Feb
04
2023
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La sostanza organica del suolo (terza parte)

Influenza della sostanza organica sulle proprietà chimiche del suolo

La sostanza organica è la parte di suolo più reattiva dal punto di vista chimico e da sola rappresenta fino al 46% della superficie specifica in un suolo che ne contiene mediamente il 3% in peso. Nel suolo, infatti, la maggior parte delle reazioni chimiche avvengono all’interfaccia tra la fase solida e la fase liquida, dove i numerosi gruppi funzionali reattivi delle molecole umiche e degli altri costituenti della sostanza organica interagiscono con i soluti presenti nella soluzione del suolo. La capacità di scambio cationico della sostanza organica può contribuire fino al 50% di quella presente in un suolo. Inoltre, la sostanza organica causa spesso una certa acidificazione del suolo perché associata alla biomassa e quindi al rilascio di CO2, che è un agente acidificante. La sostanza organica quindi svolge un ruolo non trascurabile nella pedogenesi di molti suoli ma svolge altri anche altri ruoli, qui di seguito descritti.

Complessazione dei metalli

Soprattutto di Fe, Zn, Cu, Ni, Co, Mn, con formazione di idrossidi insolubili (soprattutto a pH alcalini). Avviene mediante la condivisione di doppietti liberi di elettroni con lo ione metallico acido, che ne è invece carente. I legami dell’humus con i metalli (alcalini, alcalino-terrosi e anche pesanti, quali Pb, Cu, Ni, Co, Zn, Cd, Fe e Mn) sono legami di coordinazione tra gruppi funzionali leganti (o chelanti) e metallo ligando (o chelato). La sostanza organica è infatti in grado di trattenere i metalli in soluzione sotto forma di specie anioniche o prive di carica. Si possono formare non solo composti chelati, quando due o più dei gruppi funzionali legati al metallo appartengono alla stessa molecola organica (chelante) ma anche strutture a catena in cui il metallo è contemporaneamente chelato da due diverse molecole di acidi fulvici. I gruppi responsabili di tali legami sono, in ordine inverso di importanza, enolato, ammino, azoto con doppio legame, azoto eterociclico, carbossilato, etere e carbonile.

L’elevata stabilità dei chelati è dovuta a motivi entropici. Infatti, anche se l’energia di legame liberata a pressione costante è la stessa (stessa dH, variazione di entapia), la formazione del chelato comporta una minore diminuzione di entropia, dato che il numero di molecole passa da 2 a 1 invece che da 3 a 1, come nel caso di un composto non chelato. Dal momento che dG = dH − TdS e quindi la diminuzione di energia libera (dG) sarà maggiore se dS sarà più piccolo (cioè quanto minore è la riduzione di entropia).

I catecoli sono tra gli acidi più chelanti, ma ci sono anche polisaccaridi acidi, acidi uronici, amminozuccheri, siderofori che chelano Fe3+ (soprattutto nelle graminacee) e fitochelatine (in molte altre specie). Le sostanze umiche possono formare complessi più o meno stabili con i metalli: è ovvio che i composti più stabili tenderanno a formarsi per primi e prevarranno a basse concentrazioni del metallo. I siderofori microbici o delle piante superiori possono essere assorbiti come tali oppure lo ione ferroso può essere assorbito dopo la riduzione del complesso da parte degli H+ escreti dalle radici.

