Set
13
2011
0

Il ritorno del Carnevale – V Edizione

Dopo la pausa estiva rieccoci qui a riproporvi la nostra iniziativa, il Carnevale della Biodiversita’, in cui i principali bio-blogger italiani si cimentano su uno specifico tema, che sviluppano sulla base delle loro inclinazioni e competenze. Sinora i risultati sono stati superiori a tutte le aspettative, del che siamo molto soddisfatti, e speriamo di poter continuare a stimolare la curiosita’ e gli interessi di chi partecipa sia leggendo che scrivendo.

Ecco I link alle passate edizioni:

I – Infinite forme bellissime

II -Biodiversita’ e adattamenti

III – Le dimensioni contano

IV – Alieni tra noi

Torniamo ora alla carica proponendovi un tema che sara’ ancora una volta una sfida e una provocazione:

AI CONFINI DELLA REALTA’: NICCHIE ESTREME

Il blog ospite questa volta sara’ Theropoda, e la data di pubblicazione di questo carnevale sara’ una difficile da dimenticare, il

12 Ottobre 2011 , data in cui tutti i post verranno pubblicati simultaneamente dai blogger

Perche’ e’ una data difficile da dimenticare? Perche’ e’ la data della scoperta dell’America, e vorremmo che questo Carnevale ci parli di scoperte grandi e piccole nel campo della biodiversita’.

FAQ:

D. Ho un blog in cui parlo di biologia e vorrei partecipare, come faccio?

R. Semplice, manda una email di adesione a questo indirizzo e il comitato direttivo valutera’ la candidatura (per mantenere alti gli standard siamo costretti a fare una minima selezione, della qual cosa ci sentiamo comunque molto in colpa). Chi ha gia’ partecipato   verra’  invece contattato in privato dal Comitato.

D. Non ho mai partecipato alle precedenti edizioni, posso partecipare a questa?

R. Certamente, tutti i bio-blogger sono benvenuti

D. A chi mando il mio post dopo che l’ho scritto?

R. I contributi al Carnevale vanno inviati ad Andrea Cau, l’autore di Theropoda, a questo indirizzo

D. Entro quando posso mandare la mia candidatura per partecipare?

R. Possibilmente entro il 2 Ottobre

D. Entro quando posso mandare il mio post a Theropoda per l’inclusione nella rassegna del Carnevale?

R. Entro e non oltre il 10 Ottobre, per dare tempo ad Andrea di leggere il post e recensirlo nella rassegna. Ritardi nell’invio del post potrebbero portare all’esclusione dal Carnevale

D. Ho una domanda sul Carnevale e vorrei discuterne in privato, con chi posso parlarne?

R. Puoi rivolgerti ad uno qualsiasi (o a tutti e tre in CC) del comitato direttivo, Livio Leoni, Marco Ferrari o Lisa Signorile

Vi aspettiamo!

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Set
10
2011
0

I pionieri della vita

Le mie fissazioni al tempo dell’università erano tante (mai come quelle di ora) ma, tra queste, ricordo con piacere i Cianobatteri. Spero ancora di poterli studiare bene un giorno, o almeno osservarli con calma al microscopio perché ricordo ancora la bellezza di quando li vidi per la prima volta. A quel tempo, tra gli argomenti preferiti c’erano loro, al confine tra i batteri e le alghe. Mi piacevano già per il loro nome alternativo, molto equivoco: “alghe azzurre”, anche se sono batteri veri e propri e per niente alghe.

La stranezza di questi organismi sta infatti già nel loro nome. Sono chiamati infatti Cianobatteri, Cianofite, Alghe azzurre, Cianobatteriofite, ecc. ecc. Ma qual è il nome più appropriato? Ebbene, non sono alghe, ne’ protisti (dal momento che le alghe unicellulari sono profondamente diverse in quanto hanno un organizzazione cellulare con nucleo e parete, tipica della cellula eucariotica). Essi sono veri e propri batteri, quindi procarioti, privi di un nucleo, con un’organizzazione (uni)cellulare “semplice” (il loro DNA è lungo mediamente 5-10 milioni di basi) e un metabolismo molto plastico e adattabile. Sembrerebbe giusto quindi chiamarli “Cianobatteri”. “Ciano” perché il loro colore va dal verde all’azzurro pallido e tingono di questi colori le acque costiere in cui vivono.

