Set
22
2022
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Far luce sulle piante

Gli organismi viventi sono soggetti a condizioni ambientali fluttuanti. Mentre la maggior parte degli animali è in grado di allontanarsi da condizioni sfavorevoli, le piante sono sessili e devono quindi far fronte a vari tipi di segnali ambientali. Tra questi segnali, la luce può probabilmente essere considerata la più importante. Oltre al suo ruolo chiave nel metabolismo vegetale, dove guida il processo di fotosintesi, l’energia luminosa agisce anche per regolare la crescita e lo sviluppo delle piante. La quantità, la qualità, la direzione e la durata diurna e stagionale della luce regolano i processi che vanno dalla germinazione, all’insediamento, all’architettura e alla transizione verso lo sviluppo riproduttivo delle piante. Queste risposte alla luce costituiscono la fotomorfogenesi. In effetti, non c’è quasi nessun processo nella vita delle piante, dalla germinazione dei semi alla fioritura, che non sia influenzato dalla luce. La luce è anche un segnale molto versatile, che varia non solo in qualità, ma anche in quantità, durata e direzione. Non inaspettatamente, i segnali luminosi regolatori sono rilevati da una serie di fotorecettori specializzati nella trasduzione di informazioni, tra cui i fitocromi che assorbono la luce rossa/rossa, i criptocromi e le fototropine che assorbono la luce blu/ultravioletta-A e una o più molecole fotorecettrici che assorbono la luce ultravioletta-B, non ancora identificate. La trasduzione del segnale mediata dalla luce nelle piante inizia con la percezione della luce da parte di questi fotorecettori specializzati, che portano a un’alterazione dell’espressione di diverse migliaia di geni, consentendo così alla pianta di rispondere a livello fisiologico. I segnali vengono trasdotti in modo diverso a seconda della struttura molecolare del fotorecettore. È evidente che i fotorecettori operano attraverso interazioni tra loro e con altri sistemi di segnalazione, formando così complesse reti di risposta. Un campo di ricerca emergente è l’interazione tra fotorecettori diversi, una situazione analoga a quella delle interazioni tra ormoni. È inoltre comunemente osservato che i germogli delle piante crescono (o si piegano) verso una fonte di luce, mentre le radici si allontanano da essa. Questi movimenti di crescita, chiamati fototropismo, avvengono in risposta a uno stimolo luminoso direzionale e differiscono da altri movimenti di crescita delle piante, che non hanno una componente direzionale. Le risposte fototropiche differiscono l’una dall’altra per gli stimoli che le inducono e le vie di trasduzione del segnale, ma entrambe portano alla fine a una crescita non uniforme sui due lati di uno stelo o di una radice, una risposta che è mediata in parte da alcuni ormoni vegetali, come le auxine.

 

La luce è la sorgente primaria di energia per l’ecosistema. Le piante, assorbendo la luce, ne assimilano l’energia per fotosintesi. La luce è costituita da radiazioni elettromagnetiche che arrivano sulla Terra dal Sole, ma non tutte le radiazioni elettromagnetiche che incidono sulla superficie della Terra sono utili per la fotosintesi. L’arcobaleno e i prismi mostrano che la luce visibile è costituita da uno spettro di radiazioni di differenti lunghezze d’onda, espresse generalmente in micrometri o in nanometri (milionesimi o miliardesimi di metro), che percepiamo come differenti colori. Le lunghezze d’onda dello spettro visibile si estendono da 400 nm a 700 nm, che è la regione della radiazione fotosinteticamente attiva (RFA). Il contenuto di energia della luce varia con la lunghezza d’onda e, quindi, con il colore; la luce blu, di lunghezza d’onda più piccola, ha più energia della luce rossa, di lunghezza d’onda maggiore. Soltanto il 44% della radiazione solare totale che incide sulla superficie della Terra al livello del mare giace in questa regione, mentre il resto non è disponibile per le piante come risorsa energetica.

 

L’assimilazione netta (cioè la fotosintesi meno respirazione) è negativa nell’oscurità e cresce con l’intensità della luce, arrivando a una regione costante (plateau) nelle cosiddette piante C3 o continuando a crescere, sebbene con rendimenti decrescenti, nelle cosiddette piante C4. In entrambi i casi, quanto più alta è l’intensità della luce, tanto più bassa è la percentuale di essa che viene usata nell’assimilazione. Durante una giornata soleggiata e luminosa, una foglia esposta può essere incapace di sfruttare completamente molta della radiazione solare incidente. Questo può essere dovuto alla forma della pianta in due modi. In primo luogo, le foglie possono essere esposte sotto angoli acuti rispetto alla radiazione incidente, e ciò ha l’effetto di distribuire un fascio incidente di radiazione su una più ampia area fogliare, ossia, in pratica, di ridurre l’intensità del fascio luminoso. In secondo luogo, le foglie possono essere sovrapposte a formare una volta pluristratificata (ricordate la fillotassi?). In presenza di luce solare intensa, però, anche le foglie ombreggiate che si trovano negli strati (volte) inferiori possono avere velocità di assimilazione positive e portare un contributo all’assimilazione della pianta a cui sono inserite. La velocità di fotosintesi dipende anche dalle richieste che vengono fatte da altre parti della pianta. In assenza di parti in vigoroso accrescimento, che servono da “pozzo” per i prodotti fotosintetici, la fotosintesi può subire una riduzione anche se le condizioni sono potenzialmente ideali. Variazioni della luce ricevuta da una foglia sono causate dalla natura e dalla posizione delle foglie vicine e di quelle che la sovrastano. Ogni strato di vegetazione, ogni pianta e ogni foglia, intercettando la luce, creano una zona di depauperamento (o deplezione) della risorsa (ZDR): una striscia di ombra in movimento in cui si possono trovare altre foglie della stessa pianta o di altre piante. Anche la composizione della radiazione che ha attraversato le foglie in uno strato si modifica, diventando meno utile per la fotosintesi, poiché la RFA si riduce e gran parte della luce perde la sua direzione iniziale per diffusione e riflessione.

