Set
22
2022
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Far luce sulle piante

Gli organismi viventi sono soggetti a condizioni ambientali fluttuanti. Mentre la maggior parte degli animali è in grado di allontanarsi da condizioni sfavorevoli, le piante sono sessili e devono quindi far fronte a vari tipi di segnali ambientali. Tra questi segnali, la luce può probabilmente essere considerata la più importante. Oltre al suo ruolo chiave nel metabolismo vegetale, dove guida il processo di fotosintesi, l’energia luminosa agisce anche per regolare la crescita e lo sviluppo delle piante. La quantità, la qualità, la direzione e la durata diurna e stagionale della luce regolano i processi che vanno dalla germinazione, all’insediamento, all’architettura e alla transizione verso lo sviluppo riproduttivo delle piante. Queste risposte alla luce costituiscono la fotomorfogenesi. In effetti, non c’è quasi nessun processo nella vita delle piante, dalla germinazione dei semi alla fioritura, che non sia influenzato dalla luce. La luce è anche un segnale molto versatile, che varia non solo in qualità, ma anche in quantità, durata e direzione. Non inaspettatamente, i segnali luminosi regolatori sono rilevati da una serie di fotorecettori specializzati nella trasduzione di informazioni, tra cui i fitocromi che assorbono la luce rossa/rossa, i criptocromi e le fototropine che assorbono la luce blu/ultravioletta-A e una o più molecole fotorecettrici che assorbono la luce ultravioletta-B, non ancora identificate. La trasduzione del segnale mediata dalla luce nelle piante inizia con la percezione della luce da parte di questi fotorecettori specializzati, che portano a un’alterazione dell’espressione di diverse migliaia di geni, consentendo così alla pianta di rispondere a livello fisiologico. I segnali vengono trasdotti in modo diverso a seconda della struttura molecolare del fotorecettore. È evidente che i fotorecettori operano attraverso interazioni tra loro e con altri sistemi di segnalazione, formando così complesse reti di risposta. Un campo di ricerca emergente è l’interazione tra fotorecettori diversi, una situazione analoga a quella delle interazioni tra ormoni. È inoltre comunemente osservato che i germogli delle piante crescono (o si piegano) verso una fonte di luce, mentre le radici si allontanano da essa. Questi movimenti di crescita, chiamati fototropismo, avvengono in risposta a uno stimolo luminoso direzionale e differiscono da altri movimenti di crescita delle piante, che non hanno una componente direzionale. Le risposte fototropiche differiscono l’una dall’altra per gli stimoli che le inducono e le vie di trasduzione del segnale, ma entrambe portano alla fine a una crescita non uniforme sui due lati di uno stelo o di una radice, una risposta che è mediata in parte da alcuni ormoni vegetali, come le auxine.

 

La luce è la sorgente primaria di energia per l’ecosistema. Le piante, assorbendo la luce, ne assimilano l’energia per fotosintesi. La luce è costituita da radiazioni elettromagnetiche che arrivano sulla Terra dal Sole, ma non tutte le radiazioni elettromagnetiche che incidono sulla superficie della Terra sono utili per la fotosintesi. L’arcobaleno e i prismi mostrano che la luce visibile è costituita da uno spettro di radiazioni di differenti lunghezze d’onda, espresse generalmente in micrometri o in nanometri (milionesimi o miliardesimi di metro), che percepiamo come differenti colori. Le lunghezze d’onda dello spettro visibile si estendono da 400 nm a 700 nm, che è la regione della radiazione fotosinteticamente attiva (RFA). Il contenuto di energia della luce varia con la lunghezza d’onda e, quindi, con il colore; la luce blu, di lunghezza d’onda più piccola, ha più energia della luce rossa, di lunghezza d’onda maggiore. Soltanto il 44% della radiazione solare totale che incide sulla superficie della Terra al livello del mare giace in questa regione, mentre il resto non è disponibile per le piante come risorsa energetica.

