Ott
21
2013
1

Si dà da fare, la signora

Camminando sovrappensiero per i corridoi dell’università si fanno strani incontri, come questo:

 

 Il mostro del corridoio.

 

Era una mattina buia e tempestosa; no, suona scontato; era una mattina come tutte le altre e quella davanti a me sembrava una normalissima pianta con foglie belle grandi e carnose di forma triangolare. Insomma, una pianta grassa come tante altre, e anche bella dritta e alta (più di un metro di sicuro). Lo sguardo si posò sulle belle foglie: lunghe più di dieci centimetri, dentellate, di colore verde bronzato. Proprio belli quei margini leggermente seghettati, davvero elegante per essere una pianta grassa, chissà i che colore avrà i fiori, sarà stata portata qui da qualcuno ma proverrà da molto lontano, forse somiglia ad una che ho sul balcone ma mi sa che mi sbaglio, ma proprio belle quelle foglie… le foglie?! Dio mio, cosa c’è sui bordi delle foglie?!? E quanti sono! Ma cosa diavolo sono? Allungo la mano e li tocco ma i piccoli mostri sulle foglie si staccano al tatto e mi finiscono in mano. Cavolo, questa pianta ha parassiti fogliari con una strana forma, cioè a guardarli bene sembrano piante, forse una specie di pianta parassita (un vischio delle crassulacee?), ma certo che somigliano però proprio tanto a lei; oddio, SONO lei e SONO tanti, SONO centinaia su tutte le foglie (foto in basso).

 

I propargoli sulla pianta e sulla mano dell’autore. Si notano bene le radichette aeree.

 

La risposta ad una mia mail con attached foto mi conferma il genere e aggiunge il dettaglio della specie. Il responso è: Kalanchoe daigremontiana (Hamet & Perrier), originaria del Madagascar ma abbastanza diffusa in vaso da noi. E via con libri vari, Google Scholar e download di pdf per cercare di saperne di più. Leggo e riporto: “Questa pianta si riproduce formando tante piccole plantule di forma elicoidale, sul bordo di ciascuna delle foglie carnose e triangolari, tra un dente e l’altro; quando queste plantule cadono radicano efficacemente anche su ridotte porzioni di terriccio”. Si trattava quindi di riproduzione vegetativa (non sessuale, quindi) con la presenza di propaguli avventizi che, cadendo al suolo, danno origine a nuove piantine che radicano immediatamente. Le cose ai bordi delle foglie erano appunto questi propaguli, le piantine figlie. Ecco anche spiegato il nome comune in lingua angolosassone: mother of thoudands (madre di migliaia).

E da cotanta mamma non possono che nascere pargoli simili a lei. Dal momento che da un punto di vista botanico possono essere definiti propaguli, da ora in poi li chiameremo propargoli. Le piante sono organismi dalle mille potenzialità; il fatto di non possedere organi centralizzati (che so tipo il cuore, il cervello) è una necessità ma anche una virtù. Sessili, sottoposte ad intemperie, incendi e minacciosi erbivori, non possono permettersi di perdere qualcosa di importante, pena la morte. Quindi sono diventate modulari, un po’ come avviene per i metameri di alcuni animali, e ogni modulo fa un po’ di tutto, come riprodursi. La pianta può permettersi di perderne qualcuno senza morire. E se non ci sono partner vicini, le piante fanno facilmente a meno della riproduzione sessuale, e si auto-generano vegetativamente, cioè da parti della stessa pianta madre (nel caso della K. daigremontiana, dai margini delle foglie). Questo è un vantaggio, soprattutto perché le piante grasse fioriscono poco – pensate al cuscino della suocera, per la quale occorre aspettare anche 40 anni, o le agavi, che fioriscono dopo svariati anni – e sono di solito specie che generalmente si affidano alla riproduzione sessuale quando le condizioni ambientali diventano molto difficili e serve variabilità. Tra le crassulacee, ci sono molte specie che, davanti ad un problema, si comportano come “escaping”, scappano e tendono a evitarlo in tutti i modi, ad esempio accorciando il ciclo vitale o svolgendo alcuni compiti solo quando il problema non c’è o è di minore entità (penso alla traspirazione, che svolgono di notte, o appunto alla riproduzione vegetativa “a fotocopia” che a qualche piantina su un migliaio darà pure una possibilità di campare decentemente). La riproduzione vegetativa, che non passa da stami, pistilli, api e fecondazioni varie, è piuttosto antica e risale alle prime piante terrestri, le briofite (muschi e licheni), dove il fusticino si frammentava facilmente producendo spore vegetative che davano origine a nuovi individui. Però pure molte alghe e piante acquatiche lo fanno e financo alcune pteridofite (felci), che producono gemme in varie parti del loro corpo.

