Parenti selvatici
Molte colture coltivate hanno parenti selvatici che possono essere sia piante della stessa specie sia di specie strettamente correlate. Questi possono aiutare gli scienziati non solo a capire l’origine delle nostre colture, ma anche a creare nuove varietà di colture capaci di adattarsi ad un futuro non predicibile. La domesticazione riduce la variabilità genetica nelle colture, ma le specie selvatiche possono reintrodurre la diversità necessaria per la resilienza al cambiamento climatico, alle malattie e ad altre sfide.
Oggi vedremo alcuni parenti delle specie coltivate con cui abbiamo familiarità.
Molti alimenti usati nelle nostre cucine regionali non sono nativi ma giungono dalle regioni con cui si sono stati instaurati commerci secoli fa. Ad esempio, l’introduzione delle colture asiatiche in Europa è cominciata nel quarto secolo a. C. con Alessandro Magno, il quale aprì la via della seta, una serie di percorsi adatti alle carovane. Questo commercio introdusse importanti colture asiatiche nell’Occidente, quali riso, seta, tè e spezie esotiche. L’importanza economica e la popolarità di queste colture portarono alla loro coltivazione in climi favorevoli in altre parti del mondo. Ad esempio, l’arancio fu portato dall’Asia alla Spagna, in particolare la varietà “Siviglia”, usata in Europa per preparare marmellate. La natura distintiva delle cucine di oggi è il risultato di questo scambio globale e della dispersione delle colture. Le colture che hanno parenti selvatici in Asia Orientale sono bambù, carota, zenzero, citronella, arancio, pruno, riso, soia, tè, mentre quelli che ne hanno in Asia Occidentale/Medio Oriente sono melo, orzo, basilico, cocomero, melanzana, fico, lino, cece, lattuga, avena, pero, spinacio, curcuma, frumento. In particolare, il riso (Oryza sativa) è stato coltivato per la prima volta nel sudest asiatico e in India almeno 9000 anni fa ed è quindi la coltura più antica.
Le tecniche agronomiche sono cambiate radicalmente nei secoli. Tradizionalmente, gli agricoltori coltivavano differenti tipi di colture nello stesso campo, sia insieme che in successione. La moderna monocoltura prevede invece una coltura nello stesso campo per molti raccolti successivi. Questo metodo fornisce grandi rese e garantisce un raccolto efficiente. D’altra parte, la sua maggiore suscettibilità a parassiti, malattie e impoverimento del suolo, spesso causa l’utilizzo di dosi crescenti di pesticidi e fertilizzanti, soprattutto di quelli sintetici. I benefici della policoltura sono evidenti nella consociazione. Per esempio, i nativi americani coltivavano mais, fagiolo e zucchino insieme. Il mais fornisce una struttura per fare arrampicare i fagioli. Le radici di fagiolo rilasciano nel suolo azoto, che agisce da fertilizzante naturale. L’ombra delle piante di zucchino sopprime le malerbe e conserva l’umidità del suolo. Anche se la resa è minore rispetto alla monocoltura, ci sono meno costi ambientali e gestionali. Le colture che hanno parenti selvatici in Messico/America Centrale includono agave, fagiolo, mais, fico d’india, peperone, zucchino, pomodoro, mentre quelli che ne hanno nell’America Tropicale sono avocado, cacao, vaniglia. Almeno 7000 anni fa, i primi agricoltori domesticarono la specie selvatica teosinte in mais (Zea mays).
Gli impollinatori hanno un ruolo essenziale nella coltivazione delle piante. L’impollinazione del fiore è il movimento di polline da uno stame ad un pistillo mediante il vento, l’acqua o gli animali. Gli impollinatori animali includono insetti (api, farfalle, ecc.), uccelli come i colibrì, mammiferi come i pipistrelli, e anche noi persone. Gli impollinatori possono essere attratti da differenti caratteristiche del fiore: colore, odore, forma e ricompense nutritive quali polline e nettare. Una volta che l’impollinazione è avvenuta, i semi si sviluppano e l’ovario del fiore si trasforma in un frutto. Un terzo della nostra dieta quotidiana dipende dall’impollinazione ad opera delle api, le quali impollinano una grande varietà di colture, tra le quali melo, uva, olivo, avocado e mandorle. Molte di esse sono arboree. Un declino di api potrebbe causare una crisi nella gestione dei raccolti. Le colture che hanno parenti selvatici in Nord America includono mirtillo, chia, ribes, uva, indaco, pecan, zucca, zucchino, fragola, girasole, carciofo, tabacco. Circa 3000 anni fa, i nativi americani resero il girasole (Helianthus annuus) un’importante coltura alimentare.