 

Le principali differenze strategiche tra le specie nella loro reazione all’intensità della luce sono le differenze evolutesi tra le specie eliofile e le specie sciafile. In generale, le specie vegetali che sono caratteristiche degli habitat ombreggiati usano la luce di bassa intensità più efficientemente rispetto alle specie eliofile, ma raggiungono un plateau di velocità di fotosintesi a intensità più basse. Inoltre le sciafite tendono a respirare a velocità più basse. Perciò l’assimilazione netta delle specie sciafile è più alta di quelle delle specie eliofile in condizioni di ombreggiamento. Inoltre le piante definite come C4 sono capaci di aumentare la loro velocità di fotosintesi in risposta all’aumento dell’intensità della luce di gran lunga oltre qualsiasi valore che sia probabile incontrare all’aperto, rispetto alle piante C3. Data tale variazione tra specie di piante nella risposta a differenti intensità della radiazione, non sorprende che la vegetazione spontanea tenda ad essere formata da strati di piante la cui capacità di usare la radiazione corrisponde alle loro posizioni negli strati di vegetazione. Può anche accadere che, via via che una pianta si accresce, le sue foglie si sviluppino differentemente in risposta diretta all’ambiente luminoso in cui la foglia si è accresciuta. Ciò determina spesso la formazione di “foglie da Sole” e “foglie da ombra” all’interno della volta formata da una singola pianta. Le foglie da Sole sono tipicamente meno estese, sono più spesse e hanno più cellule per unità di area, venature più dense, cloroplasti raggruppati più densamente e maggiore peso secco riferito all’unità di area della foglia. Le foglie da ombra presentano, invece, un’area più grande rispetto al loro peso secco e sono di solito più traslucide. Le foglie da ombra inferiori in un albero possono non dare un grande contributo al bilancio energetico della pianta di cui fanno parte, ma, con i loro punti di compensazione inferiori, possono perlomeno compensare l’energia necessaria alla loro respirazione.

 

Queste “manovre tattiche”, che si svolgono a livello della singola foglia o persino delle sue parti, richiedono però del tempo. Per formare foglie da Sole e foglie da ombra in risposta alla posizione in cui stanno crescendo, la pianta, la sua gemma, o la foglia in sviluppo devono percepire il microambiente intorno della foglia e rispondere sviluppando una foglia con struttura appropriata. Ma, nel formare una nuova foglia, c’è un ritardo, e quindi per la pianta è impossibile cambiare la propria forma tanto rapidamente quanto basta per inseguire le variazioni dell’intensità della luce tra un giorno nuvoloso e uno sereno, per esempio. La volta di una popolazione di piante coltivate è costituita una popolazione di foglie. Essa può essere descritta olisticamente con un parametro chiamato “indice di area fogliare” (IAF), che definisce l’area delle foglie su un’area di superficie/suolo. Le zone di depauperamento della luce prodotte dalle singole foglie in una volta creano al suo interno un gradiente di intensità della luce. La forma di questa curva di estinzione della luce dipende in grande misura dagli angoli sotto cui le foglie giacciono. Una volta di foglie che sono portate quasi orizzontalmente, come nel caso del trifoglio, produce una brusca diminuzione dell’intensità della luce quando il sole è alto nel cielo. Per contro, le foglie di una densa distesa di graminacee permettono a una grande quantità di luce di penetrare e di riflettersi internamente in profondità nella volta.

 