Potenziale di ossido-riduzione

Si misura introducendo in una pasta satura o in una sospensione di suolo in esame un elettrodo di misura costituito da un filo di platino, e rilevando con un potenziometro la differenza di potenziale esistente tra quest’ultimo e un elettrodo di rifermento a calomelano. In un suolo ben areato si riscontrano solitamente valori di +0.4 V, mentre in anaerobiosi spinta di –0.4 V. La sostanza organica influenza indirettamente il potenziale di ossidoriduzione perché contribuisce a mantenere una buona struttura con adeguata porosità e permette quindi l’esistenza di condizioni ottimali di aerazione e drenaggio del suolo, che contribuiscono ad impedire l’instaurarsi di condizioni asfittiche. L’accettore di elettroni energeticamente più vantaggioso dopo l’O2 è il nitrato, che viene ridotto da batteri denitrificanti In nitrito, NO, N2O e N2. L’attività dei batteri denitrificanti dipende anche però dalla disponibilità di carbonio organico e, inoltre, eccessi di sostanza organica favoriscono la denitrificazione perché inducono un maggior consumo di ossigeno. Dopo il nitrato si passa all’ossidazione di Mn(IV)/Mn(II) e Fe(III)/Fe(II), abbondantemente disponibili nel suolo per la presenza di ossidi e idrossidi di questi elementi, segue il solfato a solfuro e la CO2 a metano. In tutte queste riduzioni si consumano H+ e quindi il pH tende alla neutralità.

 

Proprietà biochimiche e fisiologiche della sostanza organica

Gli enzimi rilasciati all’esterno della cellula sono inglobati nei complessi organo-minerali senza perdere la loro attività e sono protetti dalla degradazione microbica, acquistano una marcata resistenza alla denaturazione termica e svolgono la loro funzione anche in condizioni sfavorevoli per l’attività microbica. Nel suolo gli enzimi possono rimanere attivi in questi siti: intracellulari, periplasmatici, superficie esterna cellulare; associati a cellule non proliferanti quali spore batteriche e cisti; presenti in cellule morte o in residui cellulari; extracellulari preseti nella fase acquosa del suolo; immobilizzati dai fillosilicati e/o da molecole umiche presenti nel suolo.

Complessi argillo-enzimatici. La molecola enzimatica proteica può protonare i suoi gruppi basici accettando protoni dalla superficie dei fillosilicati, con un’interazione diretta tra proteina e fillosilicato (non comune), perché questi sono di solito già coperti da ossidi e idrossidi. Avvengono però anche interazioni elettrostatiche proteina-fillosilicato, legami ad idrogeno, legami di coordinazione, ponti salini e interazioni idrofobiche.

Complessi umo-enzimatici. Questa immobilizzazione porta ad una stabilizzazione della struttura terziaria della proteina, rendendo così l’enzima più resistente alla denaturazione termica (come nel caso di fosfatasi, ureasi e proteasi). Gli enzimi si troverebbero avvolti da una maglia di molecole umiche con pori di dimensioni tali da permettere il passaggio di substrati e dei prodotti ma non delle proteasi.

La presenza di complessi argillo- ed umo-enzimatici, resistenti alla degradazione proteolitica, assicura lo svolgimento delle reazioni extracellulari e riduce la necessità di secernere continuamente enzimi da parte dei microrganismi. Nel caso che la reazione catalizzata dai complessi sia completata ed i prodotti della reazione raggiungano il microorganismo si può avere la sintesi dei relativi enzimi extracellulari necessari alla catalisi stessa. I prodotti della reazione catalizzata dai complessi possono stimolare un responso chemiotattico da parte della cellula microbica. Le molecole umiche possono avere effetti positivi anche sulle attività metaboliche delle piante: a) maggiore trasporto di nutrienti nelle cellule radicali, b) attivazione dei processi del ciclo di Krebs e maggiore produzione di ATP, c) aumento di clorofilla e di carbonio organicato e quindi maggiore ATP, d) aumento della velocità di sintesi acidi nucleici e della sintesi proteica. Le molecole umiche, una volta superata la parete e venute in contatto con il plasmalemma, possono: a) influenzare l’assorbimento degli ioni nutritivi attraverso un’influenza diretta positiva o negativa sull’attività dei carrier e delle H+-ATPasi presenti nella membrana cellulare e responsabili del trasporto attivo dei nutrienti, b) indurre un aumento di permeabilità dei fosfolipidi di membrana e quindi dei flussi degli elettroliti e non elettroliti, c) esercitare effetto positivo sull’attività metabolica in genere e conseguentemente maggiori livelli di ATP e maggiore trasporto attivo. Infine, alcuni prodotti di idrolisi degli acidi fulvici (di peso inferiore 5000 dalton) sono liberati da polcondensati umici. Essi sono l’“effettore umico” (3500 dalton), contraddistinto con la sigla HEf con attività fito-ormonali di tipo auxinico, gibberellinico e citochininico, ed il “supporto umico” (3500-5000 dalton) con la sigla HSp, biologicamente inattivo. È proprio nelle condizioni ambientali più difficili che le sostanze umiche rivelano la massima efficacia sulla crescita dei vegetali. Le secrezioni radicali e le attività del plasmalemma sono concertate quindi con l’intervento delle sostanze umiche sul metabolismo vegetale attraverso meccanismi di autoregolazione.

