio; su cui ho scritto anche un articolo) e due esmpi di parchi urbani su una strada sopraelevata di Tokyo e in cima alla stazione ferroviaria di Kyoto. Tutti esempi all’avanguardia di come rendere più vivibili e accoglienti le città.

 

Vi auguro di trascorrere delle buone vacanze e di riposarvi!

Written by Horty in: Senza categoria |
Giu
29
2022
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Nature-based solutions (introduzione)

 

Il nostro pianeta sta soffrendo a causa delle attività umane. Gli scienziati conoscono sempre meglio il nostro ambiente, i processi, i tassi di cambiamento, le nuove minacce e i relativi rischi. Tuttavia, le sfide sembrano crescere più rapidamente delle soluzioni che possono essere create. Per trovare le soluzioni giuste, fattibili e praticabili per effettuare la transizione verso una società che rimanga entro i confini del pianeta, è necessario che gli scienziati, i responsabili politici e l’industria uniscano le forze.  È necessario concentrarsi sulla ricerca di soluzioni per risolvere questioni sociali del nostro tempo, promuovendo lo scambio di ricerche scientifiche, soluzioni dall’industria e intuizioni provenienti dalla politica per la collaborazione interdisciplinare e il networking. È inoltre necessario riunire scienziati e parti interessate che abbiano lo stesso obiettivo, lavorino sullo stesso problema sociale, ma con profili e punti di vista diversi. Mettendo insieme le persone e le loro conoscenze, potremmo essere in grado di fare dei passi avanti verso soluzioni che possano portare la nostra società a una situazione più sostenibile. Dovremmo collegarci alle politiche internazionali, come gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, le convenzioni ONU sul clima, il Green Deal, il Dipartimento per le Politiche Europee (COP) e la politica agricola comune (PAC). Inoltre, queste azioni e misure non dovrebbero essere rivolte solo agli scienziati, ma anche a coloro che, al di fuori del mondo scientifico, lavorano sulle transizioni verso la mitigazione e l’adattamento al clima, le città e l’agricoltura sostenibili e l’economia circolare, con particolare attenzione all’uso e alla gestione sostenibile dei sistemi naturali.

A partire dalla rivoluzione neolitica, l’umanità ha trasformato i paesaggi, nella maggior parte dei casi a scapito della biodiversità e della salute e qualità del suolo. Inoltre, negli ultimi decenni è emersa un’enorme pressione economica sugli agricoltori, che li ha costretti ad adottare sistemi agronomici altamente produttivi. Pertanto, l’agricoltura è oggi guidata da un elevato apporto di fertilizzanti e pesticidi, dalle coltivazioni fuori suolo, dalla ricomposizione fondiaria e da un alto livello di meccanizzazione. Anche la commercializzazione dei prodotti agricoli è ampiamente disaccoppiata dai sistemi di produzione. Di conseguenza, la pressione sui sistemi naturali è aumentata. Nell’ultimo decennio è aumentata la consapevolezza della società sugli effetti del consumo non sostenibile, compresi i prodotti agricoli, sull’ambiente, ma anche sulla situazione economica degli agricoltori. Ciò ha portato a un ritorno alla produzione e alla distribuzione tradizionali, nonché alla rottura dei concetti tradizionali di agricoltura. Ciò include la valorizzazione delle attività di pascolo tradizionali e l’allevamento di razze locali e regionali di bestiame e piante, l’identificazione di aree di produzione caratteristiche (ad esempio il terroir) e nuovi concetti di diversificazione delle colture. La concettualizzazione, l’analisi e la comprensione di questi nuovi concetti di agricoltura sostenibile meritano un approccio multidisciplinare che permetta di collegare i paesaggi con le persone, i suoli con l’economia, la sostenibilità con cibi e bevande gustosi e sani. Bisogna adottare soluzioni basate sulla natura (nature-based solutions, NBS) ai problemi attuali dell’agricoltura moderna, a volte molto redditizia, ma quasi sempre non sostenibile. I punti di vista della scienza ambientale, dell’ecologia, della scienza del suolo e dell’agronomia dovrebbero perseguire un unico obiettivo: trovare e applicare NBS per mantenere la nostra Terra degna di essere vissuta.

