Ago
28
2022
0

Effetti dell’inquinamento sugli organismi viventi

Questo mese pubblico un articolo un po’ più tecnico. Stavo cercando nuovo materiale per il mio corso di “Inquinamento del suolo e bioremediation” che comincerà ad ottobre e mi sono imbattuto in questo mini-saggio che avevo scritto per prepararmi all’esame di Stato da biologo (siamo nel secolo scorso; era il 1999!). Rileggendolo, mi sono accorto che ero molto più tecnico e categorico rispetto ad ora e che le mie nozioni di zoologia erano decisamente più fresche (del resto ho fatto la mia tesi su un uccello acquatico). Ve Lo ripropongo qui dopo averlo corretto un po’ nella forma. Potrebbe essere molto utile agli studenti, ma non solo.

 

Inquinamento, degradazione, alterazione sono termini divenuti ormai di uso corrente che indicano una modifica delle caratteristiche naturali di un ecosistema apportata dalle attività umane. Gli organismi reagiscono in vario modo in rapporto al tipo ed all’intensità del disturbo dando luogo a situazioni biologiche particolari. Molte alterazioni si verificano anche per cause naturali, indipendentemente da qualsiasi azione antropica. Così il riscaldamento delle acque dovuto a fenomeni di vulcanesimo, la concentrazione di mercurio nelle acque dovuta al dilavamento di terreni mercuriferi o la diminuzione dell’ossigeno per la putrescenza di vegetazione accumulatasi in aree con scarso ricambio, ecc., sono tutti fenomeni naturali che condizionano le comunità biologiche ed i singoli organismi. I comparti abiotici interessati da fonti inquinanti sono l’acqua, l’aria ed il suolo. Inquinare uno solo di questi comparti significa in realtà inquinarli tutti, in quanto essi sono intercomunicanti per mezzo di scambi di energia e di materia. Gli effetti dell’inquinamento atmosferico si possono ripercuotere sul suolo mediante fenomeni meteorici oppure se un corso d’acqua è inquinato, l’acqua potrebbe invadere il terreno per ruscellamento, compromettendo anche il suolo; l’acqua inquinata può contaminare anche l’aria se nell’acqua sono presenti composti inquinanti a bassa tensione di vapore. Esempi di questo genere sono molteplici.

 

In questi tre comparti sono sempre presenti delle impurità di origine naturale o antropica e può capitare che queste siano addirittura benefiche per gli organismi viventi, anche causando scompensi negli ecosistemi in questione. Per questa ragione non si può considerare l’inquinamento un concetto soltanto qualitativo, ma anche quantitativo: l’inquinamento è in atto allorquando le concentrazioni delle impurità presenti superano il livello che noi riteniamo essere naturale. E’ quindi la quantità delle impurità presenti che può dimostrare che una risorsa sia inquinata o meno. E’ importante però definire anche la qualità di una risorsa in rapporto all’uso che se ne fa. Per questo bisogna stabilire degli standard di qualità, individuando tutta una serie di sostanze, per ognuna delle quali vengono stabiliti dei limiti. Poco ci importa se ci sono impurità nell’acqua di un porto utilizzata unicamente per la navigazione, ma piccole quantità di una sostanza nociva nell’acqua potabile diventano allarmanti perché potrebbero mettere in pericolo numerosi individui. Si parla comunque di inquinamento quando ci si riferisce all’immissione nelle acque di sostanze che hanno effetti dannosi sugli organismi, sulla salute dell’uomo o sulle risorse naturali in genere. Tali sostanze possono avere un diverso grado di tossicità e comunque sono tali da determinare situazioni di anormalità a seconda della concentrazione.

 

Le fonti principali di inquinamento antropico derivano principalmente da pratiche agricole (fertilizzanti, pesticidi, reflui zootecnici, fanghi di depurazione), processi industriali (acque di lavaggio, di raffreddamento e di processo, ossidi di zolfo e di azoto) e scarichi urbani (residui metabolici, tensioattivi, residui provenienti da attività domestiche e dal dilavamento delle strutture urbane) L’agricoltura inquina probabilmente in misura maggiore dell’industria, perché ha fonti più diffuse di inquinamento, mentre l’industria prevede sorgenti inquinanti puntiformi più facilmente individuabili e per le quali possono essere presi provvedimenti più specifici. Altra sorgente di inquinamento pericolosa in quanto diffusa, è costituita dai trasporti, soprattutto per l’immissione in atmosfera di monossido di carbonio e ossidi azoto, nonché di composti organici volatili e particolato sospeso. Gli effetti inquinanti possono essere diretti sulle risorse e sugli organismi viventi, causando alterazioni caratteristiche dei comparti, oppure indiretti. Un esempio di effetto diretto è l’inquinamento atmosferico, che aggredisce i monumenti o gli organismi viventi. Le azioni indirette sono invece di diversi tipi, come l’inquinamento che provoca danni immediati se molto forte, soprattutto quello atmosferico, oppure quello che provoca effetti a lungo termine mutageni e subletali, che può portare addirittura alla sparizione del processo riproduttivo e addirittura all’estinzione di una specie. Fra gli inquinanti più subdoli bisogna annoverare anche quelli presenti nelle confezioni alimentari che contengono cibi di solito già preparati e conservati con sostanze spesso non ancora testate adeguatamente.

 

Consideriamo in primo luogo gli effetti dell’inquinamento marino sugli organismi acquatici.