 

Mineralizzazione della sostanza organica e assorbimento dei nutrienti da parte delle piante

Gli elementi nutritivi (in particolare N, P, S) presenti nella sostanza organica costituiscono una riserva potenzialmente assimilabile, la cui quantità nel suolo è tale da soddisfare le esigenze colturali per numerosi anni. L’azoto nel suolo varia dallo 0,06 al 3,00% in peso ed è presente in gran parte in forma organica (95-99%). Le forme organiche devono essere convertite nella forma ammoniacale attraverso la mineralizzazione. Le piante possono assorbire sia nitrati che ammonio, anche se i primi sono maggiormente disponibili perché non trattenuti dalle superfici colloidali del suolo.

Nitrati e solfati, a causa della loro carica netta negativa, sono scarsamente interessati dai fenomeni di adsorbimento specifico e aspecifico sulle fasi solide del suolo e sono presenti a concentrazioni elevate nel suolo (0,5-3,0 M), muovendosi facilmente verso la radice sia con l’acqua, sia per flusso di massa che per movimenti diffusivi. Il fosforo è invece soggetto a rilevanti fenomeni di immobilizzazione nel suolo sia per precipitazione di sali poco solubili sia per adsorbimento specifico ed aspecifico sui colloidi del suolo. La concentrazione di ortofosfato nella soluzione del suolo è quindi molto bassa (1-2 µM) e si sposta molto lentamente per diffusione. Data la scarsissima mobilità del fosfato, solamente quello liberato dai processi di mineralizzazione nelle immediate vicinanze delle radici potrà essere utilizzato per la nutrizione mentre il restante andrà soggetto ai fenomeni di adsorbimento e precipitazione (fosforo immobilizzato).

Attraverso l’acidificazione del pH rizosferico e l’emissione di agenti chelanti e riducenti la radice riesce a migliorare le disponibilità dei nutrienti nelle più immediate vicinanze della parete delle cellule radicali. Per molti nutrienti (nitrati, fosfati, solfati, cloruri) ci vuole un trasporto attivo con proteine di membrana saturabili (carriers) e strutture proteiche non saturabili (canali ionici), come i canali idrofilici regolabili da specifici segnali. Per altri cationi invece il trasporto è passivo (Ca, Mg, Fe e Mn). Ancora, la H+-ATPasi di membrana porta H+ nell’apoplasto, creando differenze di potenziale elettrochimico e quindi un più facile assorbimento cellulare di cationi per antiporto (H+ all’esterno/K+ all’interno), uniporto (cationi che entrano per il potenziale elettrico favorevole) o simporto (due anioni escono perché all’esterno ci sono più H+).