Sono conosciute circa 7000 specie di Cianobatteri. Sono considerati veri e propri organismi “pionieri” perché arrivano per primi negli ambienti più inospitali, piantano la bandiera nelle nicchie ecologiche completamente libere, come quelle che si creano dopo un’eruzione vulcanica, e spianano la strada per le specie che si insediano dopo di loro. Dove vivono? In acque salate, salmastre e dolci, su rocce umide, in cortecce di alberi, in terreni saturi di acqua, nelle risaie, in simbiosi con funghi, nel terreno, nelle foglie di alcune piante tropicali e in tubercoli radicali associati alle radici. Praticamente dappertutto. Le loro forme, bellissime e svariate, vanno dalla quella a fusillo di Spirulina, a quella di fagiolino vibrante di Oscillatoria, a quella a spermatozoo di Gloeotrichia, e infine a quella a cloroplasto serpeggiante di Spirogyra, il cui nome è facilmente deducibile dal video qui in basso!


Dal momento che sono batteri, quindi organismi molto “plastici” e adattabili, si moltiplicano rapidamente se posti in condizioni adatte e alcune specie sono anche coloniali e mostrano un primo accenno di differenziazione cellulare (cioè non tutte le cellule hanno lo stesso compito). Riescono a sopravvivere nelle condizioni più estreme trasformandosi in spore attraverso un processo chiamato sporulazione.

La cosa stupefacente di questi organismi è che sono completamente autosufficienti: riescono a produrre autonomamente tutto ciò che a loro serve. Alcune specie di Cianobatteri sono completamente autotrofe e non hanno bisogno di nulla fuorché di luce solare.

Prima di tutto sono fotosintetici (foto-autotrofi) come le piante, e quindi in grado di sintetizzare carboidrati partendo da luce, acqua e sali minerali. Di acqua ne hanno in abbondanza, dal momento che sono organismi acquatici. Per quanto riguarda la luce, tendono a disporsi nei primi strati di acqua (zona fotica, dove c’è luce, insomma), in modo tale da averne a sufficienza ma contemporaneamente proteggendosi dall’eccesso di radiazione ultravioletta (che quasi si azzera già a basse profondità). La loro fotosintesi è molto efficiente perché riescono a sfruttare tanti tipi di radiazioni grazie alla presenza di altri pigmenti oltre alla clorofilla. Hanno infatti organelli chiamati ficobilisomi, contenenti ficobiline – che sono pigmenti proteici – e clorofilla di tipo “a”, due efficaci pigmenti per catturare luce di diverse lunghezze d’onda, oltre ad una serie di altri pigmenti appartenenti ai carotenoidi e alle xantofille. I carboidrati che producono vengono poi respirati per produrre energia per campare. Sono stati loro che per primi hanno inventato il tipo di fotosintesi che oggi si trova in tutte le piante; anzi, curiosamente sono stati loro che l’hanno trasferita alle piante (se siete curiosi, cercate su Google se vi va “teoria endosimbiontica dei cloroplasti” oppure, più semplicemente, guadate il video qui sotto).


Alcuni generi di Cianobatteri sono in grado di fissare l’azoto (es. i due generi coloniali Nostoc e Anabaena) e solo pochi di vivere in simbiosi. Per quanto riguarda l’azoto, non devono penare come tutte le piante che lo assorbono a spese di energia dal terreno, ma sono in grado di fissarlo dall’aria, trasformandolo in azoto organico! Nell’aria, di azoto ce n’è tanto e quindi non hanno problemi. Nelle specie azotofissatrici filamentose (l’organizzazione è sempre unicellulare ma nei Cianobatteri più evoluti più cellule si uniscono in catenelle e alcune di esse si specializzano) ci sono cellule speciali, chiamate eterocisti, con una parete cellulare più spessa che non lascia passare ossigeno e idrogeno gassosi, i quali inibirebbero la nitrogenasi e quindi la fissazione dell’azoto.

I sali minerali (di fosforo, potassio, zolfo soprattuto) sono disciolti nelle acque basse in cui vivono, oppure sono fornite dai funghi, con i quali alcune specie di Cianobatteri vivono in simbiosi obbligata con dei funghi, formando così il 50% di un lichene.