 

L’assimilazione netta (cioè la fotosintesi meno respirazione) è negativa nell’oscurità e cresce con l’intensità della luce, arrivando a una regione costante (plateau) nelle cosiddette piante C3 o continuando a crescere, sebbene con rendimenti decrescenti, nelle cosiddette piante C4. In entrambi i casi, quanto più alta è l’intensità della luce, tanto più bassa è la percentuale di essa che viene usata nell’assimilazione. Durante una giornata soleggiata e luminosa, una foglia esposta può essere incapace di sfruttare completamente molta della radiazione solare incidente. Questo può essere dovuto alla forma della pianta in due modi. In primo luogo, le foglie possono essere esposte sotto angoli acuti rispetto alla radiazione incidente, e ciò ha l’effetto di distribuire un fascio incidente di radiazione su una più ampia area fogliare, ossia, in pratica, di ridurre l’intensità del fascio luminoso. In secondo luogo, le foglie possono essere sovrapposte a formare una volta pluristratificata (ricordate la fillotassi?). In presenza di luce solare intensa, però, anche le foglie ombreggiate che si trovano negli strati (volte) inferiori possono avere velocità di assimilazione positive e portare un contributo all’assimilazione della pianta a cui sono inserite. La velocità di fotosintesi dipende anche dalle richieste che vengono fatte da altre parti della pianta. In assenza di parti in vigoroso accrescimento, che servono da “pozzo” per i prodotti fotosintetici, la fotosintesi può subire una riduzione anche se le condizioni sono potenzialmente ideali. Variazioni della luce ricevuta da una foglia sono causate dalla natura e dalla posizione delle foglie vicine e di quelle che la sovrastano. Ogni strato di vegetazione, ogni pianta e ogni foglia, intercettando la luce, creano una zona di depauperamento (o deplezione) della risorsa (ZDR): una striscia di ombra in movimento in cui si possono trovare altre foglie della stessa pianta o di altre piante. Anche la composizione della radiazione che ha attraversato le foglie in uno strato si modifica, diventando meno utile per la fotosintesi, poiché la RFA si riduce e gran parte della luce perde la sua direzione iniziale per diffusione e riflessione.

 

Le principali differenze strategiche tra le specie nella loro reazione all’intensità della luce sono le differenze evolutesi tra le specie eliofile e le specie sciafile. In generale, le specie vegetali che sono caratteristiche degli habitat ombreggiati usano la luce di bassa intensità più efficientemente rispetto alle specie eliofile, ma raggiungono un plateau di velocità di fotosintesi a intensità più basse. Inoltre le sciafite tendono a respirare a velocità più basse. Perciò l’assimilazione netta delle specie sciafile è più alta di quelle delle specie eliofile in condizioni di ombreggiamento. Inoltre le piante definite come C4 sono capaci di aumentare la loro velocità di fotosintesi in risposta all’aumento dell’intensità della luce di gran lunga oltre qualsiasi valore che sia probabile incontrare all’aperto, rispetto alle piante C3. Data tale variazione tra specie di piante nella risposta a differenti intensità della radiazione, non sorprende che la vegetazione spontanea tenda ad essere formata da strati di piante la cui capacità di usare la radiazione corrisponde alle loro posizioni negli strati di vegetazione. Può anche accadere che, via via che una pianta si accresce, le sue foglie si sviluppino differentemente in risposta diretta all’ambiente luminoso in cui la foglia si è accresciuta. Ciò determina spesso la formazione di “foglie da Sole” e “foglie da ombra” all’interno della volta formata da una singola pianta. Le foglie da Sole sono tipicamente meno estese, sono più spesse e hanno più cellule per unità di area, venature più dense, cloroplasti raggruppati più densamente e maggiore peso secco riferito all’unità di area della foglia. Le foglie da ombra presentano, invece, un’area più grande rispetto al loro peso secco e sono di solito più traslucide. Le foglie da ombra inferiori in un albero possono non dare un grande contributo al bilancio energetico della pianta di cui fanno parte, ma, con i loro punti di compensazione inferiori, possono perlomeno compensare l’energia necessaria alla loro respirazione.