Diversi tipi di impatti umani (compresi i cambiamenti climatici) possono avere effetti dannosi sugli (eco)sistemi terrestri e acquatici. Questi includono cambiamenti nell’uso del suolo e diversi tipi di attività di ingegneria fluviale, che causano erosione del suolo, inondazioni e degrado dei canali fluviali. La gestione sostenibile dei fiumi e dei bacini idrografici (compresi gli sforzi di ripristino) richiede NBS per mitigare (o addirittura invertire) gli effetti dei diversi tipi di interferenza umana e dei cambiamenti climatici. Queste includono, ad esempio, il rimboschimento o l’installazione di diverse misure di ritenzione idrica, come la vegetazione ripariale/le fasce tampone, la conservazione del suolo, le misure di controllo dell’erosione e delle inondazioni, l’eliminazione della protezione delle sponde fluviali o altre attività, quali la rimozione delle dighe. La connettività è emersa come un importante quadro concettuale per comprendere e gestire il trasferimento di acque superficiali, sedimenti, nutrienti e biota attraverso i sistemi paesaggistici. Gli elementi di (dis)connessione possono avere grandi implicazioni spaziali e temporali sui processi ecologici, geomorfologici, idrologici e biogeochimici attraverso il tamponamento dei flussi di acqua e materiali, costituendo così punti nevralgici per le azioni di gestione (incluso il ripristino) dei fiumi e dei bacini idrografici. L’obiettivo è quello di creare una visione interdisciplinare che rifletta un’ampia gamma di ricerche volte a illustrare il ruolo delle NBS nella gestione della connettività idrogeomorfologica ed ecologica in un contesto di gestione fluviale e dei bacini idrografici (incluso il ripristino).

Le NBS dovrebbero essere applicate in agricoltura, silvicoltura e aree naturali per ottenere una gestione sostenibile degli agroecosistemi. Le NBS sono solitamente a scala ridotta e si basano su soluzioni per il suolo o per il paesaggio, ma devono essere incluse a politiche che applicano soluzioni strategiche per regioni e Paesi. Inoltre, un’accurata valutazione della sostenibilità del suolo comprende la caratterizzazione e l’analisi di un’ampia gamma di parametri del suolo: struttura, erosione, qualità, biodiversità, degrado, resilienza, gestione, salute, uso, produttività, ecc. Oggi sono a disposizione molti strumenti, quali i sensori, il monitoraggio in situ ad alta risoluzione temporale, il data mining, l’analisi di machine learning, i metodi geostatistici avanzati, la connettività di acqua e sedimenti, le opzioni di gestione sostenibile del territorio in agricoltura intensiva ed estensiva o i vincoli sociali, economici, biofisici e di percezione.

A titolo di esempio, gli incendi sono considerati una minaccia per le foreste o una fonte benefica di servizi ecosistemici. Tuttavia, il numero di incendi e la durata delle stagioni degli incendi stanno aumentando come effetto del cambiamento climatico. Nella regione mediterranea, tra il 2010 e il 2016 sono stati registrati più di 40.000 incendi all’anno. Inoltre, i recenti incendi su terreni ad alto contenuto di carbonio hanno iniziato ad essere particolarmente preoccupanti. Pertanto, il monitoraggio di questi eventi è più che mai cruciale per mitigare i rischi associati. La gestione di questi rischi richiede un compromesso tra costi ed efficienza. Gli approcci attuali prevedono operazioni di soppressione ad alto costo e politiche controverse che portano a una gestione inefficiente del rischio. Per superare questi problemi, nuovi approcci promuovono tecnologie all’avanguardia, formazione, linee guida e raccomandazioni politiche per migliorare la gestione degli incendi, ridurre gli effetti più dannosi e adattare le strategie di gestione degli incendi ai contesti socio-economici e agli scenari climatici previsti. Sarebbe necessario coinvolgere ricercatori, professionisti, legislatori e cittadini per scambiare esperienze e discutere dell’impatto degli incendi sulla natura e sulla società, delle necessità di prevenire gli incendi estremi, del ruolo delle strategie di gestione del territorio a diverse scale e delle soluzioni basate sulla natura per la gestione del rischio di incendi in Europa.