Se la luce non c’è, il cianobatterio medio non rimane fermo ma si muove grazie gonfiando e sgonfiando i suoi gas vacuoli (sacchettini ripieni di gas), che gli permettono di spostarsi su e giù lungo la colonna d’acqua. Se le condizioni ambientali diventano sfavorevoli, ecco che la creatura produce delle cisti durature (acineti o nannociti) che poi “germinano” quando la situazione ritorna buona. Nelle specie filamentose le colonnine di cellule si “spezzano” a livello di cellule che fungono da punto di rottura chiamate necridi.
E’ davvero troppo per un organismo vivente e fa pensare a tutte le cose di cui invece noi abbiamo bisogno per vivere!
Grazie e tutte questo arsenale di sopravvivenza, i Cianobatteri prosperano sulla Terra da 3,6 miliardi di anni (come dimostrano gli Stromatoliti (foto all’inizio di questo posto), antichissime rocce calcaree sedimentarie organogene:; alcuni esobiologici affermano di aver trovato tracce di ciano batteri fossili anche in meteoriti e ipotizzano così un’origine esogena della vita sulla Terra). Anzi, grazie all’inquinamento delle nostre coste, proliferano dando luogo a “fioriture” spettacolari perché hanno fonti inesauribili di potassio e azoto derivanti prevalentemente da scarichi fognari e domestici. L’importante per loro è che le acqua non siano torbide, se no addio luce, addio fotosintesi e addio mondo.

Partiamo allora tutti insieme con la preghiera al dio Cianobatterio.

1. Grazie Cianobatterio e all’ossigeno da Te prodotto. Da 2,7 miliardi a 200 milioni di anni fa, infatti, l’atmosfera si è arricchita di ozono, schermo efficace contro i raggi ultravioletti più dannosi, permettendo così l’instaurarsi della vita sulla terraferma. I Protozoi ancora non c’erano (600 milioni di anni fa sono comparsi i primi) e delle piante terrestri non c’era nemmeno l’ombra (dal momento che non c’erano le chiome degli alberi… battuta squallida, lo so), perché queste ultime sono comparse nel Siluriano, circa 400 milioni di anni fa. Insomma: senza di loro non ci saremmo stati neanche noi, e questo la dice lunga.

2. Grazie a Te, Cianobatterio, l’Asia mangia e le risaie sono gli ecosistemi antropici più duraturi nel tempo (sono produttive da migliaia di anni senza mai perdere di fertilità). L’azoto atmosferico viene infatti continuamente fissato da specie di Cianobatteri libere nell’acqua (es. Nostoc e Anabaena) e trasferito poi al terreno e quindi alle piantine di riso, che sono così naturalmente fertilizzate.

3. Grazie, o Cianobatterio, perché probabilmente da Te in futuro sarà possibile produrre etanolo a buon mercato da utilizzare come biocombustibile per le auto. Sembra infatti che alcuni Cianobatteri siano una fonte potenzialmente poco costosa per produrre zuccheri, da cui poi ricavare etanolo combustibile per fermentazione. Inoltre, coltivandoli in terreni non agricoli, molti Cianobatteri sarebbero in grado di crescere anche in acqua salata, quindi inadatta al consumo umano e all’irrigazione delle colture.

4. Infine, grazie Cianobatterio perché così anche gli studiosi di Cianobatteri possono campare di ricerca.

A volte i Cianobatteri sono estremamente dannosi, in quanto causano temibili fenomeni di eutrofizzazione e “fioritura algale” (con conseguente moria di organismi acquatici per asfissia e fenomeni putrefattivi) oppure producono tossine mortali, altri sono un flagello per gli appassionati di acquari perché formano dei fastidiosi filamenti che soffocano i pesciolini sia fisicamente che per mancanza di ossigeno (vedete qui in basso)


Non vi annoio più con tutte queste nozioni e lascio parlare alcune immagini.

Alla prossima!

Grazie a loro, ho scritto:

 

Cyanophyta. In: http://www.dipbot.unict.it/sistematica/Cyanoind.html

Filippo M. Gerola (1995) Biologia Vegetale – sistematica filogenetica (II ed.), UTET

I nuovi Cianobatteri e la prossima generazione di Biocarburanti. I nuovi microbi utilizzati per produrre etanolo, così l’interessante “invenzione” apre verso nuovi orizzonti sostenibili. In: http://www.genitronsviluppo.com/2008/04/29/i-nuovi-cianobatteri-e-la-prossima-generazione-di-biocarburanti-i-nuovi-microbi-utilizzati-per-produrre-etanolo-cosi-linteressante-%E2%80%9Cinvenzione%E2%80%9D-apre-verso-nuovi-orizzonti-sostenibi/

New Study Adds to Finding of Ancient Life Signs in Mars Meteorite. In: http://www.nasa.gov/centers/johnson/news/releases/2009/J09-030.html

Ray F. Evert (2006) Esau’s Plant Anatomy. Meristems, Cells, and Tissues of the Plant Body: Their Structure, Function, and Development. Third Editio. John Wiley & Sons, Inc.

