Ago
20
2014
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Non essenziale ma essenziale



Silicio01



Il contenuto in silicio degli organismi viventi decresce al crescere della loro complessità. Nella crosta terrestre il rapporto tra silicio e carbonio è 250:1, nell’humus scende a 15:1, è 1:1 nel plancton, 1:100 nelle felci e 1:5000 nei mammiferi”.

Sam Kean. Il cucchiaino scomparso – e altre storie della tavola periodica degli elementi



Nella tavola periodica, il silicio (Si) si trova nel gruppo IV, appena sotto il carbonio (C). Le proprietà degli elementi nella tavola sono, per l’appunto, periodiche, per cui ci si aspetterebbero proprietà chimiche e fisiche simili per i due elementi. Per questa ragione, gli scrittori di fantascienza e di esobiologia, nonché semplici ufologi, hanno da sempre postulato una possibile vita aliena basata su macromolecole con un’impalcatura al silicio invece che al carbonio, come sulla Terra. L’ipotesi sembrerebbe verosimile, dato che il silicio, dopo l’ossigeno, è l’elemento più abbondante della crosta terrestre. Qualcosa deve essere andato però storto per il silicio. Il perché è subito spiegato. Prima di tutto, il carbonio ha una forma gassosa (CO2) assorbita prevalentemente dalle piante per fare fotosintesi, mentre l’equivalente silice (SiO2) è solida sotto i 2200 °C. Questa forma solida non è adatta per diffondere tra le cellule (ad esempio durante la fotosintesi o la respirazione) ed essere trasportata a corte o a lunghe distanze, come appunto avviene per l’anidride carbonica, per cui è incompatibile con la vita (terrestre). La silice, inoltre, non è solubile in acqua e non potrebbe quindi essere trasportata dal sangue o da altri fluidi corporei; altro elemento a sfavore. Infine, l’atomo di silicio “pesa” troppo, è ingombrante perché contiene 8 protoni e 8 neutroni in più del carbonio, ed è poco agile e inadatto a formare i doppi legami tipici di molte macromolecole. Non per altro, ricci di mare, diatomee e protozoi radiolari usano il silicio per rinforzare l’esoscheletro, quindi solo a fini strutturali.

A meno che non pensiamo a un pianeta caldissimo, vulcanico con poca acqua, abitato da creature che secernono sabbia respirando e a produttori primari equivalenti alle nostre piante che costruiscono rocce a partire da sabbia, l’ipotesi di una vita al silicio sembra naufragare. Un mondo simile lo aveva immaginato Frank Herbert nel suo “Dune”, dove esemplari giganteschi di Geonemotodium arraknis (foto all’inizio dell’articolo), comunemente chiamato “verme delle sabbie”, simili agli anellidi, solcavano i deserti sabbiosi del pianeta Arrakis alla ricerca di composti inorganici contenuti nella sabbia e nelle rocce, massa pre-spezia e sandplankton, in maniera analoga alle balene dei mari terrestri. Il metabolismo di Geonemotodium arraknis ha tre principali prodotti di scarto. Il primo è l’ossigeno, prodotto dal processo chimico che consente al verme di smaltire il calore in eccesso. Il secondo è la sabbia prodotta dal consumo delle rocce ingerite dal verme. Il terzo, e più importante dal punto di vista umano, è la spezia Melange, prodotta principalmente dalla forma larvale del verme.

Sulla Terra, il silicio è un “contaminante ubiquitario”: è presente come impurità nelle soluzioni nutritive per le piante, nell’acqua (anche distillata), nei contenitori di vetro, nella polvere. Il silicio ha effetti benefici sulla crescita e sulla produttività di molte piante, alleviando le conseguenze di stress biotici e abiotici, tra cui malattie batteriche e fungine, danni dovuti a insetti fitofagi, siccità, metalli tossici, allettamento, alte temperature e alti livelli di radiazioni UV, ghiacciate e sbilanci nutrizionali. Nelle piante, la maggior parte degli effetti benefici sono dovuti alla deposizione di silicio nelle foglie, nei fusti e nei frutti, anche se l’entità di questo fenomeno varia di molto nelle specie considerate (ad esempio, il riso è un forte accumulatore di silicio; foto in basso). Per avere un’idea dell’importanza del silicio nella parte aerea delle piante, basti pensare al rafforzamento dei fusti delle graminacee, che permettono di evitare l’allettamento, o alla migliore posizione ed erettilità delle foglie, che così intercettano più luce. E ancora, la deposizione sulle foglie (con la formazione di membrane silico-cellulosiche nelle cellule epidermiche) diminuisce la traspirazione: una risposta essenziale quando la pianta è sottoposta a stress idrico o salino.