In questo contesto, è essenziale prendere in considerazione i contributi sui progressi della ricerca, sulla comunicazione e sulle politiche e misure applicate incentrate sulla resilienza ambientale e sulle NBS. Il paradigma della “lotta al cambiamento climatico” e alle sue conseguenze si sta orientando verso la necessità di un’azione parallela per promuovere la gestione e la comunicazione del cambiamento. La natura ha meccanismi di resilienza e rigenerazione che dobbiamo comprendere e accompagnare. Per questo, abbiamo bisogno di migliori cornici interpretative che inneschino decisioni urgenti per rallentare il riscaldamento globale. È urgente esplorare i modi per creare consapevolezza e comprensione da parte dei cittadini sui meccanismi necessari per attenuare le conseguenze del cambiamento climatico sull’ambiente e sulla natura: questi includono il recupero della vegetazione, la trasformazione del suolo, i processi fisici e chimici, l’adattamento delle specie, la gestione delle acque e altri tipi di riorganizzazione in risposta ai cambiamenti.

Gli ambienti urbani sono sottoposti a una forte pressione umana e al degrado ambientale. Le NBS sono in molti casi l’opzione di scelta per i responsabili delle politiche e delle decisioni e per altri professionisti del settore urbano quando vogliono aumentare la resilienza urbana rispetto agli effetti del cambiamento climatico e aumentare la vivibilità dell’ambiente urbano. È importante esplorare il ruolo dei suoli nell’ambiente urbano e le sfide della gestione delle acque, gli approcci e le metodologie innovative basate sulla natura per affrontare il degrado ambientale urbano e migliorare le basi scientifiche per lo sviluppo sostenibile e la resilienza urbana.

Alla luce di quanto detto, bisognerebbe mirare a condividere le conoscenze e a costruire una rete internazionale sulle potenzialità e i limiti degli interventi, delle soluzioni e dei percorsi basati sulla natura per promuovere la transizione verso una società circolare e neutrale dal punto di vista climatico. L’uso del suolo e il settore agricolo sono stati a lungo segnalati come responsabili non solo delle emissioni di gas serra e della perdita di qualità del suolo e dell’acqua, ma anche come parte della soluzione. Modificando le pratiche di gestione del territorio, si può aumentare il sequestro del carbonio e migliorare la salute del suolo, aumentando la capacità del suolo di fornire servizi ecosistemici (produttività primaria, ciclo dei nutrienti, depurazione e regolazione dell’acqua, regolazione del clima con il sequestro del carbonio e habitat per la biodiversità e i processi biologici). I diversi modi in cui le NBS possono contribuire a un’economia circolare e a un settore agricolo a emissioni nette zero includono potenzialità, limiti e gestione delle NBS per chiudere i cicli dell’acqua, dei nutrienti e del carbonio e mitigare l’impatto dell’uso del suolo e dell’agricoltura sul cambiamento climatico e sulla resilienza dei sistemi agro-alimentari.

Nel prossimo post mostrerò alcuni esempi di NBS che mi sono saltati agli occhi negli ultimi anni. Si tratta di piccole cose, ma frutto delle mie esperienze in giro per il mondo. Alla prossima!

Written by Horty in: Senza categoria |
Gen
28
2022
0

Sostenibilità degli agroecosistemi

 