 

Queste “manovre tattiche”, che si svolgono a livello della singola foglia o persino delle sue parti, richiedono però del tempo. Per formare foglie da Sole e foglie da ombra in risposta alla posizione in cui stanno crescendo, la pianta, la sua gemma, o la foglia in sviluppo devono percepire il microambiente intorno della foglia e rispondere sviluppando una foglia con struttura appropriata. Ma, nel formare una nuova foglia, c’è un ritardo, e quindi per la pianta è impossibile cambiare la propria forma tanto rapidamente quanto basta per inseguire le variazioni dell’intensità della luce tra un giorno nuvoloso e uno sereno, per esempio. La volta di una popolazione di piante coltivate è costituita una popolazione di foglie. Essa può essere descritta olisticamente con un parametro chiamato “indice di area fogliare” (IAF), che definisce l’area delle foglie su un’area di superficie/suolo. Le zone di depauperamento della luce prodotte dalle singole foglie in una volta creano al suo interno un gradiente di intensità della luce. La forma di questa curva di estinzione della luce dipende in grande misura dagli angoli sotto cui le foglie giacciono. Una volta di foglie che sono portate quasi orizzontalmente, come nel caso del trifoglio, produce una brusca diminuzione dell’intensità della luce quando il sole è alto nel cielo. Per contro, le foglie di una densa distesa di graminacee permettono a una grande quantità di luce di penetrare e di riflettersi internamente in profondità nella volta.

 

Nella maggior parte della vegetazione, le foglie sono ammassate, con alcune foglie in pieno Sole e altre in ombra. La maggior parte della fotosintesi si svolgerà nella parte più alta della volta, ma, quanto più alta è l’intensità della luce, tanto maggiore è il contributo portato dagli strati più bassi. Però, se le foglie occupano una posizione troppo bassa nella volta, la respirazione può superare la fotosintesi. Tali foglie avrebbero una velocità di assimilazione netta negativa e farebbero diminuire la velocità di fissazione dell’energia della chioma nel suo insieme. Per una popolazione di qualsiasi data specie vi sarà un indice di area fogliare, capace di assicurare la massima velocità di fissazione dell’energia riferita all’unità di superficie di terreno. Ad alti valori di IAF, la maggior parte delle foglie o delle piante ombreggiate può fare diminuire il potenziale di assimilazione della comunità nel suo insieme: una popolazione di piante può avere quindi troppe foglie. Un agricoltore o un forestale intelligente potrebbe volere ottenere la densità fogliare ottimale, ma è più facile dirlo che farlo. L’indice di area fogliare ottimale per una comunità di piante (nell’ipotesi che l’acqua e le sostanze nutritive non siano limitanti) dipende infatti dalla forma e dalla disposizione delle foglie nella volta, dall’inclinazione dei raggi solari e dalla intensità della radiazione solare. Inoltre, quando l’intensità della luce cresce, il punto in cui la fotosintesi supera la respirazione si sposta più in profondità nella volta. Perciò, l’indice di area fogliare ottimale per un’area di vegetazione varierà di stagione in stagione, di giorno in giorno, e persino nel corso di uno stesso giorno. La conseguenza è che la maggior parte della vegetazione trascorre quasi metà della vita con un indice di area fogliare subottimale e l’altra metà con un indice di area fogliare sovraottimale, mentre solo temporaneamente avrà un indice di area fogliare ottimale. Difatti, i il rendimento approssimato delle colture delle zone temperate è pari a solo lo 0.6 % dell’energia radiante incidente. Il fatto che la luce non venga utilizza con alto rendimento non implica di per sé che essa non limiti la produttività della comunità (nelle piante coltivate in condizioni ideali si possono raggiungere rendimenti del 3-10%). L’intensità della luce durante una parte del giorno è inferiore al valore ottimale per la fotosintesi nella volta della vegetazione. Inoltre, in corrispondenza di intensità massime di luce, spesso la vegetazione continua ad avere le foglie più basse in relativa oscurità e quasi certamente farebbe fotosintesi più velocemente se l’intensità della luce fosse più alta. Nel caso delle piante C4, a quanto pare, non viene raggiunta mai un’intensità della radiazione che determina saturazione e di conseguenza la produttività può essere limitata da una penuria di radiazione fotosinteticamente attiva anche in presenza della più luminosa radiazione naturale.