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Rappresentazione schematica di una foglia di riso. In nero, le zone dove si è deposta la silice: SI = strato siliceo; S = sclerenchima; SB = cellule bulliformi silicizzate; BS = guaina del fascio (fonte: Yoshida et al., 1962).



Sembra però che il silicio sia anche in grado di stimolare il sistema di difesa antiossidante, e di legare e disattivare i metalli tossici in cellula separandoli o facendoli precipitare, oltre a complessare elementi tossici (come l’alluminio e il manganese) nella soluzione del suolo (l’acqua che circola tra le particelle di suolo), evitando che siano assorbiti dalle radici. Nonostante tutti questi benefici, il silicio non è ancora annoverato tra gli elementi essenziali per le piante. Difatti, Hoagland non lo aveva mai annoverato nella composizione dei suoi famosi mezzi nutritivi, così come anche i suoi predecessori. Infine, la silice stimola la crescita dei tessuti, migliora il bilancio minerale delle piante e, a causa della sua sgradevolezza sotto i denti ed il palato (provate a mangiare vongole piene di sabbia!), scoraggia gli erbivori. L’incorporazione del silicio nelle pareti cellulari ha due vantaggi: a) il ruolo della silice è analogo a quello della lignina, cioè è una componente strutturale resistente alla compressione; b) il costo energetico per impregnare le pareti cellulari di silice è solo il 3.7 e il 6.7% di quello per incorporare rispettivamente lignina e cellulosa. Eppure, il silicio viene ancora oggi considerato non essenziale.

L’acido silicico del suolo deriva prevalentemente dallo sfaldamento e dalla solubilizzazione dei minerali argillosi ricchi di silice, ed è presente nel terreno a concentrazioni di 0-1 – 0.6 mM, quindi abbastanza alte. Il silicio è assorbito dalle radici sotto forma appunto di acido silicico (H4SiO4) mediante proteine della famiglia delle aquaporine (Lsi1). E’ stato notato anche che questi trasportatori hanno affinità per gli ioni arsenito [As(III)], tossico, per cui la diminuzione del fabbisogno di silicio negli organismi più complessi, con un metabolismo più elevato e probabilmente più soggetti ai danni dovuti all’arsenico, potrebbe essere stato selezionato naturalmente in quando caratteristica negativa. La competizione tra H4SiO4 e As(III) è probabilmente dovuta al fatto che le due specie chimiche hanno dimensioni simili ed entrambe sono neutre a pH < 8. Nell’insieme, la concentrazione di silicio nelle piante varia dallo 0.1 al 10% del peso secco, a seconda della specie. Essenziale o no, il silicio è quindi presente nelle piante a concentrazioni paragonabili a quelle dei macronutrienti (a basse concentrazioni: fosforo, zolfo, calcio e magnesio; ad alte concentrazioni: potassio e azoto.). Recentemente, è stata scoperta anche un’altra famiglia di proteine (SIT = Silicon Transporters) in grado di trasportare il silicio in alcuni protozoi (coanoflagellati e eteroconti), oltre che nelle diatomee (che sono invece alghe unicellulari in cui il silicio è essenziale per costruire i frustuli, corazze dalle caleidoscopiche forme; foto in basso).