Ecosistema: definizione e funzionamento

Un ecosistema è definito come un sistema naturale costituito da elementi biotici (piante, microrganismi, insetti e tutti gli organismi viventi) ed elementi fisici dell’ambiente (quali radiazione solare, temperatura, elementi chimici) che interagiscono dinamicamente tra loro dando origine ad un’unità che mantiene una sua autonomia funzionale nel tempo. Gli ecosistemi prendono vita attraverso flussi di materia ed energia che avvengono mediante la produzione e la successiva demolizione di molecole organiche. La produzione di molecole organiche da parte di organismi autotrofi, utilizzando come materia prima composti inorganici e luce solare, funge da base energetica per tutte le attività biologiche all’interno degli ecosistemi. Il consumo di tessuti vegetali da parte di erbivori (organismi che consumano piante viventi e alghe) e detritivori (organismi che si nutrono di materia organica morta) serve a trasferire ad altri organismi l’energia immagazzinata nelle molecole organiche prodotte fotosinteticamente (Jones, 2014); questi organismi, detti eterotrofi, ottengono energia e materia dalla demolizione dei composti organici sintetizzati dagli autotrofi, riportando le molecole utilizzate in forma inorganica, e dando così ciclicità al processo.

La sintesi fotoautotrofica di sostanza organica diventa quindi la principale causa dei flussi di materia ed energia all’interno dell’ecosistema. Di conseguenza, la radiazione luminosa emessa dal Sole (motore della fotosintesi) diventa la principale fonte di energia dell’ecosistema, senza la quale mancherebbe il primo anello della catena trofica di cui è composto. L’energia elettromagnetica emessa dal Sole fluisce continuamente attraverso l’ecosistema per poi essere utilizzata dagli organismi viventi (sotto forma di energia chimica), venendo riflessa in parte dalla superficie terrestre sotto forma di calore. Contrariamente all’energia, che viene persa dagli ecosistemi sotto forma di calore, gli elementi chimici (o nutrienti) che compongono le molecole all’interno degli organismi non vengono alterati e possono essere continuamente riciclati tra gli organismi e il loro ambiente. Circa 40 elementi compongono gli organismi viventi, con carbonio, ossigeno, idrogeno, azoto e fosforo che sono i più abbondanti. Se uno di questi elementi scarseggia nell’ambiente, la crescita degli organismi può essere limitata, anche se è disponibile energia sufficiente (Jones, 2014). All’interno di un ecosistema, quindi, gli elementi chimici che compongono la materia, vengono ripetutamente riciclati e scambiati tra la biosfera e gli organismi viventi per mezzo di cicli ben definiti, chiamati biogeochimici.

 

L’agroecosistema

Per definizione l’agroecosistema è un ecosistema secondario caratterizzato dall’intervento umano finalizzato alla produzione agricola e zootecnica. Rispetto all’ecosistema naturale, nell’agroecosistema i flussi di energia e di materia sono modificati attraverso l’apporto di fattori produttivi esterni (fertilizzanti, macchine, irrigazione ecc.), con l’obiettivo di esaltare la produttività delle specie agrarie vegetali coltivate dall’uomo, eliminando quei fattori naturali (altre specie vegetali, insetti, microrganismi) che possono risultare dannosi o entrare in competizione con la coltura agricola a scapito della sua produttività. L’agroecosistema si differenzia dagli ecosistemi in alcuni aspetti, negli ecosistemi l’input energetico deriva prevalentemente dalla radiazione solare, nell’agroecosistema, oltre all’energia solare viene immessa dell’energia ausiliaria come combustibili fossili, lavoro umano e animale per mantenerlo in equilibrio. In secondo luogo, la biodiversità nell’agroecosistema è fortemente ridotta dall’intervento umano, che mira a convogliare la maggior quota possibile di energia e di nutrienti verso poche specie coltivate. Questo, tuttavia, a discapito della sostenibilità dell’agroecosistema stesso.

 

Funzione dell’ecosistema (a) come funzione positiva e lineare della biodiversità e (b) come funzione non lineare e saziante della biodiversità (Copyright © McGraw Hill).

