Mar
10
2011

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Non la prima, non la seconda…

 

Nel romanzo “The Tommyknockers”, Stephen King sfodera tutta la sua (ex-?) abilità di scrittore di fantascienza/horror. Protagonisti sono una specie di folletti, come al solito molto cattivi, e come al solito molto indifferenti alle sorti dei poveri umani malcapitati. La loro cattiveria è intrinseca, istintiva, e quindi a mala pena si accorgono di far del male. Sono come dei parassiti provenienti da molto lontano ed in grado di far mutare gli uomini, che assumono lentamente le loro sembianze, e di utilizzarli per il loro divertimento principale: combattere e uccidersi. I Tommyknockers (nome che gli umani danno loro perché la loro mente non sarebbe in grado di concepire appieno la loro essenza) sono “artigiani”: producono e utilizzano strambe invenzioni a partire da materiale semplice, come batterie, falciatrici, aspirapolveri, ecc., ma non conoscono i principi scientifici che stanno alla base del loro funzionamento e a non sanno gestirne gli effetti, naturalmente malvagi. Ecco allora che aprono varchi spazio-dimensionali i quali conducono ad angoli remoti dell’universo, scaricano i loro nemici nei peggiori di questi luoghi, usandoli a mo’ di ripostiglio, usano l’energia vitale e lo “spirito” degli esseri viventi (uomini e cani compresi) per alimentare i loro congegni e addirittura le loro astronavi, sembrano infine continuare ad esercitare effetti anche da morti!

Anche se truculento e con molti concetti mutuati da grandi scrittori di fantascienza quali Philip Dick (che trovava un varco multi-dimensionale anche in una marmitta montata male!), il libro è a mio parere molto bello. Non so cosa mi abbia attirato; certo intriga l’idea e la percezione dell’ignoto e del male, ma c’è anche qualcos’altro. King è bravo a far avvenire tutto in un’atmosfera di normalità. I cambiamenti che descrive sono lenti, oscuri per chi è all’esterno del meccanismo, sembrano produrre “esseri migliori” dotati di idee geniali. Il romanzo è analogo a quel sogno, che si fa di frequente, in cui si trova improvvisamente una stanza nuova che invece si credeva inesistente, o si scopre un passaggio segreto in un luogo della casa in cui mai ce lo saremmo aspettato. La fantasia della trama colpì anche Stephen Jay Gould, che lo citò nel suo bellissimo libro “La vita meravigliosa”. E da qui partiamo.

Gould scorse nel romanzo un esempio chiarissimo di contingenza della storia, concetto a lui tanto caro. E’ proprio King a chiarirlo in una pagina (vattelappesca ora la pagina, ma giuro che c’è!): gli alieni erano all’inizio della loro “colonizzazione”, avrebbero mutato tutti gli umani, erano come un nugolo di milioni di zanzare uscite da uno punto di uno stagno e pronte a colonizzare tutto, era impossibile fermarle tutte insieme in un sol colpo. Solo un caso improbabile avrebbe potuto impedire che tutte le zanzare morissero insieme e nel preciso momento della loro sciamatura; ad esempio, soltanto un fulmine in quel preciso momento e in quel punto di quello stagno avrebbe potuto farlo. Gli alieni del libro non avevano mai fallito prima d’ora, ma nella loro storia c’è l’imprevisto: un uomo insignificante, che solo per puro caso è immune alla loro influenza, un reietto, un ubriacone, un poeta, un contestatore anarchico. Sarà lui sconfiggere proprio loro, che avevano viaggiato attraverso l’universo, che avevano scherzato e soggiogato inconsapevolmente migliaia di specie in migliaia di pianeti diversi!