La diversità delle colture è aumentata nel corso di migliaia di anni di coltivazione e selezione delle piante. Oggi ci sono 30.000 varietà di frumento (Triticum aestivum) e 100.000 varietà di riso (Oryza sativa). La variabilità genetica permette ad una coltura di sopravvivere in differenti condizioni di crescita. La carestia alimentare della patata irlandese intorno al 1840 è un esempio dell’importanza della biodiversità agricola. Gli indigeni del Perù hanno coltivato 3000 varietà di patata (Solanum tuberosum) per 5000 anni. I primi esploratori europei portarono in Irlanda solo due varietà, entrambe suscettibili alla peronospora, che distrusse il raccolto. La carestia risultante ebbe ricadute su milioni di persone, molte delle quali morirono di stenti o furono costrette a emigrare. L’agricoltura moderna ha portato a una selezione limitata di colture che sono coltivate e vendute. Per fortuna, nel mondo, agricoltori su piccola scala mantengono ancora le altre varietà in circolazioni. Dal momento che il clima sta cambiando, preservare questa diversità genetica è estremamente importante per la resilienza delle colture. Le colture che hanno parenti selvatici in Sud America includono amaranto, cassava, fagiolo, mashua, oca, arachide, ananas, patata, quinoa, zucchino, patata dolce, pomodoro, yacon. In particolare, il pomodoro (Solanum lycopersicum) è diventato parte delle cucine di tutto il mondo. L’amaranto (Amaranthsu caudatus) è stato coltivato da Maya, Aztechi e Inca, i quali credevano nella sua capacità di indurre forza e resistenza. Difatti, il seme dell’amaranto ha un alto contenuto di proteine, fibre, calcio e ferro rispetto a frumento, mais, riso o avena.
L’agricoltura ha avuto origine migliaia di anni fa, quando si cominciò a recuperare e conservare i semi delle piante selvatiche e a coltivarli. Ad ogni stagione di crescita, gli agricoltori selezionavano i semi dalle piante migliori. Nel tempo, questa coltivazione ha avuto come risultato raccolti più desiderabili. Nuove caratteristiche hanno migliorato le colture, ma spesso esse erano incapaci di sopravvivere in ambiente naturale. Noi chiamiamo queste piante “domesticate”. I primi coltivatori svilupparono molti diversi tipi di verdura adoperando la selezione del seme. Noi stiamo ancora creando nuove varietà e ibridi. Ci sono Brassicacee (anche chiamate Crucifere per via della forma a croce delle loro corolle) che condividono un antenato selvatico, ognuno dei quali coltivato per una diversa parte edibile. Per esempio, rutabaga e rapa per le radici, kohirabi per i fusti, cavolo, cavolo riccio e cavoletti di Bruxelles per le foglie, broccoli e cavolfiore per i fiori, mostarda e olio di colza per i semi. Le colture che hanno parenti selvatici in Europa includono asparago, bietola, bietola rossa, broccoli, cavoletti di Bruxelles, cavolo, cardone, cavolfiore, sedano, camomilla, finocchio, rafano, cavolo riccio, lavanda, prezzemolo, radicchio, rosmarino, rutabaga, segale, acetosa, rapa. In particolare, l’antenato della segale (Segale cereale) arrivò per la prima volta in Europa dal Medio Oriente. Le popolazioni del Nord Europa poi svilupparono le varietà di segale con i semi più grandi.
Da quello che ci siamo detti, questi parenti selvatici sono la chiave per comprendere sia il passato che il futuro dei nostri raccolti. A noi tocca ora preservarli sia per il loro contributo intrinseco alla diversità vegetale e sia per il loro possibile utilizzo in un futuro incerto e fosco.