Nella maggior parte della vegetazione, le foglie sono ammassate, con alcune foglie in pieno Sole e altre in ombra. La maggior parte della fotosintesi si svolgerà nella parte più alta della volta, ma, quanto più alta è l’intensità della luce, tanto maggiore è il contributo portato dagli strati più bassi. Però, se le foglie occupano una posizione troppo bassa nella volta, la respirazione può superare la fotosintesi. Tali foglie avrebbero una velocità di assimilazione netta negativa e farebbero diminuire la velocità di fissazione dell’energia della chioma nel suo insieme. Per una popolazione di qualsiasi data specie vi sarà un indice di area fogliare, capace di assicurare la massima velocità di fissazione dell’energia riferita all’unità di superficie di terreno. Ad alti valori di IAF, la maggior parte delle foglie o delle piante ombreggiate può fare diminuire il potenziale di assimilazione della comunità nel suo insieme: una popolazione di piante può avere quindi troppe foglie. Un agricoltore o un forestale intelligente potrebbe volere ottenere la densità fogliare ottimale, ma è più facile dirlo che farlo. L’indice di area fogliare ottimale per una comunità di piante (nell’ipotesi che l’acqua e le sostanze nutritive non siano limitanti) dipende infatti dalla forma e dalla disposizione delle foglie nella volta, dall’inclinazione dei raggi solari e dalla intensità della radiazione solare. Inoltre, quando l’intensità della luce cresce, il punto in cui la fotosintesi supera la respirazione si sposta più in profondità nella volta. Perciò, l’indice di area fogliare ottimale per un’area di vegetazione varierà di stagione in stagione, di giorno in giorno, e persino nel corso di uno stesso giorno. La conseguenza è che la maggior parte della vegetazione trascorre quasi metà della vita con un indice di area fogliare subottimale e l’altra metà con un indice di area fogliare sovraottimale, mentre solo temporaneamente avrà un indice di area fogliare ottimale. Difatti, i il rendimento approssimato delle colture delle zone temperate è pari a solo lo 0.6 % dell’energia radiante incidente. Il fatto che la luce non venga utilizza con alto rendimento non implica di per sé che essa non limiti la produttività della comunità (nelle piante coltivate in condizioni ideali si possono raggiungere rendimenti del 3-10%). L’intensità della luce durante una parte del giorno è inferiore al valore ottimale per la fotosintesi nella volta della vegetazione. Inoltre, in corrispondenza di intensità massime di luce, spesso la vegetazione continua ad avere le foglie più basse in relativa oscurità e quasi certamente farebbe fotosintesi più velocemente se l’intensità della luce fosse più alta. Nel caso delle piante C4, a quanto pare, non viene raggiunta mai un’intensità della radiazione che determina saturazione e di conseguenza la produttività può essere limitata da una penuria di radiazione fotosinteticamente attiva anche in presenza della più luminosa radiazione naturale.

 

Ma andiamo un po’ più nel dettaglio.

 

Le radiazioni elettromagnetiche solari che raggiungono la parte superiore dell’atmosfera terrestre si estendono oltre la regione visibile, da ambo i lati di essa. Oltre l’estremo di piccola lunghezza d’onda dello spettro, giacciono la regione ultravioletta, i raggi X e i raggi gamma, la cui energia cresce al decrescere della lunghezza d’onda; oltre l’estremo di grande lunghezza d’onda, c’è la regione infrarossa e le radioonde, la cui energia decresce al crescere della lunghezza d’onda. A causa del suo alto contenuto di energia, l’ultravioletto può danneggiare le cellule ed i tessuti esposti, anche se la maggior parte degli UV viene assorbita dallo stato stratosferico di ozono. La conversione fotochimica dell’energia luminosa in energia chimica ad opera delle piante avviene principalmente in quella regione dello spettro solare che contiene la massima quantità di energia. L’assorbimento dell’energia radiante dipende dalla natura della sostanza assorbente. L’acqua assorbe soltanto lievemente la luce le cui lunghezze d’onda cadono nella regione visibile dello spettro di energie. Le sostanze colorate, chiamate anche pigmenti, assorbono fortemente la luce di alcune lunghezze d’onda nella regione visibile dello spettro e riflettono o trasmettono la luce di lunghezze d’onda definite, i cui colori corrispondenti permettono di identificarle. Le foglie delle piante contengono vari tipi di pigmenti, in particolare clorofille (verdi) e carotenoidi (gialli-arancio), che assorbono la luce utilizzando la sua energia. I carotenoidi assorbono principalmente la luce blu e verde e riflettono la luce gialla e arancione. La clorofilla assorbe la luce rossa e la luce violetta e riflette la luce verde e la luce blu. La luce verde viene assorbita meno e, quindi, le foglie ci appaiono verdi.

 

La luce inoltre ha un ruolo fondamentale nell’irraggiamento, nella conduzione e nella convezione dell’energia radiante nelle piante. La velocità di fotosintesi è direttamente proporzionale a bassi livelli di radiazione, tipicamente minori di ¼ di quello prodotto dall’esposizione alla piena luce solare. Un irraggiamento maggiore satura i pigmenti fotosintetici e, al suo crescere, la velocità di fotosintesi aumenta più lentamente o si stabilizza. In molte piante, un irraggiamento estremamente alto compromette le fotosintesi a causa della inattivazione delle reazioni fotosintetiche (fotoinibizione). La risposta della fotosintesi all’irraggiamento ha due punti di riferimento. Il primo, detto punto di compensazione, è il valore dell’irradiamento in corrispondenza del quale l’assimilazione fotosintetica di energia bilancia esattamente la respirazione. Al di sopra del punto di compensazione, il bilancio energetico della pianta è positivo; al di sotto, il bilancio energetico è negativo. Il secondo punto di riferimento è il punto di saturazione, al di sopra del quale la velocità di fotosintesi non risponde più all’irradiamento crescente.

 

Il rendimento fotosintetico (o “efficienza fotosintetica”), che è la percentuale di energia radiante incidente che si converte in produzione primaria netta durante la stagione di accrescimento, fornisce un utile indice della velocità di produzione primaria in condizioni naturali. Dove l’acqua e le sostanze nutritive non limitano severamente la produzione delle piante, il rendimento fotosintetico varia fra l’1 e il 2%. Le foglie e le altre superfici fotosintetizzanti riflettono da ¼ a ¾ del restante 98-99%. Molecole diverse dai pigmenti fotosinteticamente attivi assorbono la maggior parte del resto, che si converte in calore e viene irradiato o trasmesso per conduzione attraverso la superficie fogliare, o dissipato dall’evaporazione dell’acqua dalla foglia (traspirazione).