L’idea di base di King era la stessa di Gould, o viceversa. La vita sulla Terra avrebbe potuto seguire infinite storie diverse da quella attuale. La nostra, quella che vi permette di leggere questo post, è una delle tante, ma, se le cose fossero andate diversamente in momenti chiave della storia dell’evoluzione (e da qui il concetto di “contingenza”), noi non ci saremmo neppure. L’idea non era nuova, anche Jacob e Monod avevano parlato di caso e necessità, ma loro si riferivano principalmente a mutazioni a livello molecolare (DNA/RNA). Esse sono infatti casuali ma, una volta comparse, sono fissate per necessità se risultano positive nelle condizioni ambientali in cui quell’organismo si trova a vivere. E’ chiaro che tutta la baracca cozza con la religione: non siamo il fine ultimo dell’universo, siamo privilegiati, consapevoli, coscienti, solo per caso e non per volontà. La mancanza di un universo teleologico smarrisce ma, d’altro canto si può ritenere che il miracolo sia proprio questo: esserci in questo preciso momento, non importa come. La vita ha proceduto per tentativi, sbagli e successi, rami rimasti vivi più o meno a lungo prima di seccare, colli di bottiglia in cui una specie magari si stava per estinguere e poi ha inaspettatamente trovato il momento buono poco per risollevarsi prima della sua cancellazione definitiva dalla storia. La mia attenzione però si rivolge come sempre a quello che è più o meno il mio campo. Quando le piante hanno corso il rischio di non esserci affatto (e con loro, indirettamente anche noi)? Quanto hanno rischiato al momento in cui hanno colonizzato la terre emerse? Organi come i fiori erano una necessità o è un caso che ci siano?

Sono andato allora alla ricerca di questi punti critici e dei colli di bottiglia in cui il destino delle piante sarebbe potuto essere diverso. Ecco le mie conclusioni.

1)      Gli organismi unicellulari dotati di nucleo, progenitori di animali e piante, sono comparsi circa 2.5 miliardi di anni fa. Quelli pluricellulari circa 570 milioni di anni fa. La fotosintesi ha funzionato per la prima volta nei batteri, e ancora oggi i batteri fotosintetici (cianobatteri in primis) affiancano le piante in questo processo. Essi furono i primi ad arricchire l’atmosfera di ossigeno (quel poco che c’era era frutto di reazioni fotochimiche che scindevano le molecole di acqua) e per questo si pensa anche che batteri simili siano esistiti su Marte più di 3.9 miliardi di anni fa, considerando le sue quantità di ossigeno atmosferico non così basse se paragonate a quelle di altri pianeti del sistema solare. Tornando sulla Terra, tra 3.5 e 2.5 miliardi di anni fa, 13 grupponi di batteri fotosintetici, con differenti stili di vita, coabitavano nelle acque stagnanti. Possedevano pigmenti per catturare e trasformare l’energia solare e servirsene; la clorofilla era uno di essi. Se non fossero comparsi, tutto sarebbe andato diversamente, la vita sulla Terra avrebbe preso una piega unicamente eterotrofa (mangiando quello che c’era) e, all’esaurimento di questa “energia”, gli organismi viventi non sarebbero stati in grado di crearne altra dal sole e dall’acqua. La vita sarebbe finita dopo pochi “milioni di anni” dalla sua comparsa.

2)      Le prime piante fossili (Figura 1) sono datate 2.1 miliardi di anni fa. Erano simili a tubi spiralati, di spessore simile agli spaghetti n. 3 Barilla. Non si sa per certo se fossero unicellulari o pluricellulari, ma molti studiosi suppongono fossero dei sincizi, cioè cellulone con numerosi nuclei, frutto della duplicazione del materiale genetico non seguita da divisione cellulare. Questi sincizi ebbero molto successo ma si estinsero. Non ne è rimasta più traccia.

Figura 1. Fossili di probabili piante datati 2.1 miliardi di anni fa (fonte: A. Meinesz, 2008).

3)      Tra 2.7 e 0.57 miliardi di anni fa, l’ossigeno atmosferico era a malapena il 10%, contro l’attuale 20%, e nei primi strati di acqua la situazione era ancora peggiore (1% nei migliori dei casi). Alle piante unicellulari non conveniva poi tanto raggrupparsi in più cellule a formare organismi pluricellulari. L’ossigeno passa attraverso le membrane cellulari e quindi più superficie disponibile c’è e meglio è, ma se le cellule si uniscono, diminuendo così la superficie assorbente (rispetto al loro volume), dispongono di meno ossigeno. Il vantaggio doveva quindi essere un altro e risiedeva probabilmente nella divisione dei compiti tra le varie cellule, ma il tutto è da dimostrare. Fossili delle prime piante pluricellulari (probabilmente alghe) sono stati riscontrati in rocce di 1.2 miliardi di anni fa. Il passaggio allo stadio pluricellulare fu fondamentale e diede il via a tutte le piante che conosciamo oggi e al passaggio sulle terre emerse. La pluricellularità fu un caso o invece un passaggio obbligato? Avrebbe potuto non avvenire mai? Di sicuro, questo passaggio si verificò anche e contemporaneamente negli animali, quindi una “pressione selettiva” è dovuta pur esserci (lettori, aiutatemi a trovarla!).