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Frustuli di diatomee (fonte: Massimo Brizzi; http://www.massimobrizzi.it/)



La scoperta di trasportatori specifici per il silicio, suggerirebbe che la “biosilicazione” sia un fenomeno molto antico, probabilmente già presente negli antenati degli eucarioti, quando piante e animali non si erano ancora separati filogeneticamente, oppure che il carattere è comparso separatamente più volte in quanto vantaggioso. La seconda ipotesi sembrerebbe essere la più corretta. Infatti, l’equiseto (foto in basso), comparso dopo le diatomee ma prima delle piante a seme, è un iperaccumulatore di silicio ma i suoi trasportatori, pur appartenendo alla famiglia delle aquaporine, come avviene nelle piante superiori, sono filogeneticamente molto diverse e sono quindi comparse indipendentemente. Curiosamente, quasi tutti queste famiglie di trasportatori sono stati scoperti solo nell’ultimo decennio, quasi a testimoniare lo scarso interesse per questo elemento, almeno fino ad oggi. Una volta assorbito dalla pianta, il silicio precipita sotto forma di particelle di silice amorfa (“fitoliti”), soprattutto nelle pareti cellulari. I fitoliti hanno una valenza tassonomica e anatomica, in quanto sono usati per distinguere specie e generi di piante e riconoscere facilmente alcuni tessuti vegetali dove la silice si deposita. Da un punto di vista storico e archeologico, i fitoliti servono per identificare le specie coltivate da antiche civiltà e la dieta di animali, tra cui anche progenitori dell’uomo, vissuti milioni di anni fa.

Equiseto

Equisetum arvense è una specie iperaccumulatrice di silicio, al punto che i suoi tessuti essiccati e triturati venivano usati come polvere abrasiva per levigare, sgrassare e lucidare. Gli equiseti (o “code di cavallo”) sono tra gli organismi più antichi della Terra in quanto diffusi già alla fine del Devoniano (395-345 milioni di anni fa) anche sotto forma di alberi (fonte: Alessandra Romeo; http://www.cure-naturali.it/equiseto/2128).



In generale, le felci, le gimnosperme (conifere) e le angiosperme (piante a fiore) accumulano meno silicio rispetto alle piante non vascolari e agli equiseti (foto in basso). Tra le angiosperme, le monocotiledoni (soprattutto alcuni ordini, come graminacee, palme e ciperacee) accumulano di solito più silicio delle dicotiledoni. Tra le dicotiledoni, ci sono poche eccezioni, quali le leguminose, le cucurbitacee (zucchini e affini), le rosacee e le asteracee (ad es. il girasole), che accumulano tutte alte quantità di silicio. Nei confronti del silicio, le specie vegetali possono essere “accumulatrici” (concentrazioni > 1% del peso secco e rapporto [Si]/[Ca] > 1), “esclusorie” (concentrazioni < 0.5% del peso secco e rapporto [Si]/[Ca] < 0.5) e “intermedie” (tra i due estremi). E’ interessare notare che tra le prime ci sono importanti colture: canna da zucchero (1.5%), mais (1.0%), riso (4.1%), frumento (2.5%), soia (1.4%), barbabietola da zucchero (2.3%), orzo (1.8%) e pomodoro (1.6%). Il rapporto [Si]/[Ca] ha anch’esso una certa importanza perché le specie ricche di silicio hanno generalmente basse concentrazioni di calcio, e viceversa.

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Concentrazione relativa di silicio (+/- errore standard)  nel germoglio dei principali gruppi di piante (fonte: Hodson et al., 2005). Il silicio diminuisce in quest’ordine: epatiche > equiseti > licopodi > muschi > angiosperme > gimnosperme > felci.



Poiché, al contrario di molti altri elementi essenziali per le piante, I livelli di silicio non dipendono dai parametri climatici, geografici o pedologici (concentrazione di silicio nel suolo e/o nella soluzione del suolo, pH, ecc.) ma piuttosto dalla “posizione filogenetica” della specie considerata, questo elemento potrebbe essere un importante riferimento per capire in che modo i livelli degli altri elementi nei tessuti vegetali (ad es. azoto e fosforo) cambiano in funzione degli stress ambientali. Oppure, la specifica concentrazione di silicio ci potrebbe aiutare ad indentificare fossili o antichi residui vegetali.