 

Ruolo della pedofauna nell’evoluzione della sostanza organica

La pedofauna, cioè l’insieme degli animali che vivono nel suolo, comprende organismi edafobi (vivono costantemente nel suolo), edafofili (prediligono il suolo anche se ne possono uscire), edafoxeni (presenti nel suolo occasionalmente), epiedafici (vivono sulla superficie suolo), ed emiedafici e euedafici (vivono negli strati profondi). Questi organismi presentano adattamenti strutturali assai diversi, quali le dimensioni corporee, la presenza o meno di ali, strutture atte allo scavo e al salto, occhi, pigmentazione (convergenza adattativa). Si differenziano anche in base al modo in cui assorbono ossigeno: atmobios (preso direttamente dall’atmosfera) e hydrobios (preso dall’acqua). Al primo gruppo appartengono: sinfili, pauropodi, insetti apterigoti quali proturi, collemboli e dipluri, araneidi, pseudoscorpioni, opilioni, acari, crostacei isopodi, diplopodi (millepiedi), chilpodi (centopiedi), insetti pterigoti come ditteri e coleotteri, molluschi polmonati, insettivori e roditori. Dell’ hydrobios fanno invece parte: turbellari, irudinei, crostacei copepodi, oligocheti quali enchitreidi e lumbricidi, protozoi che formano cisti in condizioni sfavorevoli o si disidratano se il contenuto dell’acqua diminuisce (entrando in criptobiosi/anidrobiosi), nematodi, rotiferi, tardigradi.

È altresì importante conoscere le preferenze alimentari di questi organismi e le reti trofiche di cui fanno parte. I fungivori si nutrono di ife o spore e possono stimolare la crescita fungina asportando le ife senescenti e disseminando i propaguli. I detritivori si nutrono di sostanza organica morta, generalmente dopo che è stata colonizzata dai batteri. I protozoi possono condurre vita libera e si nutrono di microfauna, alcuni sono saprofiti e altri parassiti, commensali o predatori. Molti nematodi sono parassiti degli apparati radicali delle piante, ma una parte assai più numerosa conduce vita libera e si nutre di piccoli detriti oppure di succhi cellulari, anche predando altri organismi. I microartropodi più rappresentati sono gli Acari e i Collemboli. Le diverse componenti della pedofauna cambiano notevolmente, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. Nei campi coltivati, gli animali sono distribuiti in modo più uniforme soprattutto nei primi 15 cm di suolo, mentre a profondità maggiori si ha una riduzione qualitativa e quantitativa della fauna edafica e una semplificazione delle reti trofiche.

Una pratica agronomica che incide profondamente sulle caratteristiche della pedofauna è l’aratura, la cui azione meccanica solitamente provoca un decremento quantitativo e qualitativo delle popolazioni animali (ad es. colpiti dall’aratro, intrappolati, strato superficiale essiccato e rimozione lettiera che funge da cibo). Nei campi coltivati, inoltre, il raccolto priva il suolo dei nutrienti e i fertilizzanti di sintesi spesso non ripristinano gli equilibri naturali sconvolti. Lo stesso vale per la presenza di fitofarmaci (insetticidi, nematocidi, fungicidi, erbicidi). Altri fattori che influenzano il processo sono la copertura vegetale, il tipo di coltivazione, la quantità di acqua e il drenaggio. Gli animali del suolo contribuiscono alla demolizione della sostanza organica disgregando e lisando i tessuti animali e vegetali, rendendoli più facilmente aggredibili dai microrganismi, decomponendo selettivamente e modificando chimicamente parte dei residui organici, trasformando i residui vegetali in sostanze umiche, aumentando la superficie attaccabile, formando aggregati complessi di sostanza organica e parte minerale, rimescolando totalmente la sostanza organica negli strati superficiali del suolo (a umificazione avvenuta), ingerendo sostanza organica che viene arricchita di microorganismi e attaccata più facilmente, stabilizzando le reti trofiche (soprattutto da parte degli artropodi).