 

Le quantità relative di radiazione diretta o di radiazione diffusa che giungono su una foglia esposta dipendono dalla quantità di polvere presente nell’aria e, in particolare, dallo spessore dello strato di aria diffondente interposto tra il sole e la pianta. L’indice di area fogliare (IAF) è, per definizione, l’area della superficie delle foglie riferita all’unità di area della superficie di suolo. La vegetazione del deserto possiede un IAF più basso di quello della foresta e ciò spiega gran parte della differenza di produttività. In generale, quando si aggiungono foglie alla volta della vegetazione, si può prevedere che l’aumento dell’IAF faccia aumentare la produttività; ma alla fine, a causa dell’ombreggiamento, viene raggiunto un punto in cui le foglie che occupano una posizione bassa nella volta non ricevono luce sufficiente per fotosintetizzare con una velocità eguale alla loro velocità di respirazione. Oltre questo livello, al crescere dell’IAF decresce la produttività. L’IAF non è l’unica caratteristica strutturale che influenza la produttività della volta della vegetazione. Altri due attributi importanti sono l’inclinazione delle foglie e la densità delle foglie lungo la profondità della volta. Ad alte intensità di luce, la produttività è maggiore in una volta in cui le foglie situate alla sommità sono maggiormente inclinate rispetto al piano orizzontale. In questo caso, in corrispondenza dell’ambiente ricco di luce dello strato superficiale, la conseguente riduzione dell’assorbimento della luce non riduce la velocità di fotosintesi, mentre una maggiore quantità di luce è resa disponibile nei livelli più bassi della volta. Un’alta produttività è associata anche alla concentrazione di foglie nella parte superiore della volta, tranne quando le foglie situate alla sommità sono inclinate orizzontalmente.

 

La produttività di una comunità di piante può perdurare soltanto per quel periodo durante il quale le piante sono provviste di fogliame fotosinteticamente attivo. Gli alberi caducifogli hanno un limite autoimposto al periodo dell’anno durante il quale portano fogliame. Al contrario, gli alberi sempreverdi sono provvisti di fogliame durante tutto l’anno ma, durante alcune stagioni, esso può fotosintetizzare a malapena o persino respirare più velocemente di quanto fotosintetizzi. Gli andamenti latitudinali della produttività delle foreste sono quindi in gran parte una conseguenza di differenze nel numero di giorni in cui c’è una fotosintesi attiva. Quali che siano l’intensità dei raggi solari e la frequenza delle piogge, a temperatura costante, la produttività sarà comunque bassa se il terreno è carente di sostanze minerali nutritive essenziali. La radiazione incidente viene usata con basso rendimento da tutte le comunità. Le cause di questo basso rendimento di utilizzazione possono essere fatte risalire ai seguenti fattori: penuria di acqua che limita la velocità di fotosintesi, penuria di sostanze nutritive minerali essenziali che fa diminuire la velocità di produzione di tessuto fotosintetizzante e la sua efficacia nella fotosintesi, temperature letali o troppo basse per consentire l’accrescimento, insufficiente profondità o carenze minerali del suolo, incompleta copertura di fogliame (stagionalità della produzione delle foglie, defogliazione per opera di organismi nocivi), basso rendimento con cui le foglie fotosintetizzano (difficilmente >10% anche nei sistemi agricoli più produttivi).

 

Inoltre, la luce ha anche altri effetti sullo sviluppo delle piante, causando il fototropismo e permettendo il geotropismo nelle radici di certe specie. Esistono inoltre numerosi altri effetti della luce, indipendenti dalla fotosintesi e dal fototropismo. La maggior parte di questi effetti controllano la forma della pianta, cioè il suo sviluppo o morfogenesi. Il controllo della morfogenesi da parte della luce è comunemente indicato come fotomorfogenesi. Un pigmento, chiamato fitocromo, assorbe la luce in rapporto a questo fenomeno; di esso ne esistono almeno due tipi. Altri fotorecettori scoperti più di recente sono il crittocromo (tipico della Crittogame, ma presente anche in piante superiori), il fotorecettore UV-B e la protoclorofillide a (il precursore immediato della clorofilla). Esistono in bibliografia molte ricerche sugli effetti del fitocromo in particolare sulla germinazione fotodipendente, sulla natura della fotodormienza, sul ruolo della luce nella morfogenesi delle plantule e nell’accrescimento vegetativo, sugli effetti fotoperiodici della luce, sull’incremento della sintesi dei flavonoidi indotto dalla luce e infine sugli effetti della luce sulla disposizione dei cloroplasti. La luce è inoltre coinvolta nei fenomeni relativi al cosiddetto “orologio biologico”, in parte influenzato da ritmi circadiani, e nei fenomeni di fotoperiodismo. Quest’ultimo è un fenomeno veramente straordinario! Spesso la sincronizzazione degli organismi con le stagioni è in rapporto con la riproduzione: ad esempio è importante che tutti gli individui di una data specie di angiosperme fioriscano nello stesso momento (garantendo la possibilità dell’impollinazione incrociata) o che i muschi, le felci, le conifere ed anche alcune alghe formino le strutture riproduttive in una determinata stagione. Molte altre risposte delle piante, come l’allungamento del caule, la crescita delle foglie, la dormienza, la formazione di organi di riserva, la caduta delle foglie e lo sviluppo della resistenza al gelo, si manifestano durante certe stagioni. Spesso queste risposte sono sincronizzate dal fotoperiodismo. Molto di quello che succede nel mondo della natura dipende dal fatto che le piante e gli animali sono capaci di percepire le lunghezze relative del giorno e della notte.