 

Gli agroecosistemi sintetizzano biomassa, utile per la crescita e il mantenimento degli organismi eterotrofi, prevalentemente destinata ad un consumo esterno (cibo). Tuttavia, in funzione della tipologia di gestione, ogni agroecosistema ha il potenziale per fornire una vasta gamma di servizi ecosistemici. Ad esempio, la gestione sostenibile dei suoli all’interno degli agroecosistemi, oltre a garantire nel tempo la funzione primaria dell’agroecosistema, ovvero quella di produrre cibo per una popolazione in aumento, garantirebbe anche la possibilità di:

  • sequestrare CO2 dall’ atmosfera;
  • aumentare le riserve di carbonio organico del suolo che eliminano la principale causa di degradazione dei suoli ovvero la riduzione di sostanza organica;
  • migliorare la struttura fisica del suolo determinando una maggiore capacità di invaso delle acque piovane fornendo una riduzione dei costi relativi all’irrigazione;
  • ridurre l’erodibilità del suolo nei terreni declivi;
  • ridurre o eliminare l’apporto di fertilizzanti chimici la cui gestione se non ben bilanciata può determinare, variazioni nel pH dei suoli, aumento della concentrazione salina, alterazioni dell’attività microbica e movimento in falda di prodotti nocivi che minano la sostenibilità del processo produttivo.

 

Il ciclo del carbonio negli ecosistemi

Il ciclo biogeochimico del carbonio è sicuramente un ciclo fondamentale in tutti gli ecosistemi. Se questo infatti non esistesse, non sarebbe possibile sintetizzare composti organici partendo da molecole inorganiche. Il ciclo del carbonio consiste in flussi dinamici attraverso i quali avvengono scambi di carbonio tra la geosfera, l’atmosfera, l’idrosfera e la biosfera. Il biossido di carbonio (CO2) presente nell’atmosfera viene convertito in composti organici complessi grazie alla fotosintesi delle piante, le stesse per vivere respirano e demoliscono parte di questi composti liberando CO2 nell’atmosfera e recuperando ATP. La restante parte di composti organici è immagazzinata nei tessuti vegetali, i quali saranno in parte consumati da organismi eterotrofi che demoliranno le molecole attraverso la respirazione animale e, in parte, ritorneranno nel suolo sotto forma di residui vegetali e animali. I residui che si accumulano nel suolo sono parzialmente decomposti e mineralizzati reimmettendo nell’atmosfera altra CO2 (respirazione del suolo),; la rimanente quota entra a far parte della sostanza organica del suolo, che si mineralizzerà più lentamente e prenderà rapporto con le fasi solide, liquide e gassose del suolo. I suoli costituiscono la riserva principale di carbonio organico della superficie terrestre, con quantità stimate tra 1.500 e i 2.000 miliardi di tonnellate, rispetto alle 770 di carbonio atmosferico e alle 550 nella biomassa vegetale (Celi et al., 2017).

 

I vari scambi di carbonio, e in particolare di CO2, che avvengono tra geosfera, atmosfera, idrosfera e biosfera (fonte: https://www.biopills.net/ciclo-del-carbonio/).

 

Fino all’era industriale, il sistema era in equilibrio e i flussi di CO2 si equiparavano, ma, a partire dalla fine del 1800, ingenti quantità di carbonio sono entrate a far parte del ciclo a causa delle attività umane, determinando così un forte aumento delle emissioni di CO2. La concentrazione di CO2 atmosferica è aumentata da 280 ppm nel 1750 a 400 ppm, e sta aumentando a un tasso annuo di circa 2,3 ppm (Lal, 2016). Ciò è da imputare principalmente al cambiamento di destinazione d’uso del suolo e all’utilizzo di combustibili fossili. In questo contesto, il suolo rappresenta un importante pool di carbonio, per cui diventa fondamentale studiare i processi chimico-fisici e biologici che le molecole organiche subiscono nel suolo per poter limitare le emissioni di CO2 e mitigare così l’immissione di questo gas serra in atmosfera. La riserva di carbonio del suolo svolge un ruolo fondamentale nel ciclo del carbonio.

