Gen
31
2024
0

Tra foglie e asfalto

 

In un contesto urbano sempre più dominato da strutture di cemento e asfalto, la crescente consapevolezza dell’importanza del verde nelle città sta promuovendo una rivoluzione silenziosa. Ci sono oramai esempi concreti in tutto il mondo sul ruolo cruciale che il verde urbano svolge nel plasmare il nostro ambiente e il benessere umano. Il verde in città porta con sé una serie di benefici diversificati, noti come servizi ecosistemici, che influenzano positivamente sia l’ambiente che il benessere delle persone. Le piante assorbono gas nocivi, come l’anidride carbonica e altri inquinanti atmosferici, contribuendo a migliorare la qualità dell’aria nelle aree urbane.

Inoltre, gli alberi e le aree verdi possono fornire ombra, riducendo gli effetti delle isole di calore urbane e contribuendo a mantenere temperature più basse nelle città, specialmente durante i periodi caldi, quando gli alberi evapotraspirano di più. Inoltre, la presenza di verde in città favorisce la biodiversità, fornendo habitat per una varietà di specie vegetali e animali, promuovendo così l’equilibrio degli ecosistemi urbani. Il verde urbano assorbe anche l’acqua piovana, riducendo il rischio di allagamenti e contribuendo alla sostenibilità delle città. Alberi piantati strategicamente possono offrire ombra agli edifici, riducendo la necessità di raffreddamento artificiale e portando a risparmi energetici. Dal punto di vista del benessere umano, la presenza di verde in città è associata a una migliore salute mentale e fisica. Passeggiare in parchi o giardini può ridurre lo stress, migliorare il tono dell’umore e promuovere un senso di benessere generale. L’agricoltura urbana e gli orti comunitari contribuiscono alla sostenibilità alimentare, offrendo un accesso locale a prodotti freschi e promuovendo uno stile di vita più sano. Inoltre, spazi verdi ben progettati rendono le città più attraenti, invitando le persone a godere degli spazi pubblici e contribuendo a una maggiore coesione sociale. Gli alberi e le piante agiscono anche come barriere naturali contro il rumore urbano, fornendo un ambiente più tranquillo e rilassante. In sintesi, integrare il verde nelle città non solo migliora l’aspetto estetico, ma fornisce una serie di vantaggi tangibili che contribuiscono alla sostenibilità ambientale e al benessere delle comunità urbane.

Tra le città virtuose in tal senso, Singapore ha recentemente inaugurato il Singapore Green Plan 2030. Si tratta di un movimento nazionale per portare avanti l’agenda nazionale di sviluppo sostenibile di Singapore attraverso cinque pilastri principali: Città Natura, Vita Sostenibile, Rilancio Energetico, Economia Verde e Futuro Sostenibile. Per raggiungere questi obiettivi, il governo di Singapore introdurrà una serie di nuove iniziative e obiettivi nei settori della finanza verde, della sostenibilità, dell’energia solare, dei veicoli elettrici e dell’innovazione. Gli incentivi possono essere utilizzati per incoraggiare lo sviluppo e la diffusione di tecnologie nel campo dell’energia solare, dei veicoli elettrici e di altri settori della finanza verde. Gli incentivi forniti dal governo di Singapore possono dare alle aziende singaporiane la vitalità di cui hanno bisogno per avviare joint venture con aziende globali esistenti o per diventare leader di mercato in futuro. Singapore, con il suo progetto di “Città Giardino”, è un esempio paradigmatico. I giardini verticali e le iniziative di piantumazione massiccia hanno trasformato la città, riducendo la temperatura urbana e contribuendo alla qualità della vita.

Città come Portland, San Francisco e Vancouver stanno adottando politiche urbane incentrate sulla sostenibilità. Programmi di riforestazione urbana, parchi accessibili e la creazione di corridoi verdi contribuiscono significativamente al benessere urbano. In Giappone, la città di Kitakyushu ha investito in progetti di riforestazione su vasta scala, dimostrando come il verde in città possa fungere da strumento di adattamento ai cambiamenti climatici. Altri esempi salienti includono Oslo, con il suo impegno per una “città verde entro il 2030”, e Copenaghen, con la sua rete estensiva di piste ciclabili e spazi aperti. La strada considerata come la “mais bonita do mundo” è in Brasile a Porto Alegre e, se è così bella, il perché lo trovate in questo sito.