 

L’inquinamento marino consiste nell’introduzione diretta o indiretta nell’ambiente marino di sostanze capaci di produrre effetti negativi sulle risorse biologiche sulla salute umana, sulle attività marittime e sulla qualità delle acque. L’eccessivo aumento di nutrienti, dovuto principalmente a scarichi urbani, può causare il fenomeno delle cosiddette maree rosse, che consiste in una massiccia proliferazione di alghe unicellulari la cui pigmentazione conferisce al mare una colorazione rossastra o giallo-bruna. Le alghe che determinano questo fenomeno appartengono principalmente ai Dinoflagellati e alle Diatomee. La loro abbondanza è tale che durante la notte consumano tutto l’ossigeno presente nelle acque causando estese morie di pesci, molluschi, crostacei ed altri animali che vanno in putrefazione sulle spiagge e sul fondo. Un altro fenomeno, ricorrente ad esempio nell’Adriatico settentrionale, è la formazione di ammassi gelatinosi prodotti da Diatomee bentoniche, noto come “mare sporco”. Si tratta di mucopolisaccaridi extracellulari secreti durante la fase riproduttiva dalle alghe, quindi all’inizio della primavera, che vanno in superficie e scompaiono del tutto prima dell’estate.

 

Il graduale aumento dell’eutrofizzazione e della sedimentazione, con conseguente diminuzione dell’ossigeno sul fondale, fa risentire i suoi effetti sulle comunità bentoniche. Ad esempio le posidonie vengono sostituite da altri vegetali man mano che ci si avvicina alla fonte di disturbo. La Posidonia muore in seguito al cambiamento del substrato, alla riduzione della quantità di luce a causa della diminuita trasparenza delle acque, al sovraccarico di epibionti. Nelle zone interessate direttamente dagli inquinamenti organici, le conseguenze ultime sono la rarefazione e la scomparsa dell’ossigeno, per cui sui fondali le comunità dei vari tipi di fondo subiscono drastiche modifiche. Alla grande varietà di specie animali e vegetali si sostituiscono gradualmente specie saprobie sempre più resistenti agli agenti inquinanti e in grado di sopportare condizioni di grave carenza di ossigeno come i Policheti Capitella capitata e Nereis caudata e alghe nitrofile come Ulva, Enteromorpha e Cladophora, specie opportuniste. Si verifica quindi una diminuzione delle specie in rapporto ad un gradiente di stress ambientale e al tempo stesso un corrispondente incremento numerico delle poche specie in grado di sopravvivere e di riprodursi in ambienti prevalentemente controllati da fattori fisici. Negli ambienti portuali o comunque in zone con scarsa circolazione, come baie o fiordi, inquinate da materiali prevalentemente organici, vi è una fauna caratteristica la cui distribuzione segue, in linea di massima, un gradiente di concentrazione dell’ossigeno. Sono quindi frequenti i mitili, il tunicato Ciona intestinalis, i crostacei Sphaeroma serratum e Corophium insidiosus, i policheti Aoudouinia tentaculata; le specie più resistenti alla carenza di ossigeno sono N. caudata e C. capitata, che è l’ultima a scomparire. Per quanto riguarda la resistenza ai detersivi, la risposta di un organismo è diversa in rapporto al grado di adattamento delle popolazioni, al tipo di detersivo, alla sua concentrazione in acqua e al tempo di esposizione. Un organismo molto resistente e Mytilus edulis. Più sensibili appaiano le alghe, soprattutto le Feoficee.

 

Le conseguenze globali di un inquinamento da petrolio sulla fauna e la flora marina appaiono con drammatica evidenza soprattutto nel caso di massicci sversamenti. Dove l’inquinamento è cronico, come nei porti, risulta più difficile stabilire la specifica azione perché possono essere presenti più inquinanti. Gli effetti sugli organismi dei vari composti del petrolio dipendono dal grado di tossicità dei singoli idrocarburi, dovuto alla struttura chimica; in generale, la tossicità diminuisce con l’aumentare del peso molecolare. Gli idrocarburi aromatici, piuttosto volatili e quindi assumibili dalla respirazione, sono senz’altro più tossici; tendono ad accumularsi in particolare nei grassi e sono quindi difficilmente eliminabili dall’organismo; tra di essi ricordiamo il toluene, il fenantrene ed il naftalene. Le conseguenze sulla fauna e sulla flora bentonica possono essere diverse secondo il tipo di fondo e l’idrodinamismo. Sulle coste più esposte infatti il moto ondoso favorisce la rimozione e la dispersione del petrolio, con una conseguente diminuzione dei danni. Inoltre i danni sono più gravi su una costa sabbiosa perché il petrolio, se non è prontamente rimosso quando è ancora allo stato liquido, tende a penetrare nell’interno del substrato dove mantiene più a lungo le sue proprietà tossiche e dove la degradazione batterica è fortemente rallentata per la carenza di ossigeno. Il grado di sensibilità dei vari gruppi zoologici presenta notevoli variazioni, ma i gruppi più sensibili sono gli echinodermi, anfipodi, isopodi e turbellari, seguiti da molluschi lamellibranchi e gasteropodi; infine policheti e nematodi sono i più resistenti. Gli effetti di un inquinamento da petrolio provocano anche la scomparsa di plancton di superficie, ma la ricostituzione delle comunità avviene rapidamente una volta cessata l’azione tossica sia per immigrazione del plancton nelle aree colpite, sia per una più rapida crescita del fitoplancton.