Vi è difatti un consenso generale sulle funzioni che il suolo ha di sequestrare CO2 atmosferica, contribuendo a compensare le continue emissioni di CO2 antropogenica (Lal, 2016). La sostanza organica del suolo contiene circa il 55-60% di carbonio in massa e comprende la maggior parte o tutte le riserve di C del suolo stesso (FAO e ITPS, 2015). Il principale apporto di carbonio organico al suolo è fornito dall’assorbimento e dalla fissazione di CO2 da parte delle piante (il risultato netto della fotosintesi e della respirazione delle piante sopra e sotto terra) e dalla successiva incorporazione del residuo vegetale (sia negli strati superficiali che in profondità) nel terreno. Sulla base dell’evidenza che il suolo interconnette le varie riserve di carbonio (cioè atmosfera, biosfera, idrosfera e geosfera) è possibile dedurre che una riduzione degli stock di carbonio organico nel suolo incida negativamente sul ciclo del carbonio e sul sequestro della CO2 atmosferica. Questo processo diviene ancor più accentuato nei suoli dei vari agroecosistemi, in quanto una gestione agronomica volta a massimizzare l’allontanamento della biomassa prodotta, porta ad un graduale impoverimento della sostanza organica nei terreni agrari.

 

Tecniche di gestione sostenibile del suolo

“I suoli sono una risorsa naturale essenziale e non rinnovabile che ospitano beni e servizi vitali per gli ecosistemi e la vita umana.”

La sostenibilità del suolo è un tema molto attuale, in quanto mantenere la sua funzionalità nel tempo significherebbe preservare una lunga serie di servizi ecosistemici. Su questo punto, la FAO ha stilato la Carta Mondiale del Suolo, che definisce il concetto di gestione sostenibile del suolo:

“La gestione del suolo è sostenibile se le funzioni di supporto, regolamentazione e i servizi culturali forniti dal suolo sono mantenute o migliorate nel tempo senza compromettere significativamente le proprietà del suolo che tutelano tali servizi o la biodiversità”.

Oltre a racchiudere il concetto di sostenibilità, la Carta Mondiale del Suolo presenta una serie di nove principi i quali riassumono i ruoli che svolge il suolo e le minacce alla sua capacità di continuare a svolgere questi ruoli. Tra questi nove principi, uno racchiude nel complesso le motivazioni del perché è fondamentale una gestione mirata ad eliminare le possibilità di degrado del suolo:

Principio 8: “Il degrado del suolo riduce o elimina intrinsecamente le funzioni dei suoli e la loro capacità di supportare i servizi ecosistemici essenziali per il benessere umano. Ridurre al minimo o eliminare il degrado significativo del suolo è essenziale per mantenere i servizi forniti da tutti i suoli ed è sostanzialmente più conveniente rispetto alla riabilitazione dei suoli dopo che si è verificato il degrado”.

Diventa quindi fondamentale operare sui suoli utilizzando tecniche tali da limitare i processi agronomici attraverso i quali si manifestano le principali cause della degradazione del suolo, ovvero:

  • erosione del suolo causata dall’acqua e dal vento;
  • perdita di carbonio organico;
  • squilibrio dei nutrienti;
  • salinizzazione;
  • contaminazione;
  • acidificazione;
  • perdita di biodiversità;
  • soil sealing (impermeabilizzazione del suolo/consumo di suolo);
  • compattazione del suolo e ristagno idrico.

Questi fenomeni sono indicati nel rapporto Status of the World’s Soil Resources della FAO-ITPS (2015), secondo cui le tecniche di gestione sostenibile del suolo dovrebbero essere quindi mirate a limitare queste minacce.

 

Erosione del suolo

L’erosione dell’suolo, causata dall’acqua (idrica) o dal vento (eolica), provoca la perdita degli strati più superficiali del suolo contenenti il maggior numero di nutrienti organici e minerali. Inoltre, i sedimenti trasportati possono ridurre la capacità di invaso di bacini di raccolta di acque per l’irrigazione o per le acque destinate alla rete idrica urbana. Questo fenomeno è senza dubbio accelerato dall’adozione di pratiche di gestione non corrette e non sostenibili, in quanto, una minore lavorazione superficiale del terreno o una copertura vegetale perenne risolverebbe in gran parte il problema nelle aree più esposte. Questo tipo di gestione inoltre determinerebbe anche altri benefici legati all’aumento della sostanza organica, all’aumento di biodiversità del suolo e alla riduzione del rischio di frane.