Le endomicorrize arbuscolo-vescicolari (VAM) contribuiscono al trasporto N e P dal suolo alle radici delle piante, stabilizzano i macroaggregati e interagiscono con i microartropodi. Nella zona dell’apice radicale c’è una maggiore quantità di essudati radicali prodotti dalla pianta, cioè sostanza organica ricca in carbonio che stimola la crescita del microbioma del suolo. Tuttavia, affinché possano crescere, i microrganismi devono utilizzare anche gli altri macronutrienti (N,P, S) e ciò avviene mineralizzando la sostanza organica vicino alle radici. La fauna, nutrendosi di batteri, favorisce il rilascio di elementi inorganici che diventano quindi disponibili per radici e micorrize. I Protozoi, infine, come molti altri microorganismi, producono anche sostanze ormono-simili in grado di favorire la crescita delle piante.

In un suolo ben gestito, in cui avviene la decomposizione del materiale organico e il riciclaggio dei nutrienti minerali, la presenza di microartropodi, che occupano tutti i livelli trofici dei detritivori della catena alimentare, può offrire il vantaggio di un rilascio di minerali continuo e regolato. Ciò non si verifica in suoli degradati, in cui i microartropodi sono spesso assenti. Questo lento rilascio è dovuto al fatto che le varie sostanze vengono trattenute per un certo tempo nei tessuti degli animali. A seguito del processo respiratorio, il carbonio ritorna come CO2 all’atmosfera. Attraverso il processo di umificazione, al contrario, il ritorno del carbonio in CO2 atmosferico richiede tempi estremamente più lunghi (anche decine di anni). I principali fattori che regolano la decomposizione delle molecole umiche sono il contenuto di sostanza organica, il tipo di lavorazione (aratura, sarchiatura, ecc.), la temperatura, l’umidità, il pH, la profondità e l’aerazione. I substrati freschi hanno la facoltà di accelerare o di ridurre il tasso di decomposizione delle molecole umiche (priming effect o azione d’innesco), ma hanno un peso anche l’età delle piante, il contenuto in lignina, il grado di disgregazione del substrato, la concentrazione di ossigeno, e il rapporto C/N del materiale vegetale. Il contenuto in lignina è spesso più limitante del rapporto C/N per la degradazione. Nel corso della mineralizzazione di materiale contenente modeste quantità di azoto, il rapporto C/N tende a decrescere nel tempo e ciò è dovuto alle perdite di carbonio come CO2, mentre l’azoto permane in combinazione organica. Nel corso della decomposizione, la percentuale di N nelle sostanze umiche aumenta di continuo e la curva si avvicina asintoticamente a 10, il rapporto C/N ideale. D’altro canto, I microrganismi provocano variazioni del potenziale redox tramite il consumo di O2 e la liberazione di prodotti ridotti. La quantità, la natura e la disponibilità di sostanza organica determina quindi la consistenza e la composizione delle popolazioni eterotrofiche che il suolo ospiterà.

 

Aspetti agronomici del ciclo della sostanza organica

Negli attuali sistemi agrari, il ciclo della sostanza organica nel suolo risulta nettamente sbilanciato verso le fasi cataboliche o di mineralizzazione, mentre penalizzate risultano quelle anaboliche, di accumulo dei residui organici e di umificazione. L’agricoltura è così divenuta una attività eminentemente economica con sistemi di gestione tipici delle imprese industriali. A livello di ecosistema, la sostanza organica del suolo è l’elemento chiave per capire il funzionamento degli agro ecosistemi, rappresentando contemporaneamente un punto di arrivo e di partenza del ciclico evolversi dei processi di organizzazione della materia. La fertilità del suolo, ossia la sua attitudine a mantenere nel tempo colture produttive, dipende dal rifornimento in sostanza organica e quindi dall’entità dei residui colturali. Diventano così fondamentali le scelte che prevedono la presenza/assenza di animali, la dislocazione delle colture nello spazio (monocolture o consociazioni) e nel tempo (monosuccessioni e rotazioni) per un’armonica interazione dei principali componenti dell’agroecosistema: produttori (colture), animali (consumatori) e microrganismi del suolo (decompositori). La sostanza organica, conferendo al substrato detritico gli attributi di maggiore capacità per l’acqua e di riserva di energia e di elementi nutritivi, investe così il suolo di una nuova proprietà emergente: la fertilità.