Durante i miei viaggi, mi sono sempre sorpreso di vedere come metropoli e capitali (mi vengono in mente, tra le tante, Tel Aviv, San Francisco, Tokyo, Amsterdam, Berlino, Bruxelles, ecc.), stiano investendo sempre di più in questi progetti verdi, mentre in Italia si è enormemente indietro e ogni tentativo di introdurre piante e spazi aperti è quasi sempre fortemente osteggiato, adducendo le più svariate giustificazioni (alberi che cadono in testa e sulle macchine, foglie che intasano i tombini, invasioni animali cittadine, radici che distruggono l’asfalto, costi di manutenzione alti, necessità di case, ecc.). Spesso queste argomentazioni, nel migliore dei casi, sono basate sull’ignoranza dei numerosi benefici degli alberi e delle zone verdi in città; inoltre, di nuove case non ce ne sarebbe proprio bisogno, dato l’enorme calo demografico italiano, né tantomeno sarebbero necessarie molte auto se ci fosse un trasporto pubblico capillare e integrato. Molto spesso, tali scuse sono invece mosse da forti interessi delle amministrazioni locali, che evidentemente ricavano molto di più dall’edificazione di nuove aree e dagli appalti di strade, cemento e asfalto. Il tutto è condito da una scarsa pressione dal basso da parte dei cittadini, che pagano ingenti tasse comunali ma non pretendono aree verdi nelle loro città. I cittadini poi pagano di tasca loro tutti i servizi (energia elettrica per condizionatori, manutenzione di strade a causa dell’enorme tarffico cittadino, parchi gioco e ludoteche private, costi per palestre e ansiolitici, servizi per animali da compagnia, ecc.), che invece gli spazie verdi fornirebbero gratuitamente. Nella città in cui vivo, Trani, ci si affida a fior di consulenze per mappare i pochi alberi e per identificare quelli in presunte cattive condizioni (e si pagano i consulenti), si tagliano questi alberi (e si pagano i tagliatori), si potano – male – quelli sani (e si pagano i potatori), ma stranamente non se ne piantano mai di nuovi, mentre le aree disboscate vengono poi prontamente edificate o cementificate (dei pericoli del soil sealing ne avevo parlato qui).

Persino negli industrializzati USA, ci sono esempi virtuosi e paradigmatici. A Davis, in California, mi è capitato di andare a trovare un amico, il quale mi ha raccontato la storia del suo quartiere, Village Homes, attivo dagli anni ’80, con 225 case e 20 appartamenti. Il progetto presenta un’organizzazione urbana innovativa. L’orientamento delle strade e dei lotti, seguendo l’asse est-ovest e nord-sud rispettivamente, massimizza l’utilizzo dell’energia solare. Il design delle strade, con numerosi vicoli ciechi, rende meno attraente l’uso dell’auto, promuovendo percorsi pedonali verso il centro della città. Le vie seguono avvallamenti dove l’acqua piovana è indirizzata per irrigare piante e alberi, inclusi frutteti e vigneti. Le strade sono strette e prive di marciapiedi, con cul-de-sac curvati, riducendo l’esposizione al sole. Le linee curve delle strade limitano la velocità delle auto. Percorsi pedonali e ciclabili alternati alle strade attraversano aree comuni con giardini, strutture ludiche e opere d’arte. Le abitazioni si affacciano su queste aree, accentuando l’importanza di spostamenti a piedi e in bicicletta. Il sistema innovativo di drenaggio naturale, con letti di ruscelli e lagune, trattiene l’acqua piovana nel terreno, contribuendo alla conservazione dell’umidità e offrendo un elemento visivamente interessante. Gli spazi verdi sono anche funzionali, nel senso che ci sono alberi da frutto e noci, con oltre 30 varietà piantate per garantire frutti maturi praticamente ogni mese. Aree verdi produttive e ornamentali, gestite dai giardinieri, sono collocate lungo i percorsi pedonali principali. Terre agricole comprendono giardini, orti e vigneti, con il 24% del cibo coltivato nelle strade e negli orti. Il progetto include diverse soluzioni abitative e ampie aree verdi, con il 40% del terreno di proprietà comune. Purtroppo, nonostante il successo dimostrato indicano il Village Homes come modello ideale di design urbano, pochi hanno replicato il progetto in oltre 30 anni, per ragioni rimaste oscure. Qui in basso, il quartiere fotografato da me l’estate scorsa. Non vi sembra bello?