 

Aumento del contenuto di sostanza organica del suolo

La sostanza organica del suolo svolge ruoli fondamentali nel mantenimento delle funzioni del suolo e ne previene il degrado. L’impoverimento della fase organica del suolo è uno dei maggiori motivi per il quale molti suoli stanno perdendo la propria fertilità. In più, come già detto, le riserve di carbonio organico del suolo svolgono un ruolo fondamentale nella mitigazione del cambiamento climatico. La perdita continua di sostanza organica è molto accentuata nei terreni agrari, dove le lavorazioni del terreno ne accentuano la mineralizzazione. La riduzione di questo fenomeno potrebbe essere colmata attraverso l’utilizzo di tecniche di gestione oculate, quali:

  • utilizzo di colture di copertura, le cui radici tendono a rimanere nel suolo promuovendo fenomeni di simbiosi e migliorando la struttura fisica del suolo;
  • gestione dei residui colturali volta al loro reintegro nel suolo evitandone la bruciatura;
  • utilizzo di ammendanti organici e gestione oculata dell’utilizzo di fertilizzanti minerali basata sulle esigenze della coltura, sulle sue asportazioni e tenendo conto dei reintegri dovuti a mineralizzazioni dei residui colturali rimasti nel suolo;
  • rotazioni colturali volte a migliorare la qualità del suolo associate a lavorazioni minime del terreno.

 

Preservare la biodiversità del suolo

I suoli forniscono uno dei più grandi serbatoi di biodiversità sulla terra (25% della biodiversità globale) e, grazie ad una serie di organismi e microrganismi che in esso trovano l’habitat ideale, garantiscono il corretto funzionamento dei cicli biogeochimici di vari elementi negli ecosistemi. L’aumento della biodiversità è correlato all’aumento di sostanza organica del suolo, la quale garantisce una riserva di nutrienti a moltissimi microrganismi decompositori. Negli agroecosistemi, la riduzione della biodiversità è una problematica importante e questa riduzione dovrebbe essere scoraggiata aumentando la difesa integrata verso molti parassiti dannosi per le colture e/o utilizzando tutte le pratiche volte all’aumento della sostanza organica.

 

Gestione del soil sealing

Il soil sealing consiste nell’impermeabilizzazione dei suoli attraverso la trasformazione di terreni, prima naturali, in terreni urbanizzati. Questo fenomeno negli anni provocato il ritiro dalla produzione agricola di migliaia di ettari di suolo e alla perdita di gran parte dei servizi ecosistemici in maniera irreversibile. Diventa quindi necessario regolamentare questo processo evitando di urbanizzare nuovi suoli, rivalutando aree urbane già urbanizzate e inutilizzate, cercando se strettamente necessario di urbanizzare i suoli meno produttivi salvaguardando quelli con maggiore tendenza nella produzione di servizi ecosistemici.

 

Riduzione della compattazione del suolo

La compattazione del suolo è definita come la rottura della continuità dei pori strutturali del suolo, è quindi, un fenomeno di degrado fisico del suolo e, come tale, comporta una serie di problematiche legate alla quantità d’acqua e di aria contenute al suo interno, rendendo la vita ostile alla flora e alla fauna che darebbero altresì vita al suolo. Occorre quindi prevenire il deterioramento della struttura del suolo riducendo le lavorazioni superflue, diminuendo il traffico veicolare il più possibile su di esso, garantire un adeguato contenuto di sostanza organica che migliora la porosità del suolo.

 

Grazie a loro, ho scritto:

Celi, L., Miano, T., Senesi N., (2017) Sostanza organica del suolo, Sequi P., Fondamenti di chimica del suolo, pag. 83-102, Patron Editore, Bologna.

FAO e ITPS (2015). Status of the World’s Soil Resources (SWSR) – Main Report. Food and Agriculture Organization of the United Nations and Intergovernmental Technical Panel on Soils, Rome, Italy.

Jones, J.B.J. (2019). Ecosystem. AccessScience@McGraw-Hill, https://doi.org/10.1036/1097-8542.212700

Lal, R. (2016). Beyond COP21: Potential and challenges of the “4 per Thousand” initiative. Journal of soil and water conservation, 71 (1), 20 A- 25 A. https://doi.org/10.2489/jswc.71.1.20A

 

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