 

Si possono trarre delle conclusioni generali sul ruolo del fotoperiodismo. Innanzitutto esiste un’ampia diversità nei tipi di risposta fotoperiodica. Prima che una pianta possa fiorire in risposta al suo ambiente (in particolare alla lunghezza del giorno e della temperatura), gli organi che percepiscono le modificazioni, di solito le foglie e i meristemi, devono raggiungere una condizione, detta maturità alla risposta. Esiste un’ampia diversità tra le specie e gli organi delle piante rispetto all’età nella quale viene raggiunta questa condizione. Il periodo di buio ha un ruolo importante nella risposta fotoperiodica, dato che la sua interruzione con la luce inibisce la fioritura nelle piante brevidiurne e stimola quella delle piante longidiurne. Il fitocromo chiaramente percepisce l’interruzione con la luce, al cui efficacia dipende dalla durata dell’illuminazione. Un’interruzione della notte inibisce la fioritura nelle piante brevidiurne e stimola la fioritura in quelle longidiurne. Inoltre, la luce rossa è più efficace per le piante brevidiurne e una mescolanza di rosso e rosso-lontano è più efficace per le piante longidiurne. Una parte del meccanismo della misura del tempo nel fotoperiodismo ha le caratteristiche della clessidra, e ciò riguarda in particolare la trasformazione del pigmento e la sintesi di un ormone della fioritura. Esistono molte prove circostanziate che la stimolazione della fioritura sia controllata da ormoni: uno o più florigeni ad azione positiva ed uno o più inibitori ad azione negativa. Queste sostanze sono ancora da identificare. In particolare, sono le foglie gli organi della pianta che percepiscono la lunghezza del giorno. La risposta della fioritura è spesso influenzata dalla somministrazione di regolatori della crescita e ormoni, ma i meccanismi sono ancora poco noti. Anche se diversi composti provocano la formazione dei fiori, non esiste alcuna prova convincente che il florigeno sia costituito da uno, o più di uno, degli ormoni vegetali noti. Il fotoperiodismo inoltre regola lo sviluppo dei fiori, la dormienza delle gemme e dei semi (giorni brevi), l’allungamento del caule (giorni lunghi), la formazione di organi di riserva (favorita da giorni brevi), la crescita vegetativa delle foglie (più lunghe, larghe, sottili e gialli con giorni lunghi), dei rami (stimolata da giorni brevi), la sintesi di antociani, alla radicazione delle talee (giorni lunghi), fenomeni di clorosi tra le venature (as es., pomodoro illuminato per 18 h). Non ultime, sono le diverse risposte biochimiche in piante fatte crescere a fotoperiodi differenti (es., acidi organici, ormoni, viscosità citoplasmatica, ecc.).

Written by Horty in: Senza categoria |
Set
22
2021
0

Una tavolozza di colori utili

 

Quando il lavoro di squadra fornisce sostentamento

Dal momento che le piante contengono un pigmento verde chiamato clorofilla per i loro processi fotosintetici, esse ci appaiono verdi. Anche alcuni animali sono verdi. Questo non ha di solito nulla a che fare con il cibo che ingeriscono ma su qualcos’altro. Un esempio a riguardo è la vongola gigante (Tridacna costata), che vive parzialmente di materiale in sospensione che filtra dall’acqua. Ma questo non è abbastanza per soddisfare il suo enorme appetito, così la vongola riceve ulteriore sostentamento fornendo una casa alle alghe che vivono nel suo mantello. Queste alghe hanno un colore verde intenso. Con il contributo della luce solare, le alghe producono sostanze nutritive per se stesse e per la vongola allo stesso tempo. Per respirare, la vongola usa anche l’ossigeno prodotto durante la fotosintesi. Ovviamente, la vongola è ben nutrita, dal momento che gli individui maturi possono crescere fino a 1,5 metri, con un peso di 200 kg! Le alghe prendono anch’esse qualcosa da questa relazione, dal momento che la vongola estende il suo mantello più lontano che può affinché le alghe possano ricevere più luce possibile. Inoltre, l’anidride carbonica esalata dalla vongola è usata per la fotosintesi. Ultimo ma non meno importante, la vongola offre protezione alle alghe. Questa è un esempio bellissimo e paradigmatico di simbiosi mutualistica.

 

Tridacna costata

 

Cosa trovano attraente le api?

Evolvere insieme: alcune piante e animali hanno una influenza evolutiva mutualistica. Nel corso di milioni di anni, è emersa una stretta interazione tra animali e piante. La pianta ha bisogno di certi animali per essere impollinata mentre l’animale necessita di nettare e/o polline per nutrirsi. I fiori che sono impollinati dagli uccelli, per esempio, sono spesso rossi, arancioni o rosa. Questi colori sono molto brillanti e sono attraggono specialmente gli uccelli. Ad esempio, una specie di colibrì che vive negli altopiani messicani è irresistibilmente attratta dalla stella di Natale (Euphorbia pulcherrima) oppure dalla petunia rossa (Petunia exerta). E quindi, chi impollina la petunia bianca selvatica (Petunia axillaris)? La risposta è: le farfalle. I suoi fiori bianchi riflettono anche la luce lunare, che attrae particolarmente le falene. Alcuni fiori hanno anche un forte profumo, come quelli della bella di notte (Mirabilis jalapa), che lo sprigiona di pomeriggio o di sera (da cui il nome comune four o’clock flower). I sirfidi e altre mosche sono anche attratti da una miriade di ombre tra il bianco, il giallo e il verde. Per esempio, il ravastrello (Cakile maritima) attrae i sirfidi seducendoli con il suo polline giallo. I calabroni e le api, al contrario, non possono distinguere il colore rosso, così fanno affidamento sul blu, giallo e viola delle infiorescenze di molte specie, come la campanula e alcune specie di ranuncolo.