 

 

Proprio mentre stavo scrivendo questo articolo, ho letto il libro molto bello di Stefano Mancuso “Fitopolis: La città vivente“, in cui l’autore ci invita a immaginare una città in cui gli alberi possono colonizzare soprattutto le strade cittadine e i centri storici. Mancuso offre una prospettiva illuminante sull’integrazione del verde nelle città e dimostra come la progettazione sostenibile e la promozione della biodiversità possano coesistere con l’urbanizzazione. La realizzazione di tali concetti potrebbe fungere da modello per la creazione di città più belle e vivibili.

Il verde nelle città non è più solo un’opzione estetica, ma una necessità imprescindibile per affrontare sfide urbane complesse. Fortunatamente, stanno emergendo molteplici vie per trasformare gli ambienti urbani in luoghi più sani, sostenibili e armoniosi. Questo rivela una tendenza crescente verso un’urbanizzazione equilibrata, in cui l’uomo e la natura si influenzano positivamente a vicenda. La sfida ora è coltivare e diffondere queste pratiche, affinché il verde possa continuare a prosperare nelle città del futuro.

Written by Horty in: Senza categoria |
Gen
28
2022
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Sostenibilità degli agroecosistemi

 

Ecosistema: definizione e funzionamento

Un ecosistema è definito come un sistema naturale costituito da elementi biotici (piante, microrganismi, insetti e tutti gli organismi viventi) ed elementi fisici dell’ambiente (quali radiazione solare, temperatura, elementi chimici) che interagiscono dinamicamente tra loro dando origine ad un’unità che mantiene una sua autonomia funzionale nel tempo. Gli ecosistemi prendono vita attraverso flussi di materia ed energia che avvengono mediante la produzione e la successiva demolizione di molecole organiche. La produzione di molecole organiche da parte di organismi autotrofi, utilizzando come materia prima composti inorganici e luce solare, funge da base energetica per tutte le attività biologiche all’interno degli ecosistemi. Il consumo di tessuti vegetali da parte di erbivori (organismi che consumano piante viventi e alghe) e detritivori (organismi che si nutrono di materia organica morta) serve a trasferire ad altri organismi l’energia immagazzinata nelle molecole organiche prodotte fotosinteticamente (Jones, 2014); questi organismi, detti eterotrofi, ottengono energia e materia dalla demolizione dei composti organici sintetizzati dagli autotrofi, riportando le molecole utilizzate in forma inorganica, e dando così ciclicità al processo.

La sintesi fotoautotrofica di sostanza organica diventa quindi la principale causa dei flussi di materia ed energia all’interno dell’ecosistema. Di conseguenza, la radiazione luminosa emessa dal Sole (motore della fotosintesi) diventa la principale fonte di energia dell’ecosistema, senza la quale mancherebbe il primo anello della catena trofica di cui è composto. L’energia elettromagnetica emessa dal Sole fluisce continuamente attraverso l’ecosistema per poi essere utilizzata dagli organismi viventi (sotto forma di energia chimica), venendo riflessa in parte dalla superficie terrestre sotto forma di calore. Contrariamente all’energia, che viene persa dagli ecosistemi sotto forma di calore, gli elementi chimici (o nutrienti) che compongono le molecole all’interno degli organismi non vengono alterati e possono essere continuamente riciclati tra gli organismi e il loro ambiente. Circa 40 elementi compongono gli organismi viventi, con carbonio, ossigeno, idrogeno, azoto e fosforo che sono i più abbondanti. Se uno di questi elementi scarseggia nell’ambiente, la crescita degli organismi può essere limitata, anche se è disponibile energia sufficiente (Jones, 2014). All’interno di un ecosistema, quindi, gli elementi chimici che compongono la materia, vengono ripetutamente riciclati e scambiati tra la biosfera e gli organismi viventi per mezzo di cicli ben definiti, chiamati biogeochimici.

 

L’agroecosistema

Per definizione l’agroecosistema è un ecosistema secondario caratterizzato dall’intervento umano finalizzato alla produzione agricola e zootecnica. Rispetto all’ecosistema naturale, nell’agroecosistema i flussi di energia e di materia sono modificati attraverso l’apporto di fattori produttivi esterni (fertilizzanti, macchine, irrigazione ecc.), con l’obiettivo di esaltare la produttività delle specie agrarie vegetali coltivate dall’uomo, eliminando quei fattori naturali (altre specie vegetali, insetti, microrganismi) che possono risultare dannosi o entrare in competizione con la coltura agricola a scapito della sua produttività. L’agroecosistema si differenzia dagli ecosistemi in alcuni aspetti, negli ecosistemi l’input energetico deriva prevalentemente dalla radiazione solare, nell’agroecosistema, oltre all’energia solare viene immessa dell’energia ausiliaria come combustibili fossili, lavoro umano e animale per mantenerlo in equilibrio. In secondo luogo, la biodiversità nell’agroecosistema è fortemente ridotta dall’intervento umano, che mira a convogliare la maggior quota possibile di energia e di nutrienti verso poche specie coltivate. Questo, tuttavia, a discapito della sostenibilità dell’agroecosistema stesso.