 

Ma andiamo un po’ più nel dettaglio.

 

Le radiazioni elettromagnetiche solari che raggiungono la parte superiore dell’atmosfera terrestre si estendono oltre la regione visibile, da ambo i lati di essa. Oltre l’estremo di piccola lunghezza d’onda dello spettro, giacciono la regione ultravioletta, i raggi X e i raggi gamma, la cui energia cresce al decrescere della lunghezza d’onda; oltre l’estremo di grande lunghezza d’onda, c’è la regione infrarossa e le radioonde, la cui energia decresce al crescere della lunghezza d’onda. A causa del suo alto contenuto di energia, l’ultravioletto può danneggiare le cellule ed i tessuti esposti, anche se la maggior parte degli UV viene assorbita dallo stato stratosferico di ozono. La conversione fotochimica dell’energia luminosa in energia chimica ad opera delle piante avviene principalmente in quella regione dello spettro solare che contiene la massima quantità di energia. L’assorbimento dell’energia radiante dipende dalla natura della sostanza assorbente. L’acqua assorbe soltanto lievemente la luce le cui lunghezze d’onda cadono nella regione visibile dello spettro di energie. Le sostanze colorate, chiamate anche pigmenti, assorbono fortemente la luce di alcune lunghezze d’onda nella regione visibile dello spettro e riflettono o trasmettono la luce di lunghezze d’onda definite, i cui colori corrispondenti permettono di identificarle. Le foglie delle piante contengono vari tipi di pigmenti, in particolare clorofille (verdi) e carotenoidi (gialli-arancio), che assorbono la luce utilizzando la sua energia. I carotenoidi assorbono principalmente la luce blu e verde e riflettono la luce gialla e arancione. La clorofilla assorbe la luce rossa e la luce violetta e riflette la luce verde e la luce blu. La luce verde viene assorbita meno e, quindi, le foglie ci appaiono verdi.

 

La luce inoltre ha un ruolo fondamentale nell’irraggiamento, nella conduzione e nella convezione dell’energia radiante nelle piante. La velocità di fotosintesi è direttamente proporzionale a bassi livelli di radiazione, tipicamente minori di ¼ di quello prodotto dall’esposizione alla piena luce solare. Un irraggiamento maggiore satura i pigmenti fotosintetici e, al suo crescere, la velocità di fotosintesi aumenta più lentamente o si stabilizza. In molte piante, un irraggiamento estremamente alto compromette le fotosintesi a causa della inattivazione delle reazioni fotosintetiche (fotoinibizione). La risposta della fotosintesi all’irraggiamento ha due punti di riferimento. Il primo, detto punto di compensazione, è il valore dell’irradiamento in corrispondenza del quale l’assimilazione fotosintetica di energia bilancia esattamente la respirazione. Al di sopra del punto di compensazione, il bilancio energetico della pianta è positivo; al di sotto, il bilancio energetico è negativo. Il secondo punto di riferimento è il punto di saturazione, al di sopra del quale la velocità di fotosintesi non risponde più all’irradiamento crescente.

 

Il rendimento fotosintetico (o “efficienza fotosintetica”), che è la percentuale di energia radiante incidente che si converte in produzione primaria netta durante la stagione di accrescimento, fornisce un utile indice della velocità di produzione primaria in condizioni naturali. Dove l’acqua e le sostanze nutritive non limitano severamente la produzione delle piante, il rendimento fotosintetico varia fra l’1 e il 2%. Le foglie e le altre superfici fotosintetizzanti riflettono da ¼ a ¾ del restante 98-99%. Molecole diverse dai pigmenti fotosinteticamente attivi assorbono la maggior parte del resto, che si converte in calore e viene irradiato o trasmesso per conduzione attraverso la superficie fogliare, o dissipato dall’evaporazione dell’acqua dalla foglia (traspirazione).