 

Di grande evidenza sono gli effetti che l’inquinamento petrolifero ha sugli uccelli, i quali rimangono invischiati dalle masse oleose, sia quando queste si accumulano sulle coste, sia quando stratificano sulla superficie del mare. Il piumaggio perde le sue proprietà idrorepellenti e non consente più l’isolamento termico, per cui l’animale appesantito non è più capace di volare, e la morte segue per ipotermia. Nei casi meno gravi gli uccelli provano col becco a pulire le penne, ingerendo così petrolio, che provoca gravi alterazioni agli organi interni ed ostacola la deposizione e lo sviluppo delle uova. Più colpite sono le specie che trascorrono la maggior parte della vita in mare aperto e si portano sulle coste solo per la cova. Questi animali, nuotando sott’acqua in cerca di preda, quando risalgono in superficie, rimangono facilmente invischiati. Le specie più a rischio sono gli alcidi (gazze marine, urie, pulcinella di mare) ed alcuni anatidi tuffatori come l’edrendone e la moretta codona. Danni minori sono causati anche a svassi, cormorani, smerghi, gabbiani. Anche le lontre marine sono minacciate da questo tipo di inquinamento: la probabilità di sopravvivenza di una lontra marina che abbia avuto contatti con il petrolio sono del 50%, a causa principalmente di danni al fegato dopo l’ingestione di petrolio.

Le frazioni pesanti del petrolio sono i catrami, mentre le frazioni volatili tossiche sono benzene, toluene e xilene (cancerogeni). L’altro effetto dannoso del petrolio è quello coprente, in quanto si spande sull’acqua e impedisce gli scambi gassosi e la penetrazione della luce, appesantisce le alghe e copre le branchie degli invertebrati.

 

I composti organo-alogenati costituiscono un vasto gruppo di molecole organiche contenenti un o più atomi di alogeni. Varie alghe e organismi marini sono capaci di sintetizzare alcuni composti a basso peso molecolare di questo tipo, tuttavia la maggior parte dei composti organo-alogenati riscontrati in mare sono prodotti dalle industrie. Sono composti organo-alogenati a medio peso molecolare molti insetticidi e pesticidi. Sono di esclusiva origine industriale, molto stabili, scarsamente reattivi, fortemente assimilabili dalle microparticelle, insolubili in acqua, solubili nei grassi e resistenti all’azione batterica. Data la loro spiccata lipofilia, passano facilmente attraverso il doppio strato lipidico della membrana cellulare oppure si accumulano nei tessuti adiposi degli animali. Il DDT è un insetticida che persiste a lungo nell’ambiente, mantenendo le sue proprietà. Derivati del DDT sono il DDE e il DDD, meno tossici. Non hanno azione selettiva contro il bersaglio prescelto, non vengono riconosciuti subito dai batteri, si accumulano e si magnificano nell’ambiente. Gli erbicidi sono usati in agricoltura per distruggere le piante dannose alle coltivazioni, tra i più importanti ricordiamo i due erbicidi clorurati 2,4-D e MCPA, che esercitano un effetto erbicida proporzionale alla superficie fogliare. Fieno e cereali, che hanno foglie strette, sono così protetti da molti infestanti. L’azione di questi composti simula quella di ormoni vegetali, provocando uno sviluppo eccessivo delle piante bersaglio che rapidamente muore, ed esercitando invece un effetto più blando sui cereali che ne ricevono un beneficio. Oppure agiscono contro la fotosintesi, Sono cmq tossici anche per la fauna, anche se in misura minore. I policlorobifenili più noti sono i PCB ed i PCT, altamente liposolubili e usati nell’industria elettrica come dielettrici e come liquidi di raffreddamento, nell’industria delle plastiche e delle vernici.

 

Ad un graduale aumento di DDT e di PCB nelle acque corrisponde una sempre più accentuata diminuzione della produttività primaria. I PCB sono addirittura molto più tossici. I composti organo-clorurati accumulati nei tessuti adiposi possono esplicare la loro azione patogena in periodi più o meno dilazionati secondo le attività metaboliche, come ad esempio la necessità da parte dell’organismo di utilizzare i grassi accumulati: l’effetto di questi composti si manifesta con maggiore incidenza quando l’animale utilizza come fonte di energia le riserve di grasso. Pesci e crostacei sono molto sensibili, i molluschi appaiono invece più resistenti per la capacità che hanno di accumulare questi composti. Negli uccelli e mammiferi i PCB, il DDT ed i DDE interferiscono sulla riproduzione poiché, stimolando l’attività enzimatica del fegato mantengono ad alti livelli le sue attività metaboliche con conseguente degradazione degli ormoni sessuali. I PCB sono molto più efficaci del DDT e presentano anche un forte effetto sinergico. DDT e DDE interferiscono anche sul metabolismo del calcio; negli uccelli inibiscono l’enzima anidrasi carbonica, che è essenziale per la deposizione del carbonato di calcio e per il mantenimento dei gradienti di pH attraverso le membrane, per cui risulta una diminuzione dell’indice di riproduzione. Le uova prodotte hanno gusci sottili e fragili (pellicani, cormorani, sterne). Anche le foche hanno un’alta concentrazione di DDT e di PCB nei loro tessuti: ciò causa il loro forte declino, soprattutto a causa della diminuita natalità. Il DDT è un insetticida organo-clorurato, ma ce ne sono anche di fosforati e di carbammati. Cmq i primi sono i più pericolosi a causa della elevata persistenza e accumulo nei grassi.

 