Tornando alla citazione iniziale, azzardo una mia ipotesi. A causa delle limitazioni rispetto al carbonio, spiegate all’inizio dell’articolo, il silicio ha avuto sempre una funzione strutturale. Ad oggi, non si conoscono vie metaboliche che lo incorporino, anche se sono presenti (almeno nelle piante) una serie di trasportatori specifici. Nella crosta terrestre il silicio è molto abbondante (Si/C = 250:1) ma già nell’humus, che contiene molta sostanza organica in decomposizione, diminuisce di circa 15 volte (Si/C = 15:1). In alcune alghe unicellulari è fondamentale perché costituisce una specie di esoscheletro esterno, portando indubbi vantaggi (Si/C = 1:1 nel plancton). Negli animali, è stato sostituito dai sali di calcio, che compongono conchiglie e endoscheletri (ossa; Si/C = 1:5000 nei mammiferi), o dalla chitina nell’esoscheletro degli insetti. Nelle piante, la situazione è ambivalente (Si/C = 1:100 nelle felci e, facendo i calcoli della massaia con i dati dell’ultima figura, fino a 1:20/1:50 negli altri gruppi di piante) ma, pensandoci su, i vantaggi che il silicio apporta sono quasi sempre riconducibili alla sua funzione strutturale e alle sue proprietà fisiche piuttosto che a quelle chimiche (resistenza e durezza di foglie e fusti, fitoliti, ecc.). Nelle piante comparse prima filogeneticamente, il silicio è più abbondante perché probabilmente forniva (e tuttora fornisce) un sostegno che suppliva la mancanza di vasi lignificati (legno) e di struttura secondaria. C’è però l’eccezione degli equiseti, che pur essendo  tracheofite con vasi lignificati, hanno un contento di silicio alto (c’è qualcuno in sala esperto di equiseti?). Gimnosperme e angiosperme hanno poco silicio: per la funzione di sostegno utilizzano ormai prevalentemente cellulosa e lignina, pur pagandole energeticamente a caro prezzo. La prima perché più facile da incorporare nelle vie metaboliche già esistenti (deriva dal glucosio), la seconda perché dà anche altri vantaggi (la sua biosintesi parte da composti fenolici, che hanno anche una forte azione antiossidante e antimicrobica). Ad avvalorare questa ipotesi, c’è il fatto che la lignina è comparsa, in forma organizzata, proprio nelle tracheofite (dalle felci in poi, per intenderci).

Alla fine di questo articolo, il silicio mi sembra essere più essenziale di quanto pensassi!



Grazie a loro, ho scritto:

Alan O Marron, Mark J. Alston, Darren Heavens, Michael Akam, Mario Caccamo, Peter WH Holland, Giselle Walker (2013) A family of diatom-like silicon transporters in the siliceous loricate choanoflagellates. Proc. R. Soc. B 280: 20122543

Caroline Grégoire, Wilfried Rémus-Borel, Julien Vivancos, Caroline Labbé, Francois Belzile, Richard R Bélanger (2012) Discovery of a multigene family of aquaporin silicon transporters in the primitive plant Equisetum arvense. The Plant Journal 72: 320-330

Emanuel Epstein (1994) The anomaly of silicon in plant biology Proc. Natl. Acad. Sci. USA 91: 11-17

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MJ Hodson, PJ White, A Mead, MR Broadley (2005) Phylogenetic Variation in the Silicon Composition of Plants. Annals of Botany 96: 1027-1046

Sam Kean (2012) Il cucchiaino scomparso – e altre storie della tavola periodica degli elementi. Capitolo 2. Adelphi

Shi-Bao Zhang, Jiao-Lin Zhang, J.W. Ferry Slik, Kun-Fang Cao (2012) Leaf element concentrations of terrestrial plants across China are influenced by taxonomy and the environment. Global Ecology and Biogeography 21 (8):809-818

Shoichi Yoshida, Yoshiko Ohnishi, Kakuzo Kitagishi (1962) Histochemistry of silicon in rice plant. Soil Science and Plant Nutrition 8 (1): 36-41

Yongchao Liang, Wanchun Sun, Yong-Guan Zhu, Peter Christie (2007) Mechanisms of silicon-mediated alleviation of abiotic stresses in higher plants: A review. Environmental Pollution 147 (2): 422-428

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