 

Le quantità relative di radiazione diretta o di radiazione diffusa che giungono su una foglia esposta dipendono dalla quantità di polvere presente nell’aria e, in particolare, dallo spessore dello strato di aria diffondente interposto tra il sole e la pianta. L’indice di area fogliare (IAF) è, per definizione, l’area della superficie delle foglie riferita all’unità di area della superficie di suolo. La vegetazione del deserto possiede un IAF più basso di quello della foresta e ciò spiega gran parte della differenza di produttività. In generale, quando si aggiungono foglie alla volta della vegetazione, si può prevedere che l’aumento dell’IAF faccia aumentare la produttività; ma alla fine, a causa dell’ombreggiamento, viene raggiunto un punto in cui le foglie che occupano una posizione bassa nella volta non ricevono luce sufficiente per fotosintetizzare con una velocità eguale alla loro velocità di respirazione. Oltre questo livello, al crescere dell’IAF decresce la produttività. L’IAF non è l’unica caratteristica strutturale che influenza la produttività della volta della vegetazione. Altri due attributi importanti sono l’inclinazione delle foglie e la densità delle foglie lungo la profondità della volta. Ad alte intensità di luce, la produttività è maggiore in una volta in cui le foglie situate alla sommità sono maggiormente inclinate rispetto al piano orizzontale. In questo caso, in corrispondenza dell’ambiente ricco di luce dello strato superficiale, la conseguente riduzione dell’assorbimento della luce non riduce la velocità di fotosintesi, mentre una maggiore quantità di luce è resa disponibile nei livelli più bassi della volta. Un’alta produttività è associata anche alla concentrazione di foglie nella parte superiore della volta, tranne quando le foglie situate alla sommità sono inclinate orizzontalmente.

 

La produttività di una comunità di piante può perdurare soltanto per quel periodo durante il quale le piante sono provviste di fogliame fotosinteticamente attivo. Gli alberi caducifogli hanno un limite autoimposto al periodo dell’anno durante il quale portano fogliame. Al contrario, gli alberi sempreverdi sono provvisti di fogliame durante tutto l’anno ma, durante alcune stagioni, esso può fotosintetizzare a malapena o persino respirare più velocemente di quanto fotosintetizzi. Gli andamenti latitudinali della produttività delle foreste sono quindi in gran parte una conseguenza di differenze nel numero di giorni in cui c’è una fotosintesi attiva. Quali che siano l’intensità dei raggi solari e la frequenza delle piogge, a temperatura costante, la produttività sarà comunque bassa se il terreno è carente di sostanze minerali nutritive essenziali. La radiazione incidente viene usata con basso rendimento da tutte le comunità. Le cause di questo basso rendimento di utilizzazione possono essere fatte risalire ai seguenti fattori: penuria di acqua che limita la velocità di fotosintesi, penuria di sostanze nutritive minerali essenziali che fa diminuire la velocità di produzione di tessuto fotosintetizzante e la sua efficacia nella fotosintesi, temperature letali o troppo basse per consentire l’accrescimento, insufficiente profondità o carenze minerali del suolo, incompleta copertura di fogliame (stagionalità della produzione delle foglie, defogliazione per opera di organismi nocivi), basso rendimento con cui le foglie fotosintetizzano (difficilmente >10% anche nei sistemi agricoli più produttivi).

 