Senza dubbio, una delle classi di inquinanti più pericolosa è costituita dai metalli pesanti, o meglio elementi di transizione, a cui fanno parte elementi di transizione con orbitali d incompleti: questo li porta a presentare caratteristiche intermedie tra metalli e non-metalli. I sistemi biologici sono coinvolti dalla contaminazione di questi metalli perché gli elettroni liberi degli atomi di azoto delle proteine si posizionano negli orbitali d vuoti dei metalli di transizione, dando origine a complessi di coordinazione che, richiedendo configurazioni elettroniche del tutto diverse da quelle della proteina di partenza, ne causano la perdita dell’attività enzimatica e la flocculazione. I metalli pesanti possono esistere allo stato elementare (o metallico) o come ioni liberi, o come parte di molecole più complesse. Allo stato elementare nessun metallo è tossico, ma non bisogna dimenticare che numerosi processi chimici e biochimici sono in grado di trasformare un elemento in ioni, che invece hanno attività biologiche. I metalli pesanti essenziali sono Fe, Cu, Zn, Cr, Mn, Ni e Co: essi sono richiesti dall’organismo in quantità minime e sono coinvolti in molteplici funzioni biologiche come costituenti indispensabili di molti enzimi, ma una concentrazione eccessiva di tali ioni è tossica. Elementi invece come Hg, Cd, Pb non presentano alcuna funzione biologica e vengono quindi definiti non essenziali: essi possono essere tollerati dall’organismo entro determinate concentrazioni, al di sopra delle quali diventano tossici. A concentrazioni alte nell’acqua di mare, si verifica un accumulo nei tessuti, in quanto i meccanismi di incorporazione comportano l’assorbimento in quantità superiori a quelle di cui necessita l’organismo. Se i processi di escrezione non sono sufficienti, gli elementi tossici possono essere trasformati in composti non tossici e immagazzinati nel fegato e nel rene o anche in altre parti del corpo (peli, penne, gusci). Ciò permette che organi estremamente sensibili come il cervello, siano protetti da una concentrazione eccessiva.

 

L’effetto tossico sugli organismi deriva dai danni che gli ioni possono indurre a livello cellulare. L’avvelenamento da metalli pesanti può essere acuto o cronico. Viene detto acuto quando l’organismo riceve una dose elevata del veleno e ne subisce immediatamente i danni; l’avvelenamento cronico consiste invece nel progressivo accumulo nell’organismo di piccole dosi dell’agente tossico, ciascuna delle quali da sola non è in grado di provocare i sintomi dell’avvelenamento acuto. La tossicità varia a seconda del metallo considerato, tra Hg e Co c’è una differenza di tossicità di circa 1000 volte. I meccanismi di azione dei metalli pesanti sono dovuti al blocco dei gruppi funzionali con conseguente interruzione delle catene metaboliche. Hg lega i gruppi sulfidrilici delle proteine, il Cd colpisce in particolar modo il rene e la spermiogenesi e determina ipocalcemia e decalcificazione delle ossa. Il cromo colpisce il rene, soprattutto nella sua forma esavalente, Cu è un algicida fortissimo, Pb è affine ai gruppi sulfidrilici e provoca alterazioni della colonna vertebrale e dell’apparato ematopoietico e nervoso, Zn attacca organi ematopoietici e gastrointestinali. I composti mercurici, con ioni positivi bivalenti, sono molto più tossici di quelli mercurosi monovalenti. Data la sua grande affinità chimica con lo ione solfuro, lo ione Hg++, si lega ai radicali cisteinici delle proteine della membrana cellulare, alterandone la struttura secondaria. E’ presente anche la forma metallorganica Hg(CH3)2, fotodegradabile, e che quindi interessa soprattutto gli organismi che vivono in profondità, molto tossica perché presenta una catena alifatica solubile nei lipidi, che gli permette di attraversare facilmente la membrana cellulare. L’azione del mercurio è principalmente teratogena, aggravata dal fatto che l’accumulo negli organismi può raggiungere valori altissimi (soprattutto nei pesci che vivono in aree contaminate e nelle penne degli uccelli marini che frequentano le coste delle aree industrializzate).

 

I metalli pesanti si possono trovare in acqua anche sotto forma di composti organometallici, soprattutto come composti metilati (Hg, Pb, Sn, Si). La parte organica può essere un gruppo alchilico oppure arilico ad anello chiuso. Questi composti sono prodotti industrialmente ed usati come pesticidi oppure come stabilizzanti di polimeri. Sul fondo degli stagni però, questi composti possono formarsi per via naturale a contatto con il sedimento; ciò avviene utilizzando la metilcobalamina (vit B12), trasferendo un gruppo metilico su un metallo della vitamina. L’altro meccanismo è quello che parte da metalli organici come lo stagno trimetile o il piombo trimetile, lo ioduro di metile, il solfuro di dimetile.

Questi composti sono più tossici dei corrispondenti sali di metallo per il fatto che il gruppo lipofilo permette l’attraversamento della membrana cellulare. I composti organostagnici sono utilizzati come pesticidi o come vernici antifouling e agiscono a livello di membrana dei mitocondri, interferendo con l’assimilazione dell’ossigeno. I piomborganici sono usati come antidetonanti nelle benzine e colpiscono il SNC. I silossani non hanno effetti tossici. Il cadmio colpisce invece soprattutto i molluschi, mentre crostacei ed echinodermi sembrano più sensibili soprattutto durante i primi stadi del ciclo vitale, causando un rallentamento della crescita dei giovani e un aumento dell’indice di mortalità. Lo ione cadmico bivalente (Cd++), che si riscontra nelle aree marine, è molto più pericoloso dello ione cadmioso (Cd+). Il piombo è molto velenoso nelle due serie di composti piombosi (Pb++) e piombici (Pb++++). È pericoloso anche allo stato metallico, perché la sua inspirazione e manipolazione dà luogo a un’intossicazione cronica detta saturnismo. Nell’ambiente naturale è andato sempre più aumentando parallelamente allo sviluppo dell’industrializzazione e della motorizzazione. È utilizzato come antidetonante nelle benzine. Gli organismi presentano differenze nella resistenza a quest’inquinante. I più sensibili sono gli uccelli che si avvelenano mangiando molluschi.