La cotica erbosa è costituita da tre piani quasi sovrapposti di radici: quelle fittonanti (apice verso il basso) delle leguminose esplorano e drenano di elementi nutritivi negli strati più profondi; quelle delle graminacee a cespo lasso (fascicolate: numerose radici, ciascuna delle quali ha ramificazioni laterali) attingono dall’orizzonte concrezionale (dove abbondano P, Ca e Fe); e quelle delle graminacee rizomatose (rizoma: fusto perenne sotterraneo e funzionante come organo di riproduzione vegetativa) arricchiscono l’orizzonte superficiale dopo la loro decomposizione. Le piante, che a livello di capillizio radicale non possono tollerare periodi prolungati di siccità, utilizzano gli spazi tra i grumi per diffondersi, mentre localizzano le loro superfici assorbenti preferibilmente all’interno dei grumi, dove l’acqua viene trattenuta contro la gravità ma rilasciata facilmente alle radici (si parla di grumi o aggregati di 500-2000 µm).

A titolo di esempio, una classica terra nera o “cernozem” della Russia meridionale, che corrisponde alla fase pedogenetica con il massimo grado di fertilità, contiene dal 4 al 10% di sostanza organica. La messa in coltura di un suolo vergine può provocare, dopo 50 anni di coltivazione, la diminuzione del 25-50% di sostanza organica. La tendenza alla diminuzione della sostanza organica del suolo con la coltivazione può essere tuttavia contrastata mediante l’adozione di pratiche agronomiche e (rotazioni, letamazioni, sovesci) che mirano a potenziare il flusso di carbonio al suolo e quindi a ripristinare ciclicamente livelli accettabili di fertilità. In accordo con la regola di Van’t Hoff, la velocità delle reazioni biochimiche risulta positivamente correlata al livello di temperatura, con un aumento di 2-2,5 volte per ogni 10 °C di variazione. La tessitura del suolo influisce sul tasso di decomposizione della sostanza organica non solo in maniera indiretta, influenzando i rapporti aria-acqua che regolano l’attività microbica, ma anche in maniera indiretta, per il ruolo stabilizzante della sostanza organica da parte delle particelle argillose, originando composti umo-minerali più resistenti all’attacco microbico. Le perdite di sostanza organica si accentuano nei suoli a tessitura più grossolana. L’aratura redistribuisce la sostanza organica, con un relativo arricchimento in profondità e un depauperamento in superficie. Il succedersi di stati umidi e secchi e l’effetto delle lavorazioni provocano la rottura degli aggregati che sono cementati dalle sostanze umiche e si ha la disponibilità di nuovi micrositi dove previamente la sostanza organica era fisicamente inaccessibile all’attacco microbico. Con le lavorazioni, nel complesso, viene ad essere sensibilmente influenzato il ciclo della materia nell’ambiente, con un progressivo impoverimento delle riserve di sostanza organica e di elementi biogeni nel suolo e un parallelo aumento degli stessi nelle acque (eutrofizzazione). Tanto i componenti idrolizzabili (amminoacidi, ammonio prodotto dalla idrolisi acida, esoammine e altre forme non identificate) quanto quelli non idrolizzabili sono suscettibili di mineralizzazione e di conseguenti perdite in seguito alla coltivazione. Non è possibile fissare un valore preciso per il livello di sostanza organica che dovrebbe essere mantenuto nel suolo ma si indica un valore orientativo del 3% in peso (1,7% di carbonio organico quando si assume che la sostanza organica contenga il 58% di carbonio) come soglia al di sotto della quale la struttura diventa instabile.