 

Funzione dell’ecosistema (a) come funzione positiva e lineare della biodiversità e (b) come funzione non lineare e saziante della biodiversità (Copyright © McGraw Hill).

 

Gli agroecosistemi sintetizzano biomassa, utile per la crescita e il mantenimento degli organismi eterotrofi, prevalentemente destinata ad un consumo esterno (cibo). Tuttavia, in funzione della tipologia di gestione, ogni agroecosistema ha il potenziale per fornire una vasta gamma di servizi ecosistemici. Ad esempio, la gestione sostenibile dei suoli all’interno degli agroecosistemi, oltre a garantire nel tempo la funzione primaria dell’agroecosistema, ovvero quella di produrre cibo per una popolazione in aumento, garantirebbe anche la possibilità di:

  • sequestrare CO2 dall’ atmosfera;
  • aumentare le riserve di carbonio organico del suolo che eliminano la principale causa di degradazione dei suoli ovvero la riduzione di sostanza organica;
  • migliorare la struttura fisica del suolo determinando una maggiore capacità di invaso delle acque piovane fornendo una riduzione dei costi relativi all’irrigazione;
  • ridurre l’erodibilità del suolo nei terreni declivi;
  • ridurre o eliminare l’apporto di fertilizzanti chimici la cui gestione se non ben bilanciata può determinare, variazioni nel pH dei suoli, aumento della concentrazione salina, alterazioni dell’attività microbica e movimento in falda di prodotti nocivi che minano la sostenibilità del processo produttivo.

 

Il ciclo del carbonio negli ecosistemi

Il ciclo biogeochimico del carbonio è sicuramente un ciclo fondamentale in tutti gli ecosistemi. Se questo infatti non esistesse, non sarebbe possibile sintetizzare composti organici partendo da molecole inorganiche. Il ciclo del carbonio consiste in flussi dinamici attraverso i quali avvengono scambi di carbonio tra la geosfera, l’atmosfera, l’idrosfera e la biosfera. Il biossido di carbonio (CO2) presente nell’atmosfera viene convertito in composti organici complessi grazie alla fotosintesi delle piante, le stesse per vivere respirano e demoliscono parte di questi composti liberando CO2 nell’atmosfera e recuperando ATP. La restante parte di composti organici è immagazzinata nei tessuti vegetali, i quali saranno in parte consumati da organismi eterotrofi che demoliranno le molecole attraverso la respirazione animale e, in parte, ritorneranno nel suolo sotto forma di residui vegetali e animali. I residui che si accumulano nel suolo sono parzialmente decomposti e mineralizzati reimmettendo nell’atmosfera altra CO2 (respirazione del suolo),; la rimanente quota entra a far parte della sostanza organica del suolo, che si mineralizzerà più lentamente e prenderà rapporto con le fasi solide, liquide e gassose del suolo. I suoli costituiscono la riserva principale di carbonio organico della superficie terrestre, con quantità stimate tra 1.500 e i 2.000 miliardi di tonnellate, rispetto alle 770 di carbonio atmosferico e alle 550 nella biomassa vegetale (Celi et al., 2017).

 

I vari scambi di carbonio, e in particolare di CO2, che avvengono tra geosfera, atmosfera, idrosfera e biosfera (fonte: https://www.biopills.net/ciclo-del-carbonio/).

 

Fino all’era industriale, il sistema era in equilibrio e i flussi di CO2 si equiparavano, ma, a partire dalla fine del 1800, ingenti quantità di carbonio sono entrate a far parte del ciclo a causa delle attività umane, determinando così un forte aumento delle emissioni di CO2. La concentrazione di CO2 atmosferica è aumentata da 280 ppm nel 1750 a 400 ppm, e sta aumentando a un tasso annuo di circa 2,3 ppm (Lal, 2016). Ciò è da imputare principalmente al cambiamento di destinazione d’uso del suolo e all’utilizzo di combustibili fossili. In questo contesto, il suolo rappresenta un importante pool di carbonio, per cui diventa fondamentale studiare i processi chimico-fisici e biologici che le molecole organiche subiscono nel suolo per poter limitare le emissioni di CO2 e mitigare così l’immissione di questo gas serra in atmosfera. La riserva di carbonio del suolo svolge un ruolo fondamentale nel ciclo del carbonio.