Inoltre, la luce ha anche altri effetti sullo sviluppo delle piante, causando il fototropismo e permettendo il geotropismo nelle radici di certe specie. Esistono inoltre numerosi altri effetti della luce, indipendenti dalla fotosintesi e dal fototropismo. La maggior parte di questi effetti controllano la forma della pianta, cioè il suo sviluppo o morfogenesi. Il controllo della morfogenesi da parte della luce è comunemente indicato come fotomorfogenesi. Un pigmento, chiamato fitocromo, assorbe la luce in rapporto a questo fenomeno; di esso ne esistono almeno due tipi. Altri fotorecettori scoperti più di recente sono il crittocromo (tipico della Crittogame, ma presente anche in piante superiori), il fotorecettore UV-B e la protoclorofillide a (il precursore immediato della clorofilla). Esistono in bibliografia molte ricerche sugli effetti del fitocromo in particolare sulla germinazione fotodipendente, sulla natura della fotodormienza, sul ruolo della luce nella morfogenesi delle plantule e nell’accrescimento vegetativo, sugli effetti fotoperiodici della luce, sull’incremento della sintesi dei flavonoidi indotto dalla luce e infine sugli effetti della luce sulla disposizione dei cloroplasti. La luce è inoltre coinvolta nei fenomeni relativi al cosiddetto “orologio biologico”, in parte influenzato da ritmi circadiani, e nei fenomeni di fotoperiodismo. Quest’ultimo è un fenomeno veramente straordinario! Spesso la sincronizzazione degli organismi con le stagioni è in rapporto con la riproduzione: ad esempio è importante che tutti gli individui di una data specie di angiosperme fioriscano nello stesso momento (garantendo la possibilità dell’impollinazione incrociata) o che i muschi, le felci, le conifere ed anche alcune alghe formino le strutture riproduttive in una determinata stagione. Molte altre risposte delle piante, come l’allungamento del caule, la crescita delle foglie, la dormienza, la formazione di organi di riserva, la caduta delle foglie e lo sviluppo della resistenza al gelo, si manifestano durante certe stagioni. Spesso queste risposte sono sincronizzate dal fotoperiodismo. Molto di quello che succede nel mondo della natura dipende dal fatto che le piante e gli animali sono capaci di percepire le lunghezze relative del giorno e della notte.

 

Si possono trarre delle conclusioni generali sul ruolo del fotoperiodismo. Innanzitutto esiste un’ampia diversità nei tipi di risposta fotoperiodica. Prima che una pianta possa fiorire in risposta al suo ambiente (in particolare alla lunghezza del giorno e della temperatura), gli organi che percepiscono le modificazioni, di solito le foglie e i meristemi, devono raggiungere una condizione, detta maturità alla risposta. Esiste un’ampia diversità tra le specie e gli organi delle piante rispetto all’età nella quale viene raggiunta questa condizione. Il periodo di buio ha un ruolo importante nella risposta fotoperiodica, dato che la sua interruzione con la luce inibisce la fioritura nelle piante brevidiurne e stimola quella delle piante longidiurne. Il fitocromo chiaramente percepisce l’interruzione con la luce, al cui efficacia dipende dalla durata dell’illuminazione. Un’interruzione della notte inibisce la fioritura nelle piante brevidiurne e stimola la fioritura in quelle longidiurne. Inoltre, la luce rossa è più efficace per le piante brevidiurne e una mescolanza di rosso e rosso-lontano è più efficace per le piante longidiurne. Una parte del meccanismo della misura del tempo nel fotoperiodismo ha le caratteristiche della clessidra, e ciò riguarda in particolare la trasformazione del pigmento e la sintesi di un ormone della fioritura. Esistono molte prove circostanziate che la stimolazione della fioritura sia controllata da ormoni: uno o più florigeni ad azione positiva ed uno o più inibitori ad azione negativa. Queste sostanze sono ancora da identificare. In particolare, sono le foglie gli organi della pianta che percepiscono la lunghezza del giorno. La risposta della fioritura è spesso influenzata dalla somministrazione di regolatori della crescita e ormoni, ma i meccanismi sono ancora poco noti. Anche se diversi composti provocano la formazione dei fiori, non esiste alcuna prova convincente che il florigeno sia costituito da uno, o più di uno, degli ormoni vegetali noti. Il fotoperiodismo inoltre regola lo sviluppo dei fiori, la dormienza delle gemme e dei semi (giorni brevi), l’allungamento del caule (giorni lunghi), la formazione di organi di riserva (favorita da giorni brevi), la crescita vegetativa delle foglie (più lunghe, larghe, sottili e gialli con giorni lunghi), dei rami (stimolata da giorni brevi), la sintesi di antociani, alla radicazione delle talee (giorni lunghi), fenomeni di clorosi tra le venature (as es., pomodoro illuminato per 18 h). Non ultime, sono le diverse risposte biochimiche in piante fatte crescere a fotoperiodi differenti (es., acidi organici, ormoni, viscosità citoplasmatica, ecc.).

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