I trattamenti con erbicidi (diserbo chimico) e l’assenza di lavorazioni si risolvono in un naturale consolidamento e in una compattazione meccanica della superficie del suolo, attraverso l’incremento della densità apparente e la riduzione della porosità totale, minore aereazione e mineralizzazione, effetto pacciamante da parte della vegetazione disseccata dagli erbicidi, e conseguente più lenta decomposizione della sostanza organica. I fitofarmaci vengono degradati dai microrganismi e quindi forniscono una riserva aggiuntiva di carbonio organico ma possono essere anche tossici e influenzare l’entità delle popolazioni microbiche e i cicli degli elementi nutritivi. La fertilizzazione (organica e minerale) e la rotazione colturale riequilibrano il dissesto nel bilancio della fertilità, consentendo un maggiore sviluppo degli apparati radicali delle colture e quindi un maggiore apporto di residui a disposizione per i successivi processi di umificazione e mineralizzazione. Oltre all’azione sulla vegetazione colturale, si attribuisce alla concimazione minerale un ruolo di promozione (priming effect) nello stimolare la mineralizzazione della sostanza organica del suolo. È da sottolineare anche il ruolo importante degli avvicendamenti colturali che lasciano residui vegetali su suolo. Infatti, la fertilità del suolo si mantiene nel tempo attraverso un’opportuna successione di colture di diverso tipo (da rinnovo, depauperanti e miglioratrici). La leguminosa erba medica, ad esempio, è una coltura ad elevata potenzialità produttiva che, senza somministrazione di alcuna concimazione azotata, riesce ad accumulare annualmente un quantitativo di biomassa aerea pari a quello ricavato da altre colture foraggere, come loietto e mais, però largamente concimate con azoto.

Il letame è stato definito principe dei concimi perché ha un lento rilascio degli elementi minerali, che è garanzia di prevenzione nei riguardi delle perdite per lisciviazione, denitrificazione e volatilizzazione; apporta materiale organico già in parte stabilizzato (per l’elaborazione microbica subita in concimaia) ed è quindi idonea ad aumentare il contenuto di humus del suolo. Il suo rapporto C/N (10-12, vicino a quello dell’humus) non induce problemi di immobilizzazione azotata; è ricco infine di microrganismi che mantengono una sana attività biologica del suolo. La paglia invece ha un C/N pari a 80-100 e quindi a causa del processo di immobilizzazione microbica viene utilizzato l’azoto inorganico del suolo, che quindi viene sottratto alle colture successive; è quindi necessario somministrare quote aggiuntive di concime minerale azotato. Il sovescio è la coltivazione di specie destinate ad essere interrate, soprattutto leguminose, in relazione al loro apporto di azoto grazie alla simbiosi con i rizobi, ma anche crucifere e graminacee. Se il rapporto C/N del materiale interrato è di circa 20, la mineralizzazione può intervenire nel giro di una settimana (green manuring: concimazione verde). Per quanto riguarda i fanghi di risulta, essi sono derivati melmosi (contenuto di acqua intorno al 90%) che derivano dal trattamento di depurazione delle acque di fogna urbane, degli scarichi industriali, ecc. Possono contenere virus, batteri sostanze tossiche, nitrati e cationi, e provocare fenomeni di salinità del suolo, modifiche del pH, eccesso di fosforo e altri nutritivi. I rifiuti solidi urbani invece andrebbero impiegati come compost, facendo decomporre biologicamente la sostanza organica in idonei digestori e poi facendo maturare il materiale derivato all’aria aperta, affinché si raggiunga un idoneo grado di umificazione. È importante che sia di buona qualità e maturo al fine anche di migliorare lo stato sanitario delle colture per la capacità di soppressione manifestata verso i funghi fitopatogeni del suolo. Infine è importante anche citare l’agricoltura biologica, cioè l’esercizio dell’agricoltura senza far ricorso all’ausilio di prodotti chimici di sintesi, siano essi concimi o mezzi di difesa o di promozione della crescita. Essa prevede minori input esterni, massima intercettazione dell’energia solare attraverso ordinamenti colturali più complicati nello spazio e nel tempo (consociazioni, rotazioni, colture intercalari), sovescio, apporto di deiezioni animali, letame e compost.

 

[continua…]

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