Vi è difatti un consenso generale sulle funzioni che il suolo ha di sequestrare CO2 atmosferica, contribuendo a compensare le continue emissioni di CO2 antropogenica (Lal, 2016). La sostanza organica del suolo contiene circa il 55-60% di carbonio in massa e comprende la maggior parte o tutte le riserve di C del suolo stesso (FAO e ITPS, 2015). Il principale apporto di carbonio organico al suolo è fornito dall’assorbimento e dalla fissazione di CO2 da parte delle piante (il risultato netto della fotosintesi e della respirazione delle piante sopra e sotto terra) e dalla successiva incorporazione del residuo vegetale (sia negli strati superficiali che in profondità) nel terreno. Sulla base dell’evidenza che il suolo interconnette le varie riserve di carbonio (cioè atmosfera, biosfera, idrosfera e geosfera) è possibile dedurre che una riduzione degli stock di carbonio organico nel suolo incida negativamente sul ciclo del carbonio e sul sequestro della CO2 atmosferica. Questo processo diviene ancor più accentuato nei suoli dei vari agroecosistemi, in quanto una gestione agronomica volta a massimizzare l’allontanamento della biomassa prodotta, porta ad un graduale impoverimento della sostanza organica nei terreni agrari.

 

Tecniche di gestione sostenibile del suolo

“I suoli sono una risorsa naturale essenziale e non rinnovabile che ospitano beni e servizi vitali per gli ecosistemi e la vita umana.”

La sostenibilità del suolo è un tema molto attuale, in quanto mantenere la sua funzionalità nel tempo significherebbe preservare una lunga serie di servizi ecosistemici. Su questo punto, la FAO ha stilato la Carta Mondiale del Suolo, che definisce il concetto di gestione sostenibile del suolo:

“La gestione del suolo è sostenibile se le funzioni di supporto, regolamentazione e i servizi culturali forniti dal suolo sono mantenute o migliorate nel tempo senza compromettere significativamente le proprietà del suolo che tutelano tali servizi o la biodiversità”.

Oltre a racchiudere il concetto di sostenibilità, la Carta Mondiale del Suolo presenta una serie di nove principi i quali riassumono i ruoli che svolge il suolo e le minacce alla sua capacità di continuare a svolgere questi ruoli. Tra questi nove principi, uno racchiude nel complesso le motivazioni del perché è fondamentale una gestione mirata ad eliminare le possibilità di degrado del suolo:

Principio 8: “Il degrado del suolo riduce o elimina intrinsecamente le funzioni dei suoli e la loro capacità di supportare i servizi ecosistemici essenziali per il benessere umano. Ridurre al minimo o eliminare il degrado significativo del suolo è essenziale per mantenere i servizi forniti da tutti i suoli ed è sostanzialmente più conveniente rispetto alla riabilitazione dei suoli dopo che si è verificato il degrado”.

Diventa quindi fondamentale operare sui suoli utilizzando tecniche tali da limitare i processi agronomici attraverso i quali si manifestano le principali cause della degradazione del suolo, ovvero:

  • erosione del suolo causata dall’acqua e dal vento;
  • perdita di carbonio organico;
  • squilibrio dei nutrienti;
  • salinizzazione;
  • contaminazione;
  • acidificazione;
  • perdita di biodiversità;
  • soil sealing (impermeabilizzazione del suolo/consumo di suolo);
  • compattazione del suolo e ristagno idrico.

Questi fenomeni sono indicati nel rapporto Status of the World’s Soil Resources della FAO-ITPS (2015), secondo cui le tecniche di gestione sostenibile del suolo dovrebbero essere quindi mirate a limitare queste minacce.

 

Erosione del suolo

L’erosione dell’suolo, causata dall’acqua (idrica) o dal vento (eolica), provoca la perdita degli strati più superficiali del suolo contenenti il maggior numero di nutrienti organici e minerali. Inoltre, i sedimenti trasportati possono ridurre la capacità di invaso di bacini di raccolta di acque per l’irrigazione o per le acque destinate alla rete idrica urbana. Questo fenomeno è senza dubbio accelerato dall’adozione di pratiche di gestione non corrette e non sostenibili, in quanto, una minore lavorazione superficiale del terreno o una copertura vegetale perenne risolverebbe in gran parte il problema nelle aree più esposte. Questo tipo di gestione inoltre determinerebbe anche altri benefici legati all’aumento della sostanza organica, all’aumento di biodiversità del suolo e alla riduzione del rischio di frane.