4)      Circa 470 milioni di anni fa, nel primo Devoniano (se la storia della Terra durasse 24 ore, saremmo alle 10 di sera), le prime piante – ed i primi animali – conquistarono le terre emerse, a partire da quelle più umide. Furono i muschi i primi a farlo; essi probabilmente derivavano da alghe filamentose il cui sviluppo prevedeva la divisione di una cellula iniziale a formare una fila, che successivamente si ramificava e finiva con cellule specializzate (i primi sporangi). Sono stati rinvenuti fossili di quel periodo (420-470 milioni di anni fa); si trattava di Cooksonia (Figura 2), una pianta con sporangi terminali a forma di rene/fagiolo e contenenti centinaia di spore. Cooksonia probabilmente viveva in ambienti molto umidi, adiacente a ruscelli o su banchi sabbiosi, con un ciclo vitale breve e una maturazione rapida per sfuggire ai periodi secchi. Era simile agli odierni muschi appartenenti ai Lycopodiopsida. Non aveva tutte le protezioni contro i raggi ultravioletti che hanno molte piante odierne (in acqua le piante erano al riparo dalle radiazioni, ma in aria non più!), quali xantofille e antociani dai colori vivaci, ma possedeva pareti cellulari spesse e rinforzate (sclerenchima), che la proteggevano dall’ormai inevitabile disidratazione all’aria. Altre specie simili a Cooksonia convivevano negli ambienti umidi e costituivano una moquette verde, folta e bassa intorno ai corsi di acqua; il resto delle terre emerse era in gradazioni di grigio: su di esse non vi cresceva praticamente nulla e dominavano le rocce. Un(a) brava/o casalinga/o sarebbe andata/o fiera/o della pulizia di quella moquette, ma nel giro di pochi milioni di anni, nelle sue maglie si sarebbero annidati una pletora di artropodi terrestri. Oggi, si contano (a seconda delle classificazioni) 9 grandi gruppi di organismi eucariotici con clorofilla (le piante, insomma), 6 dei quali pluricellulari, includendo anche alghe brune, rosse e piante verdi. Curiosamente, negli animali e nei funghi, i gruppi pluricellulari sono solo 2 su 12, mentre il resto consiste in funghi unicellulari (lieviti in particolare) e protozoi. Le piante, quindi, per qualche motivo (casuale o necessario?) hanno preferito maggiormente la pluricellularità rispetto ad animali e funghi.

Figura 2. Fossili (fonte: Schweingruber, Börner and Shulze, 2006) e ricostruzione (fonte: A. Meinesz, 2008) di Cooksonia, una delle prime piante terrestri.

5)      Altri bivi avrebbero fatto cambiare completamente gli eventi se la storia avesse preso una strada piuttosto che l’altra. Nel tardo Devoniano (circa 400 milioni di anni fa) comparvero e si diffusero rapidamente le prime felci (Pteridofite), a discapito di muschi e licheni. Alla fine del Permiano (circa 250 milioni di anni fa), un’altra mazzata: sparizione di tantissime specie di piante e veloce diffusione delle Gimnosperme (conifere odierne). In contemporanea all’estinzione dei dinosauri, alla fine del Mesozoico (circa 70 milioni di anni fa), comparvero le Angiosperme e i primi fiori. Le prime foreste degne di questo nome non apparvero prima del Carbonifero (363-290 milioni di anni fa) vicino all’equatore (Figura 3), ma le specie arboree comprendevano solo felci, dato che le piante a seme dovevano ancora arrivare.

Figura 3. Foresta tropicale del Carbonifero (fonte: Schweingruber, Börner and Shulze, 2006).

In molti altri momenti, anche più recenti da quelli che ho descritto qua, gli eventi avrebbero potuto intraprendere un destino diverso, e ciò avrebbe influito sulla storia di noi uomini, che dalle piante dipendiamo completamente. Ma queste probabili storie sono davvero tante e per oggi è sufficiente questa.

 

Grazie a loro, ho scritto:

 

Alexandre Meinesz (2008) How Life Began – Evolution’s Three Geneses. The University of Chicago Press, Chicago and London.

Fritz H. Schweingruber, Annett Börner and Ernest-Detlef Shulze (2006) Atlas of Woody Plants Stem. Springer, Berlin, Heidelberg, New York.

Martin Ingrouille (2006) Plants: Evolution and Diversity. Cambridge University Press.

Stephen King (1987) The Tommyknockers, Le creature del buio. Sperling & Kupfer.

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