 

Cakile maritima (foce de Bradano; foto di Adriano Sofo)

 

Fiori che si riscaldano

La legge dell’attrazione? Alcune piante intrappolano temporaneamente i loro impollinatori, un trucchetto alquanto sofisticato… Il gigaro scuro (Arum maculatum) brucia le sue riserve di carboidrati per riscaldare il suo spadice fino a più di 15 °C rispetto alla temperatura ambientale, così che la pianta emette tantissimo profumo, o meglio, puzza! Questa attrae magicamente alcune specie di mosche e altri insetti. Lo spadice, racchiuso da una foglia, è coperto da centinaia di fiori individuali. I fiori femminili sono alla base, mentre quelli maschili sono in alto. Indotto da un segnale ormonale emesso dai fiori maschili, il riscaldamento comincia e allo stesso tempo la foglia racchiudente si apre. Gli impollinatori sciamano intorno e strisciano in profondità sullo spadice fino a che i piccoli peli che puntano verso il basso sui fiori maschili bloccano la loro via d’uscita. Il prigioniero ronza selvaggiamente, impollinando i fiori femminili con il polline che ha portato con sé. Quando i fiori maschili più tardi maturano, gli insetti si sporcano di nuovo di polline prima che i peli si affloscino e sono così liberi di andarsene, probabilmente verso un’altra pianta. Anche i nostri corpi emettono continuamente calore e parti differenti del corpo rilasciano differenti quantità di calore. Questo può essere visualizzato con un analizzatore termico di immagini. Le immagini di questi analizzatori, ormai frequenti negli aeroporti per misurare la temperatura corporea, mostrano dove c’è più calore: il blu significa freddo, verde e giallo più caldo, mentre rosso significa molto caldo.

 

Temperature dello spadice di Arum maculatum (Museo Botanika, Brema)

 

Più luminoso è meglio?

Un campo soleggiato o una foresta ombrosa… le condizioni di luce cambiano in base all’habitat, così ogni pianta si è adattata a specifiche intensità di luce. Si sa che le piante hanno bisogno di luce per sopravvivere. Il loro metabolismo deve essere capace di produrre zuccheri sufficienti per bilanciare il consumo di energia attraverso la respirazione. Questo valore soglia è chiamato punto di compensazione della luce. Esso varia da pianta a pianta, con la più grande differenza che si manifesta tra piante eliofile, che amano il sole, e piante sciafile, che preferiscono l’ombra. Le piante eliofile come il mais (Zea mais) prosperano sotto il sole pieno e possono assorbire anidride carbonica nel migliore dei modi soprattutto in condizioni di forti livelli di irraggiamento. Ma quando la luce è troppa? In questo caso, la situazione è pericolosa: sono prodotte forme dell’ossigeno che sono tossiche per le piante e che possono danneggiare le cellule. Questo è il motivo per cui le piante eliofile sono ben protette. I loro carotenoidi sono efficaci nei confronti dei “colpi di sole”, aiutandole a trasformare le forme nocive dell’ossigeno. Alcune piante hanno anche peli argentei cavi sulle loro foglie (tricomi fogliari), che offrono una protezione esterna riflettendo la luce. Le piante sciafile, d’altra parte, come l’acetosella (Oxalis acetosella) raggiugono già la loro capacità fotosintetica massima a basse intensità di luce, per esempio il sottobosco. Se l’ambiente diventa troppo luminoso in estate, d’altra parte, queste piante possono entrare in sofferenza perché hanno pochi sistemi di protezione nei confronti della luce solare intensa.

 

Di quanto verde ha bisogno una persona?

Sia se cresca in un acquario o in una pozza in giardino, l’elodea (Egeria densa) è un fornitore generoso di ossigeno. Essa cattura l’energia luminosa nelle sue foglie e scinde l’acqua in idrogeno e ossigeno. Una piccola parte dell’ossigeno è usato nella respirazione da parte della pianta, ma la maggior parte è scartata come rifiuto. Questo rilascio ha luogo soprattutto a livello delle giunzioni tra fusti e foglie, dove piccole bolle emergono nell’acqua. Una singola pianta di elodea può aiutare una persona a respirare? Difficilmente! A seconda della quantità di luce solare, una pianta di elodea rilascia in media circa 1.83 ml di ossigeno all’ora in estate e all’aperto, mentre un uomo respira circa 500 litri di aria (circa 100 litri di ossigeno) nello stesso periodo di tempo. Quindi sarebbero necessarie 13,550 piante di elodea per produrne così tanto!