 

Gli effetti della radioattività sugli organismi variano a secondo dell’esposizione totale e della dose assorbita, della lunghezza dell’esposizione, del tipo e dell’energia della radiazione e della localizzazione della sorgente di radiazioni (interna o esterna all’organismo). Tutti gli esseri viventi nel corso della loro esistenza si trovano esposti di continuo a radiazioni, senza apparentemente ricevere alcuna alterazione significativa. La capacità di resistenza poi, varia notevolmente da un organismo all’altro, e da un isotopo all’altro. In generale, tuttavia, la sensibilità alle radiazioni aumenta con l’organizzazione degli esseri viventi. I danni da radioattività possono essere somatici o genetici. I danni somatici più noti sono le leucemie ed i tumori, i danni genetici invece provengono dal fatto che le radiazioni ionizzanti agiscono sul DNA, modificandolo chimicamente. Gli enzimi di riparazione hanno la funzione di ripristinare il DNA allo stato originale, ma, se il danno è molto esteso o interessa entrambe le catene nello stesso punto, la riparazione può essere difettosa. In alcuni casi il processo di riparazione può per errore introdurre basi azotate diverse da quelle di partenza, dando origine ad una progenie non vitale, mostruosa o con tumori ereditari. Il processo di incorporazione degli isotopi radioattivi è identico a quello del corrispondente elemento non radioattivo, ma poiché il danno non proviene dalla natura chimica dell’elemento, data l’estrema diluizione di questo, ma dalle radiazioni che esso emette, un accumulo insignificante di un determinato elemento può essere molto significativo se questo è radioattivo. Gli organismi marini più colpiti sono le alghe rosse, i molluschi bivalvi, i granchi. Dopo l’incidente di Chernobyl, i pesci contengono ancora dosi eccessive di 137Cs nelle ossa e nei muscoli. È però l’effetto a livello embriologico quello che dà più informazioni sulle possibilità di sopravvivenza e sulle possibili mutazioni delle specie esaminate.

 

I cicli vitali degli organismi sono strettamente condizionati dall’andamento termico delle regioni in cui vivono, e quindi un innalzamento della temperatura rispetto ai valori a cui le popolazioni sono adattate, può avere conseguenze imprevedibili sulle comunità. L’abnorme riscaldamento delle acque dovuto allo scarico di effluenti caldi viene quindi a determinare la modifica degli equilibri biologici con conseguenze la cui gravità è direttamente in rapporto alle caratteristiche ecologiche del corpo ricevente. Le acque più in pericolo sono quelle di raffreddamento per le centrali termoelettriche o per le industrie in genere. Le masse di acqua che vengono pompate nelle centrali si depauperano degli organismi planctonici in esse contenute, sia per il brusco innalzamento della temperatura, sia per l’effetto meccanico del trascinamento contro gli schermi, le pompe e le angolature del sistema di raffreddamento. La mortalità è totale quando nei circuiti vengono immessi Cl2 o NaClO in funzione antifouling. Uno dei fenomeni più appariscenti che si riscontra nei mari temperati è l’attrazione che l’innalzamento termico esercita su molte specie ittiche (spigole e muggini ad esempio). Si tratta di un fenomeno legato al periodo invernale. L’attrazione è anche dovuta alla grande disponibilità di nutrimento nell’area dello scarico per l’alta mortalità degli organismi planctonici trascinati nei circuiti di raffreddamento. Questa situazione modifica le normali migrazioni costiere di varie specie di pesci eurialini, come i salmoni. Il danno alle popolazioni si può manifestare come aumentata mortalità o come riduzione dell’accrescimento e della riproduzione. Le comunità bentoniche forniscono importanti indicazioni sulle conseguenze degli scarichi termici, essendo costituite da specie fisse o scarsamente mobili. Si possono così stabilire i limiti entro cui si fa sentire l’influenza termica ed il grado di tolleranza dei vari componenti della comunità. Per fare un esempio, i molluschi bivalvi dei fondi sabbiosi (vongole, telline, arselle) divengono incapaci di scavare il substrato, mentre quelli viventi su substrati rocciosi, come i mitili, manifestano difficoltà a formare i filamenti del bisso.

 

Ci sono insetti che depongono larve e uova in acqua e queste si sviluppano solo se ci sono alcune temperature. Se è presente acqua calda, avviene allora lo sfarfallamento dalle uova in mesi freddi, causando la morte. Molti altri organismi acquatici hanno bisogno di accumulare molto vitello prima di deporre le uova, ma la temperatura diminuisce il periodo di maturità sessuale e quindi gli animali deporranno prima le uova, ma queste saranno povere di vitello. Altre volte, l’elevata temperatura provoca la morte degli organismi a causa di inattivazioni enzimatiche, o causa della diminuzione dell’ossigeno in acqua e del contemporaneo aumento dl metabolismo (che si verificano entrambi all’aumentare della temperatura). Inoltre diversi composti sono più tossici a temperature più alte, come ad esempio NH3, presente ad alte temperature al posto di NH4+, meno tossico. Le diatomee hanno un optimum di temperatura di 25° C, le Cloroficee di 30 °C e i cianobatteri 35 °C. I copepodi sono meno termofili dei cladoceri; i plecotteri, i tricotteri e gli efemerotteri hanno diversa sensibilità alla temperatura: se la temperatura aumenta scompariranno nell’ordine in cui sono stati scritti. I problemi più gravi per la fauna e la flora marina si manifestano nelle regioni tropicali. Qui infatti un aumento di temperatura, anche di 2-3 °C, può causare gravi danni in quanto gli organismi vivono in condizioni molto più vicine ai limiti di tolleranza alla massima temperatura. È stato infine osservato in varie aree marine costiere soggette a scarichi termici, la comparsa di specie estranee viventi a più basse latitudini. Il fenomeno è segnalato soprattutto in Gran Bretagna e in Nord America. Ed è dovuto probabilmente al trasporto di larve nell’interno di correnti calde che corrono lungo le coste da sud a nord, o di individui aderenti allo scafo di navi provenienti dai meri caldi. Gli individui, una volta trovatisi in condizioni ottimali, si insediano e si riproducono dando origine a popolazioni che possono rimpiazzare completamente quelle di alcune specie originarie.