 

I propargoli di Kalanchoe che ho raccolto stanno già crescendo.

 

Come ho accennato prima, tutte le cellule vegetali – e non solo i meristemi (punte di germogli e radici) – sono teoricamente totipotenti , in un certo qual modo dei tuttofare; e questo vale soprattutto per quelle più indifferenziate. In alcuni casi, cellule mature e differenziate diventano di nuovo embrionali e poi meristematiche, in rado di formare nuovi tessuti diversi da quelli di partenza (pensate al caso drastico al tronco di un albero tagliato di netto, che poi lentamente rigenera la chioma, come per la coda mozzata di una lucertola; o alla cicatrizzazione di una corteccia ferita da parassiti, similmente alle nostre ferite). Nel caso dell’albero capitozzato, si parla di un vero e proprio processo di reiterazione, cioè la ripetizione di una fase di crescita; ma ci sono anche casi meno “drastici” di reiterazione: i bulbilli sulle infiorescenze dell’aglio e della cipolla, sulle foglie delle orchidee di palude (Hammarbya paludosa), i turioni delle piante acquatiche o degli asparagi, e appunto le mini piantine – alias propargoli – di alcune specie di Bulbophyllum e Kalanchoe, che adottano una strategia molto simile alla viviparità animale.

 

Bulbilli di aglio, orchidea di palude e sassifraga (dettagli nel testo).

 

Alcune specie di felci, muschi e piante a fiore sono in grado di produrre dei bulbilli in differenti posizioni: sul margine delle foglie come nella nostra Kalanchoe e in molte felci, o sull’ascella delle foglie come nella sassifraga (Saxifraga granulata). I bulbilli possono rimanere in forma i piccoli tuberi o di gemme fino a che sono dispersi come spore vegetative, oppure possono svilupparsi precocemente in piccole piantine con germoglietto e radici fluttuanti in aria, pronte poi a cadere quando la pianta appassisce (strategia “largo ai giovani su corpo azotato materno”) o un colpo di vento li disperde lontano (strategia bossiana “föra da i ball”). In K. daigremontiana, questa viviparità vegetale, con un propargolo che compare su un organo maturo, e che ricorda un embrione “sessuale”, avviene soprattutto in condizioni di luce prolungata e la loro comparsa segue un andamento basipeto (cioè dall’apice verso la base della pianta). Una volta che il propargolo diventa radice-munito, si stacca dalla pianta madre molto facilmente, cade al suolo e forma una nuova pianta. Embriogenesi somatica, la chiamano: da una cellula somatica differenziata si forma un embrione senza fertilizzazione. Tutto sembra semplice ma in realtà non lo è. Per capirci qualcosa, alcuni hanno studiato il DNA espresso nelle cellule di tessuti che formano bulbilli (e poi propargoli) e in quelle di tessuti che non danno origine a propargoli. Facendo la differenza, escludendo quindi i geni espressi in comune, sono risaliti ai geni che sono espressi esclusivamente nel primo gruppo di cellule; di questi, ne hanno trovati 135, classificati in 14 categorie funzionali. Molti sono coinvolti nei processi di viviparità: dedifferenziazione, moltiplicazione cellulare, formazione ex-novo di membrane e pareti. Ora, escludendo l’indubbia validità scientifica del progetto, l’obiettivo prossimo sarà quello di trasferire questi geni in Silvan clonati al fine creare un Posthomo oGMensis in grado di generare figli sulle punta dalle dita.

 

 

Grazie a loro, ho scritto:

 

Fehér A (2005) Why Somatic Plant Cells Start to form Embryos? Plant Cell Monogr 2: 85-101

Garcês H, Sinha N (2009) The ‘mother of thousands’ (Kalanchoe daigremontiana): a plant model for asexual reproduction and CAM studies. Cold Spring Harb Protoc. doi:10.1101/pdb.emo133

Herrera I, Hernandez M-J, Lampo M, Nassar JF (2012) Plantlet recruitment is the key demographic transition in invasion by Kalanchoe daigremontiana. Popul Ecol 54: 225–237

Herrera I, Nassar JM (2009) Reproductive and recruitment traits as indicators of the invasive potential of Kalanchoe daigremontiana (Crassulaceae) and Stapelia gigantea (Apocynaceae) in a Neotropical arid zone. J Arid Environ 73: 978–986

Il genere Kalanchoe. http://www.elicriso.it/it/come_coltivare/kalanchoe/

Kalanchoe daigremontiana. Da Wikipedia, l’enciclopedia libera. http://it.wikipedia.org/wiki/Kalanchoe_daigremontiana

Regis C, Laura M, Morreale G, Valè G, Allavena A (2006) Screening of viviparous plantlet formation-related genes in Kalanchoe dairemontiana by SSH analysis. Acta Hort (ISHS) 714: 155-162

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