 

La pianta acquatica Egeria densa (Museo Botanika, Brema)

 

Per sempre nei blue jeans

Fiori, frutti, radici e foglie contengono tutti quanti dei pigmenti. Questo è ciò che rende il regno vegetale così colorato. Ma c’è molto materiale colorato nascosto nelle piante che noi possiamo usare nelle tinture dei tessuti. L’indaco è quello che dà ai blue jeans il loro colore ma, per essere usato, il pigmento deve essere sottoposto a parecchie modifiche chimiche prima che sia usato come tintura. La pianta a fiori gialli chiamata guado (Isatis tinctoria) e la pianta tropicale indaco dei tintori (Indigofera tinctoria) contengono il precursore incolore. Se si aggiungono enzimi in laboratorio, queste sostanze fermentano e sono decomposte in una sostanza, ancora incolore, chiamata indossile. Se questa poi viene in contatto con l’ossigeno dell’aria, si trasforma nuovamente e diventa indaco di colore blu brillante. Questo è insolubile in acqua ed è quindi ottimo per colorare i jeans; altrimenti il blu sparirebbe velocemente durante il lavaggio.

(a sinistra) indaco; (a destra) Isatis tinctoria

Written by Horty in: Senza categoria |
Gen
31
2019
0

Verdecarenza

 

 

Troverai più nei boschi che nei libri.
Gli alberi e le rocce ti insegneranno cose che nessun maestro ti dirà.

(San Bernardo di Chiaravalle)

 

Tre anni fa ho scritto un articolo sui benefici del verde sul nostro benessere psico-fisico basandomi sulla letteratura scientifica e sulla mia esperienza personale. A livello più o meno inconscio, sperimento ogni giorno la necessità di avere intorno a me delle piante, probabilmente perché ho fortunatamente trascorso la mia infanzia tra parchi urbani e montagne. Tornando al presente, qualche settimana fa ho partecipato ad un convegno e lì stavo parlando con un collega sugli effetti del verde sul benessere degli scolari e dei pazienti, a tal punto – gli dicevo – che in molti paesi si stanno progettando scuole e ospedali con dei veri e propri piani arredati con serre piene di piante. Negli ospedali, infatti, si assiste ad una diminuzione dei tempi di degenza fino al 25% in presenza di piante, con un notevole risparmio sulle spese sanitarie. Incredibilmente, dopo nemmeno 5 minuti, è andato sul palco un altro collega che ha ripetuto quasi parola per parola quello che stavo appena dicendo. La vicenda era a dir poco sorprendente, perché non eravamo sincronizzati volontariamente e lui non aveva tantomeno ascoltato il mio discorso. Dopo un po’, il “mistero” è stato svelato: oltre che accomunati da una certa sensibilità per queste tematiche, avevamo da poco letto lo stesso libro, Shinrin-Yoku – Immergersi nei Boschi, Qinq Li (Rizzoli Ed.).

Non voglio assolutamente fare la recensione di questo bel libro – non impegnativo da leggere ma basato su rigorose indagini scientifiche (l’autore è un autorevole immunologo giapponese, esperto di medicina forestale) – né rivangare la letteratura scientifica già commentata nello scorso articolo, ma vorrei parlare un po’ il concetto alla sua base: il bosco come nutrimento per l’anima e del corpo.

L’aria nelle foreste è infatti colma di una vasta gamma di sostanze chimiche, raggruppate nella categoria – non chimica ma funzionale – dei fitoncidi. Il termine “fitoncida” significa letteralmente “ucciso dalle piante” ed è stato coniato da nel 1937 dal Dr. Boris P. Tokin (1900-1984), un biochimico russo dell’università di Leningrado. Sono prodotti dalle piante come strumento di comunicazione (intraspecifica e interspecifica) tra le chiome degli alberi e come difesa chimica nei confronti dei microorganismi (azione antibiotica) e degli erbivori (insetti e altri animali; azione repellente). Chimicamente parlando, i fitoncidi comprendono soprattutto oli essenziali volatili (terpeni in primis), per cui la loro concentrazione nell’aria aumenta all’aumentare della temperatura. I terpeni sono metaboliti secondari prodotti dalle piante, i cui effetti sulla salute umana sono stati relativamente poco studiati, ad esclusione del loro uso come aromi nei cibi o nei profumi. Molti fitoncidi hanno aromi molto specifici e gradevoli al naso umano e sono sprigionati soprattutto, ma non solo, dalle conifere, costituendone le loro resine. In molte angiosperme, conferiscono a ogni fiore un caratteristico odore o aroma. Ebbene, le immersioni nei boschi, e di conseguenza in queste essenze, hanno effetti benefici notevoli sul sistema immunitario, riducono gli ormoni dello stress, garantiscono periodi di sonno più lunghi grazie a un migliore metabolismo della melatonina, diminuiscono tensione, ansia, rabbia, ostilità, affaticamento e confusione mentale. Altri effetti “secondari”, analoghi a quelli dell’attività sportiva, sono il miglioramento dell’umore, la diminuzione della pressione sanguigna e della frequenza cardiaca, una migliore funzionalità del cuore, il rallentamento dell’attività nervosa simpatica e la promozione di quella parasimpatica, che ci fa sentire rilassati e a nostro agio. L’effetto benefico è riproducibile, sebbene in misura minore, se diffondiamo in spazi chiusi gli stessi oli essenziali usando diffusori di vario tipo, candele o contenitori con trucioli di legno, che possono accoglierci con l’odore della foresta ogni volta che entriamo in casa o nel luogo di lavoro.