 

In aggiunta al materiale particolato trasportato a mare dai processi naturali, vari tipi di materiali inerti raggiungono il mare a causa delle attività produttive. SI tratta di apporti terrigeni dovuti ad operazioni di dragaggio, di ceneri trasportate dal vento risultanti dalla combustione di carbone nelle città e nelle industrie, si polveri o minuti frammenti di argille, marmo, pietrisco, vetro, carcasse metalliche ed infine una grande varietà di materie plastiche prodotte dalle industrie. Tutta questa massa di materiali di così diversa origine ha dimensioni estremamente variabili, ed influisce in varia maniera sulle attività biologiche degli organismi. Delfini, foche, uccelli, tartarughe e pesci rimangono spesso impigliati nelle reti abbandonate che galleggiano alla deriva o coprono il fondo rimanendo talvolta sospese agli spuntoni di roccia. Questi attrezzi rappresentano un pericolo costante che è andato aumentando con l’adozione del nylon, una fibra poliamidica a lentissima degradazione e difficilmente individuabile a causa della sua trasparenza. L’animale che rimane impigliato, anche se riesce a liberarsi, può rimanere ferito o subire degli impedimenti nella ricerca di cibo o nello sfuggire ai predatori. Inoltre, frammenti ed oggetti di materiali sintetici di varie dimensioni vengono ingeriti da vari animali che non sono in grado di distinguerli da una normale preda. L’ingestione di plastica, oltre a causare una diminuzione delle capacità nutrizionali, può anche lacerare la mucosa del tubo digerente. Albatros, puffini, procellarie e alche ingeriscono frammenti di plastiche e sferule che galleggiano sulla superficie del mare e che vengono confuse con le prede vive. Le tartarughe sono invece particolarmente attratte dai sacchetti di plastica e dai materiali translucidi che scambiano per le loro prede naturali: meduse, molluschi planctonici, tunicati. L’esame di individui spiaggiati rivela spesso che la causa della morte è dovuta ad occlusione del tubo digerente. Gli scarichi delle marmerie provocano lattescenza delle acque, con conseguente scomparsa di alghe e bentos. L’aumento della torbidità causa una minore trasparenza, una minore quantità di luce e quindi un minore tasso di fotosintesi. Anche le sostanze sedimentabili si sovrappongono alle alghe e causano una minore fotosintesi. Gli animali sono danneggiati in quanto i solidi sedimentabili abradono le branchie e alterano l’equilibrio ionico. Le branchie così danneggiate, sono più facilmente attaccabili da parte dei batteri. La fauna di grosse dimensioni non subisce invece danni diretti, specialmente quando il fenomeno è transitorio. Altri danni rilevanti sono quelli causati alle uova, che vengono coperte dai solidi e non possono più respirare.

 

Un fenomeno che assume sempre maggiore importanza, specialmente nelle zone industrializzate dell’Europa centrale e degli Stati Uniti è quello delle piogge acide. Le piogge acide colpiscono principalmente le foreste, ma interessano anche le acque dolci ed i monumenti. Gli alberi delle foreste nordiche aggrediti dalle piogge acide presentano perdite di clorofilla. Può allora accadere che nella foresta ci siano chiazze di alberi secchi, colpiti dalla acidità. Altri danni, più indiretti, riguardano l’attacco delle piante da parte di insetti, virus, funghi e altri organismi patogeni, i quali hanno un compito facilitato a causa delle scarse condizioni di salute degli organismi che attaccano. Le piante diventano anche più suscettibili all’attacco di altri fattori secondari quali gli inquinanti gassosi, quelli organici e la temperatura. Gli effetti delle piogge acide sulle acque consistono in un abbassamento del pH, che varia a secondo che le deposizioni acide giungano all’acqua in maniera più o meno intensa. Se le deposizioni non sono intense, l’acqua acida ha tutto il tempo di percolare nel suolo, il terreno aumenta la sua naturale alcalinità arricchendosi di carbonati e silicati neutralizzando così l’acidità. Il suolo è implicato anche in fenomeni di scambio ionico che si verificano all’interno di esso ed anche nelle radici e sulle foglie: nel suolo c sono sostanze colloidali come argille e sostanze humiche, le quali, a causa delle numerose cariche negative, legano numerosi ioni. La pioggia acida comunque è destinata a raggiungere torrenti, fiumi e bacini prima di arrivare al mare. L’acqua acida giunge in un lago attraverso le piogge, ma anche da tutto il bacino idrografico circostante. A secondo che il declivio del bacino imbrifero sia ripido o lento, avvengono diversi effetti. Un bacino imbrifero coperto da boschi sarà sempre più favorito di uno senza vegetazione nel bloccare l’acidità: le piante assorbono NH4+ e H+ liberando K+, Mg++ e Ca++ attraverso le radici e la superficie fogliare. Inoltre le radici frenano le acque acide, che scambiano ioni con il suolo. Se la pioggia è intensa, l’acqua scorre rapidamente in superficie e non ci sarà il tempo per lo scambio ionico. Per questo l’acqua arriverà a fiumi e laghi con lo stesso grado di acidità con cui è caduta. In alta montagna, dove la vegetazione è scarsa e i declivi ripidi, le acque sono molto acide, soprattutto al momento dello scioglimento della neve e del ghiaccio, in primavera. Allorquando il pH di un lago o in un corso d’acqua scende sotto il valore di 5 in maniera brusca, scompaiono tutte le specie ittiche più sensibili, quali i salmonidi (quali la trota iridea) che hanno bisogno di acque fredde e pulite. Anche i molluschi bentonici scompaiono e si sviluppano alghe filamentose, mentre comunità di alghe epifitiche ricoprono vari substrati. Al di sotto del pH 4, scompaiono anche le alghe e gli stagni o i laghetti appaiono limpidissimi a causa della quasi totale assenza di vita. Un rimedio a questi danni può essere quello della calcinazione, versando CaCo3 in queste acque. A causa del pH basso, la maggior parte delle specie presenti subiscono alterazioni della riproduzione. L’acidità stessa mette in soluzione delle sostanze tossiche, insolubili in condizioni neutre od alcaline. Ad esempio Al3, è solubile in ambiente acido ed è molto tossico per i salmonidi, alterando le branchie di questi ultimi e compromettendo così la funzione respiratoria ed escretoria. Con le piogge acide giungono negli ambienti acquatici anche solfati e nitrati in abbondanza e questo può alterare i normali rapporti tra N e P. Con l’apporto di nitrati, il rapporto 12 N / 1 P (ottimale per Cianoficee e Diatomee) sostituisce il 4 N / 1 P, con conseguente svantaggio per i Cianobatteri, che preferiscono quest’ultimo rapporto. I grandi fiumi italiani, così come i laghi, non sono molto acidificati, al contrario invece dei laghetti e dei fiumi alpini, che hanno tutti un pH minore di 6 a causa dello scioglimento delle nevi acide.