Appunti, ricordi, riflessioni e considerazioni varie

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Set
01
2011
0

Grande è bello

 

Gli appunti universitari di ecologia risvegliano antichi dilemmi. Sembra che un organismo più piccolo significhi avere un metabolismo più veloce, una vita più corta, una maggiore temperatura corporea, e una maggiore capacità di riprodursi e di lasciare progenie che non viene curata più di tanto (strategia “r”, la chiamano). Facendo un paragone “astronomico”, gli organismi piccoli sembrano condurre una esistenza lampo così come una stella più grande e calda esaurisce prima il proprio combustibile idrogenato e vive milioni invece di miliardi di anni prima di scomparire. A pensarci bene è così; almeno negli animali, gli organismi piccoli vivono di meno e danno l’impressione di essere veloci, scattanti, brulicanti, ricchi di vita, con l’unico fine di riprodursi (penso agli insetti, ai vari vermi, ma anche a topi, conigli, gatti, ecc.). Se penso ai microrganismi unicellulari, procarioti o eucarioti che siano, il senso di brulichio e moltiplicazione è ancora più impressionante, al punto che già li vedo scindersi, gemmarsi, sporulare, coniugare; insomma ogni modo è buono per scambiarsi materiale genetico, dividersi e aumentare il numero di cospecifici.

La spiegazione che viene fornita a queste differenze tra organismi piccoli e grandi è quasi sempre la stessa: nei più piccoli il rapporto superficie/volume è maggiore, e gli scambi con l’ambiente esterno più elevati. Mi spiego meglio. A parità di forma – paragoniamo due sfere – quella più piccola avrà sicuramente meno volume e superficie di quella più grande (e fin qua ci siamo) ma il loro rapporto cambierà perché, all’aumentare del volume, questo cresce al cubo mentre la superficie al quadrato. Facendo un po’ di calcoli, ci si convince facilmente. La superficie di una sfera è 4πr2, mentre il suo volume 4/3πr3. Se la sfera ha un raggio di 1 m, la sua superficie è 12,56 m2, il suo volume 4,19 m3, il rapporto superficie/volume 3. Se il raggio diventa di 2 m, gli stessi valori diventano rispettivamente 50,24 m2,  33,49 m3 e 1,50. Una bella differenza, causata solo da un metro di differenza di raggio. Ma gli esseri viventi, ad eccezione dei Barbapapà, non sono sfere, hanno le loro “infinite forme bellissime”, e miriadi di attributi oltre alla forma. Questo è vero, ma è altrettanto vero che se c’è una fonte di calore al centro della sfera di 2 m, questo si disperderà più lentamente e difficilmente rispetto a quanto avviene nella sfera piccola. La sfera piccola, per mantenere una temperatura simile a quella della sfera grande, dovrà bruciare più combustibile nella sua fornace o bruciarne più velocemente, altrimenti si raffredderà. Nel caso di un organismo piccolo, esso dovrà avere un metabolismo più elevato e, poiché il metabolismo è paradossalmente alla base della nostra vita ma anche della nostra morte (il discorso qui sarebbe lungo), vivrà di meno.

Il discorso è valido non solo a livello di intero organismo ma a tutti i livelli, per esempio basta pensare che, a parità stavolta di dimensioni,  i tessuti che devono scambiare, disperdere, assorbire gas, calore, sostanze con l’ ambiente esterno sono formati da strutture piccole e ramificate, in modo da avere una maggiore superficie di scambio (penso alle branchie, agli alveoli polmonari, ai capillari, ai villi intestinali, alle radici delle piante, ma probabilmente ci sono innumerevoli altri esempi).

Cosa succede nelle piante? Sulla più autorevole e accessibile fonte del sapere, Wikipedia, da cui hanno preso spunto quasi tutti i testi di ecologa vegetale, leggo che “nella strategia r, propria delle piante, dei microrganismi, dei funghi, della maggior parte degli animali (soprattutto fra gli Invertebrati), l’energia è investita nel produrre un elevato numero di gameti e zigoti; dall’impatto con l’ambiente si avrà un’elevata mortalità, ma il numero di discendenti che sopravvivono e giungono alla maturità sessuale è così alto, in termini assoluti, da permettere anche temporanee fasi di crescita esponenziale.”