Nei paesi nordici – e scandinavi in particolare – e nei paesi dell’Est asiatico la cultura del verde è più sentita che in Italia e le passeggiate nel bosco sono una norma anche durante gli orari di lavoro. Ricordo una volta in Svezia, una docente che smise di parlarmi all’improvviso per l’urgenza di fare una passeggiata nel bosco in inverno e dovetti seguirla per continuare il discorso. Un altro mio collega belga, da cui ho preso spesso ispirazione per la mia attività scientifica, è stato ospitato a Matera, il luogo dove lavoro. Una sera, alla domanda dell’albergatore: “Signore, quale musica desidera come sottofondo?”, lui rispose: “Il silenzio è la migliore musica, soprattutto in un’area [n.d.r. i Sassi di Matera] bella e silenziosa come questa”. Lì per lì non ci pensai, ma effettivamente i Sassi di Matera sono molto particolari in quanto costituiscono un ecosistema urbano da un lato povero ed essenziale (non consideriamo la situazione turistica e lussuosa attuale) ma dall’altro perfettamente inglobato nell’ambiente circostante. Difatti, gli stessi Sassi sono per metà grotte e per metà case e sono circondati da canyon naturale, e l’intera area è un’oasi di silenzio dall’atmosfera quasi surreale immersa in una città moderna. Gli ecosistemi naturali sono, per l’appunto, enormi riserve di silenzio contraddistinte da panorami pacifici e contemplativi (su YouTube potete trovare file audio registrati nelle foreste più belle). Le chiome degli alberi inoltre hanno un effetto fonoassorbente dovuto al loro elevato contenuto di acqua e alla loro stratificazione, e le foglie sono un po’ come i pannelli di una sala di incisione. Da biologo, sono consapevole che sotto il silenzio delle foreste si svolge la lotta per la sopravvivenza di molteplici organismi viventi – per cui si tratta di una pace apparente – e non mi vorrei mai trovare al posto di un cacciatore-raccoglitore del Paleolitico, non per altro perché non avrei tempo libero per fare tutto quello che mi piace e mi interessa, ma di sicuro apprezzo la pace di un’area naturale.

Insieme a olfatto e udito, è anche la vista a trarre beneficio dalle foreste. Uno statunitense medio trascorre dalle 6 alle 8 ore davanti a un qualche tipo di schermo LED, pari al tempo impiegato per dormire. La luce di questi schermi è bluastra e con uno spettro molto diverso da quello solare, più spostato verso le componenti rosso-arancio. Questo tipo di luce affatica la vista e predispone allo stress. Inoltre, studi recenti suggeriscono che siamo preparati a riconoscere e apprezzare le regolarità degli elementi naturali, come ad esempio i frattali dei rami di un albero, delle nervature e della disposizione delle foglie, o delle ramificazioni di un corso d’acqua. Fino all’avvento dell’agricoltura (stimata a circa 10.000 anni fa), siamo stati per circa 300 milioni di anni immersi giorno e notte nella natura e, per questa ragione, l’abbiamo sempre considerata la nostra casa. I frattali naturali ci riconducono a quella familiarità, ormai inscritta nel nostro comportamento profondo, che ci rilassa e ci conforta e ci fa sentire meglio, liberandoci da emozioni negative. È stato altresì stimato che per stare bene in un ambiente, ognuno di noi dovrebbe essere circondato da almeno 20 alberi o almeno da altrettante piante di appartamento.

Infine, è noto e accertato l’effetto delle piante come purificatori naturali dell’atmosfera. Le parti epigee delle piante, soprattutto quelle fitte e dense delle chiome degli alberi, agiscono come spugne e assorbono il particolato atmosferico delle città, responsabile di asma, malattie cutanee e tumori.  È possibile portare portare un po’ di foresta in casa per purificare l’aria? È stato infatti stimato che l’aria degli ambienti chiusi, può essere fino a 5 volte più inquinata di quella dell’esterno. Ne sanno qualcosa anche gli astronauti, che vivono in stazioni spaziali anguste e dall’aria fetida, anche se per fortuna il loro olfatto si assuefa a qualsiasi odore, fino al punto da non avvertirlo più. Per rimediare a questo, la NASA ha identificato dieci piante adatte a crescere nelle future stazioni spaziali orbitanti: spatafillo, potos, edera, crisantemo, gerbera, sanseveria, palma di bambù, azalea, dracena e falangio. Sono tutte specie sciafile, per cui hanno bisogno di poca luce e vivono bene – tornando sulla Terra – anche nei nostri appartamenti, dove purificano l’aria e ne aumentano l’umidità (il nostro riscaldamento casalingo rende infatti l’aria troppo secca, dannosa per il nostro sistema respiratorio).

Al giorno d’oggi, viviamo in carenza di verde cronica. Da due anni, più del 50% della popolazione mondiale abita attualmente nelle città. Nel 2030 è previsto che si arriverà al 60%. Le città consumano il 75% dell’energia mondiale e sono responsabili dell’80% delle emissioni di gas serra e di altri inquinanti.  È per questo motivo che paesi e amministratori più attenti e sensibili arricchiscono i centri urbani di spazi verdi, perlomeno per mitigare l’effetto nocivo dei mari di cemento armato. Essere circondati da piante ci fa sentire più calmi e felici e dovrebbe essere obbligatorio progettare città ed edifici pubblici includendo parchi e piante. D’altra parte, sarebbe consigliabile portare i bambini nelle foreste per dare loro una sorta di imprinting dalle future ricadute positive: crescere con una carenza di verde, privi di un bisogno naturale così importante ma non soddisfatto, potrebbe causare malesseri psico-fisici le cui cause sarebbero difficilmente individuabili da adulti.

 

(fonte dell’immagine: Alberi Ricorsivi – Stefano Berardi)

Written by Horty in: Senza categoria |
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