 

Effetti dannosi per gli organismi sono anche quelli deossigenanti, quelli eutrofizzanti e quelli tossici, che colpiscono sempre l’ambiente acquatico. Gli effetti deossigenanti colpiscono soprattutto le acque lotiche. Se in un corso d’acqua giungono molti scarichi, arriveranno anche sostanze organiche (da scarichi urbani) e tutta una serie di sostanze riducenti (da scarichi industriali). In acqua queste sostanze si devono mineralizzare e devono quindi essere demolite ad opera dei microorganismi presenti nel sedimento. I batteri devono ridurre queste sostanze in composti minerali, ma questo processo di mineralizzazione richiede ossigeno. Più sostanze organiche arrivano e più ossigeno sarà consumato, senza che la quantità di ossigeno che arriva per diffusione dall’aria e quella prodotta dalle alghe riesca a compensare le perdite. Se la quantità di ossigeno scende sotto i 2 mg/L, allora cominciano ad innescarsi processi anaerobici o, in caso di totale assenza di ossigeno, avvengono riduzioni anossiche (fermentazioni) con la formazione di composti tossici quali H2, ammine, H2S, CH4. Queste sostanze tossiche influiscono sugli animali di quelle zone. In primo luogo avviene la scomparsa di specie che non tollerano la scarsità di ossigeno seguita dalla selezione selle specie scarsamente influenzate dall’assenza di ossigeno, dall’espansione di queste ultime fino a livelli intensivi (soprattutto quelle con pigmenti respiratori ad elevata affinità per l’ossigeno come Batteri, Protozoi e Nematodi e quelle con un metabolismo plastico in grado di passare facilmente da aerobiosi ad anaerobiosi, come Anellidi oligocheti e policheti), infine si ha la ricomparsa di specie a sensibilità intermedia al cessare della perturbazione e la ricomposizione della comunità originaria.

 

Prenderanno quindi il sopravvento solo le specie opportunistiche (r-strateghe) e l’indice di diversità diminuirà, anche se le biomasse potranno anche aumentare. In prossimità dello scarico troveremo generi come Tubiflex e Limnodrilus, che vivono anche in condizioni anossiche, Merceriella e Capitella, entrambi indicatori di inquinamento (sono tutti Anellidi). Compariranno anche molluschi lamellibranchi ricchi di emoglobina. Sempre in prossimità dello scarico, si affermerà una popolazione detta “sewage fungus”, un popolamento di batteri e funghi filamentosi che si trovano sul substrato, che rivestiranno tutte le piante sul fondale. Si insediano tra questi poche alghe, ciliati peritrichi e altri protozoi, oltre a Cianobatteri. I principali batteri che fanno parte di questo tipo di associazione sono del genere Spaerotilus, Zooglea, Beggiatoa e Flavobacterium. Il primo è il genere più rappresentato, soprattutto quando c’è sostanza organica azotata. Beggiatoa invece ossida idrogeno solforato in zolfo e vive meglio quindi in presenza di questo elemento. Con gli scarichi urbani, giungeranno anche coliformi, streptococchi, vibrioni, clostridi, Salmonella, che saranno imbrigliati dai filamenti di funghi e batteri. I vegetali moriranno per la scomparsa di radiazioni luminose a causa delle acque torbide oltre che per un effetto meccanico coprente da parte dei detriti con conseguente danno fotosintetico. Alghe e macrofite subiranno danni cospicui. Oltre a questo effetto fisico, ci sarà un danno chimico a causa dell’aumento di nitrati, solfati e fosfati che causeranno una crescita abnorme della vegetazione. Con alti livelli di N e P, si affermeranno le Entomorphaceae, delle alghe filamentose lunghissime che si dispongono nel verso della corrente, sottraendo, durante le ore notturne, ossigeno con la respirazione. Di giorno c’è invece un’elevata fotosintesi e CO2 diminuisce come anche H2CO3 e quindi il pH aumenta. I danni più evidenti si hanno a carico delle comunità faunistiche, dove ci sono diversi gruppi indicativi di diverse qualità delle acque stesse. Insetti quali Tricotteri, Plecotteri, Efemerotteri sono molto sensibili alla riduzione di ossigeno e richiedono acque ben ossigenate. I Ditteri invece richiedono poco ossigeno, quali i ditteri Chironomidi ed Eristalidi. Questi sono rossi in quanto contengono molta emoglobina e si adattano ad acque più inquinate. In caso di uno scarico, scompariranno i primi tre e si affermeranno i Tubiflex e Limnodrilus, più lontano troveremo Ditteri e man mano che il processo di automineralizzazione va avanti, si incontreranno nuove associazioni biologiche in cui entrano nuove specie quali crostacei Isopodi (Asellidi, presenti in condizioni di scarso inquinamento), anfipodi Gammaridi (in condizioni ancora migliori). Infine si ripristinano le condizioni originarie, presenti a monte dello scarico.