Quindi le piante sono organismi a strategia r e come tali dovrebbero avere piccole dimensioni, elevata prolificità, cicli di sviluppo brevi, intenso ricambio generazionale, elevata mortalità; e assenza di cure parentali.

In parole povere, le piante dovrebbero essere assimilabili agli invertebrati, e difatti generalmente generano uno sterminato numero di embrioni (semi) che si disperdono in qualche modo nell’ambiente e dei quali sono un piccolissima percentuale germina e dà origine ad individui adulti. Ma una pianta grande ha un metabolismo più veloce di una pianta piccola? Misurare il metabolismo di una pianta, soprattutto quello delle radici, non è così facile come negli animali, ma possiamo tentare di rispondere.

Innanzitutto, è vero che le piante hanno generalmente una strategia r? Ricordo che nelle Gimsnosperme (Conifere) e nelle Angiosperme (piante a fiore), la pianta madre ospita sia il gametofito (una pianta microscopica ma comunque diversa dalla pianta madre) e il nuovo embrione dello spermatofito. Cioè, più che una pianta madre è una pianta “nonna” che ospita altre due generazioni prima che il seme si disperda. Nelle piante a fiore, poi, il seme è protetto dal frutto, derivante solitamente dall’ovaio della pianta madre, e lo stesso seme possiede tegumenti protettivi derivanti dalla pianta madre. Quindi ci andrei cauto a dire che le piante non hanno meccanismi di protezione in qualche modo assimilabili alle cure parentali degli animali.

Per quanto riguarda invece le dimensioni, dando per scontato che la forma delle piante sia simile in quasi tutte le specie (cosa non vera ma, almeno nelle le piante terrestri, si riscontrano di solito radici, fusto e foglie) è vero che le piante, forse al pari o più degli animali, hanno un’incredibile varietà di forme, passando dalle sequoie giganti californiane che arrivano fino a 120 m, fino alle alghe unicellulari del genere Chlamydomonas, gradi circa 25 micron (0,025 millimetri). Se le sequoie vivono di più rispetto alle alghe, e quindi vale la regola del minor rapporto superficie/volume degli organismi grandi, è anche perché sono più differenziate e resistenti grazie ai tessuti lignificati e suberificati. Un paragone più calzante potrebbe essere fatto tra piante annuali/biennali (molte piante erbacee) e perenni (alberi di solito), ed effettivamente questi ultimi sembrano vivere molto di più e avere un ciclo vitale più lento, nell’ordine mediamente delle decine di anni. Ma anche tra gli alberi le differenze sono marcate, più di quelle che ci possono essere tra un elefante e un topolino (che in fin dei conti appartengono alla stessa classe), e non sempre determinate dalle dimensioni. L’olivo è una pianta longeva, che può vivere mediamente centinaia di anni, ma alberi relativamente “piccoli” come il tasso possono raggiungere i millenni, pur avendo una forma e una dimensione non molto diversa da quella di abeti e pini. Gli esempi sono tantissimi e non intendo annoiarvi ancora, ma qual è la conclusione che posso trarre?

Ad esclusione delle alghe unicellulari, assimilabili ai protozoi animali, le piante pluricellulari hanno un’estrema variabilità non solo per forme e dimensioni, ma anche per tipo di metabolismo, ciclo vitali e presenza/assenza di metaboliti secondari (sostanze come terpeni, polifenoli, tannini, alcaloidi, ecc., prodotti in misura e modo diverso dalle diverse specie vegetali e che conferiscono resistenza a condizioni ambientali avverse e organismi patogeni). Per così dire, il metabolismo vegetale è più complesso e variabile tra specie e specie. Mi sembra quindi che le differenze metaboliche tra una spugna e un primate siano in qualche modo minori rispetto a quelle presenti tra un muschio e un faggio. Sebbene la vita media delle piante sia correlabile alle loro dimensioni, la loro variabilità inter-specifica è troppo alta e sarebbe interessante applicare test statistici per determinare se c’è una vera e propria correlazione tra dimensione e durata della vita, come hanno finora fatto gli ecologi per molte specie di animali. Per quanto riguarda la classificazione delle piante come specie a strategia r, che ho riscontrato in quasi tutti i libri di ecologia, anche qui farei delle opportune distinzioni tra pianta e pianta e lascerei questa classificazione solo per gli animali.

E con questo, ho concluso!

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