 

Aumento del contenuto di sostanza organica del suolo

La sostanza organica del suolo svolge ruoli fondamentali nel mantenimento delle funzioni del suolo e ne previene il degrado. L’impoverimento della fase organica del suolo è uno dei maggiori motivi per il quale molti suoli stanno perdendo la propria fertilità. In più, come già detto, le riserve di carbonio organico del suolo svolgono un ruolo fondamentale nella mitigazione del cambiamento climatico. La perdita continua di sostanza organica è molto accentuata nei terreni agrari, dove le lavorazioni del terreno ne accentuano la mineralizzazione. La riduzione di questo fenomeno potrebbe essere colmata attraverso l’utilizzo di tecniche di gestione oculate, quali:

  • utilizzo di colture di copertura, le cui radici tendono a rimanere nel suolo promuovendo fenomeni di simbiosi e migliorando la struttura fisica del suolo;
  • gestione dei residui colturali volta al loro reintegro nel suolo evitandone la bruciatura;
  • utilizzo di ammendanti organici e gestione oculata dell’utilizzo di fertilizzanti minerali basata sulle esigenze della coltura, sulle sue asportazioni e tenendo conto dei reintegri dovuti a mineralizzazioni dei residui colturali rimasti nel suolo;
  • rotazioni colturali volte a migliorare la qualità del suolo associate a lavorazioni minime del terreno.

 

Preservare la biodiversità del suolo

I suoli forniscono uno dei più grandi serbatoi di biodiversità sulla terra (25% della biodiversità globale) e, grazie ad una serie di organismi e microrganismi che in esso trovano l’habitat ideale, garantiscono il corretto funzionamento dei cicli biogeochimici di vari elementi negli ecosistemi. L’aumento della biodiversità è correlato all’aumento di sostanza organica del suolo, la quale garantisce una riserva di nutrienti a moltissimi microrganismi decompositori. Negli agroecosistemi, la riduzione della biodiversità è una problematica importante e questa riduzione dovrebbe essere scoraggiata aumentando la difesa integrata verso molti parassiti dannosi per le colture e/o utilizzando tutte le pratiche volte all’aumento della sostanza organica.

 

Gestione del soil sealing

Il soil sealing consiste nell’impermeabilizzazione dei suoli attraverso la trasformazione di terreni, prima naturali, in terreni urbanizzati. Questo fenomeno negli anni provocato il ritiro dalla produzione agricola di migliaia di ettari di suolo e alla perdita di gran parte dei servizi ecosistemici in maniera irreversibile. Diventa quindi necessario regolamentare questo processo evitando di urbanizzare nuovi suoli, rivalutando aree urbane già urbanizzate e inutilizzate, cercando se strettamente necessario di urbanizzare i suoli meno produttivi salvaguardando quelli con maggiore tendenza nella produzione di servizi ecosistemici.

 

Riduzione della compattazione del suolo

La compattazione del suolo è definita come la rottura della continuità dei pori strutturali del suolo, è quindi, un fenomeno di degrado fisico del suolo e, come tale, comporta una serie di problematiche legate alla quantità d’acqua e di aria contenute al suo interno, rendendo la vita ostile alla flora e alla fauna che darebbero altresì vita al suolo. Occorre quindi prevenire il deterioramento della struttura del suolo riducendo le lavorazioni superflue, diminuendo il traffico veicolare il più possibile su di esso, garantire un adeguato contenuto di sostanza organica che migliora la porosità del suolo.

 

Grazie a loro, ho scritto:

Celi, L., Miano, T., Senesi N., (2017) Sostanza organica del suolo, Sequi P., Fondamenti di chimica del suolo, pag. 83-102, Patron Editore, Bologna.

FAO e ITPS (2015). Status of the World’s Soil Resources (SWSR) – Main Report. Food and Agriculture Organization of the United Nations and Intergovernmental Technical Panel on Soils, Rome, Italy.

Jones, J.B.J. (2019). Ecosystem. AccessScience@McGraw-Hill, https://doi.org/10.1036/1097-8542.212700

Lal, R. (2016). Beyond COP21: Potential and challenges of the “4 per Thousand” initiative. Journal of soil and water conservation, 71 (1), 20 A- 25 A. https://doi.org/10.2489/jswc.71.1.20A

 

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