 

Gli effetti eutrofizzanti si verificano in ambienti lentici quali laghi, serbatoi artificiali, acque marine e costiere. Questi sono dovuti all’apporto di composti inorganici quali N e P. Si ha così una proliferazione ed un aumento della biomassa fitoplanctonica come primo risultato di P in eccesso, la quale non riesce più ade essere smaltita dagli organismi che si nutrono in questa biomassa (catena fito-zoo-plancton). La quantità elevata di fitoplancton si accumula e queste alghe muoiono e vanno a finire sul fondo. Si instaura così una catena di detrito al posto di quella di pascolo e si verificano alcuni effetti quali quelli deossigenanti visti precedentemente. A causa dell’arricchimento di N e P, variano sia le caratteristiche delle acque e dei sedimenti, sia la trasparenza che diminuisce come la concentrazione di ossigeno disciolto. A livello si sedimento, le alghe finiscono sul fondo e quindi c’è un maggiore utilizzo di ossigeno da parte dei batteri, che possono metabolizzare anaerobicamente fino ad un certo punto, ma poi cominciano a consumare ossigeno, sottratto persino al necton (pesci), che muoiono. In ambiente oligotrofico ci sono molte specie, si affermano determinati gruppi algali sia fitoplanctonti che zooplanctonti, si affermano principalmente Diatomee (fitoplancton) seguite dalle Cloroficee. Andando verso l’eutotrofia cambieranno dapprima le specie (anche se sempre Diatomee e Cloroficee) e poi anche i gruppi più in alto (scompaiono o sono in estrema difficoltà tutte le Diatomee e le Cloroficee) mentre prendono il sopravvento i Cianobatteri. Si assiste anche ad un calo della diversità, che diminuisce, anche se la biomassa è elevata. I Cianobatteri anno una serie di caratteristiche che permettono loro di affermarsi in questi ambienti eutrofizzati: fissano azoto atmosferico, sopportando rapporti N/P di circa 5, mentre le alghe preferiscono N/P intorno a 14, hanno dimensioni maggiori delle altre alghe fitoplanconiche e molti zooplanctonti non riescono più ad alimentarsi di queste alghe. Inoltre sono in grado di secernere sostanze tossiche e hanno cellule con vacuoli che permettono loro di galleggiare e quindi di disporsi sugli strati più superficiali delle acque dove si sono sviluppati. Le altre alghe non ricevono così più luce, inoltre tutti i cianobatteri si disporranno solo negli strati più superficiali e non ci sarà una distribuzione omogenea dio produttività. Per quanto riguarda le popolazioni zooplanctoniche, in acque oligotrofiche gli zooplanctonti si nutrono di fitoplancton, in acque eutrofiche si perde invece molta biomassa sul fondo in quanto non tutta l’energia accumulata dalle alghe è utilizzata dallo zooplancton e si ha una perdita di energia del 70 %, oltre al fatto che del 30%, solo il 10% viene trasmesso in seguito.

 

Le sostanze tossiche sono sostanze chimiche che interagendo con molecole di organismi viventi, ne provoca degli effetti nocivi o diretti o mediati dai loro metaboliti. Altri parametri ambientali quali temperatura o sostanze inerti non sono quindi da considerarsi dei tossici. La gravità dei danni dipende principalmente dal tipo di tossico (struttura chimica) e dalla intensità dello stimolo (cioè il rapporto concentrazione/tempo di contatto). L’effetto negativo si manifesta inoltre solo dopo il superamento di una soglia. Al di sotto del limite, anche in presenza del tossico, non si verificano effetti dannosi evidenti. L’aumento del tempo di contatto con il tossico provoca danni sempre maggiori. Per tempi di contatto brevi, il tossico può alterare alcune catene metaboliche di un organismo. Si possono avere allora due tipi di risposte: alterazioni fisiologiche oppure alterazioni morfologiche. La comparsa di queste alterazioni porta in seguito all’instaurarsi di variazioni comportamentali sia individuali che comunitarie: attività motoria, equilibrio, orientamento, tassie. Per esempio, ciò avviene negli uccelli migratori o in insetti gregari. Continuando, si possono avere alterazioni della riproduzione e dell’accrescimento, in quanto il tossico agisce contro gameti e gonadi, oppure altera i moduli del corteggiamento e dell’accoppiamento, oppure ancora agisce contro lo sviluppo dell’embrione, la schiusa e la sopravvivenza. Con il perdurare dell’intensità, gli effetti negativi si propagano anche a livello di popolazione, la quale varia tanto nella struttura (densità, distribuzione spaziale, rapporto tra sessi o classi di età) quanto nella dinamica (indici di natalità, mortalità, sopravvivenza, crescita numerica). Infine, ci sono anche alterazioni tra le specie che compongono una comunità perché i tossici alterano il rapporto tra le popolazioni e gli indici di abbondanza, similarità, diversità. Per tempi di contatto dell’ordine dei decenni si possono infine avere danni a livello di ecosistema e quindi danni ai cicli degli elementi e ai trasferimenti di energia.

COMMENTI 0   |   Scritto da Horty in:  Senza categoria |

Locations of Site Visitors

Link FB

Link FB

Link FB

Tweets by Horty72


La Belle Verte



 
 
Link Plants