Mar
30
2021
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Il misterioso linguaggio delle piante (parte 2)

 

Nelle comunità vegetali, ogni pianta potrebbe interagire in modo positivo, negativo o neutro con le sue vicine. Le piante spesso alterano direttamente o indirettamente la disponibilità di risorse e l’habitat fisico attorno ad esse. L’architettura della chioma, l’ombreggiamento, la temperatura e l’umidità dell’aria e del suolo sono in grado di alterare la penetrazione della pioggia, l’aerazione e la struttura del suolo. I vicini vegetali possono “tamponarsi” l’un l’altro da condizioni stressanti, come nel caso di forte vento. Alcune piante danno benefici alle loro vicine anche dopo che muoiono: in foreste vetuste e indisturbate, gli alberi cadono e i loro tronchi decomposti rendono l’habitat ideale ai semi per germogliare, con la formazione di migliaia di nuove piantine. Mentre gli effetti positivi sull’habitat fisico sono sicuramente aspetti intrinseci delle comunità vegetali, quasi sempre si verifica una competizione pianta-pianta per le risorse, soprattutto nutrienti e acqua. Quindi, in generale parliamo di interazioni positive (allelobiosi) o negative (allelopatia) tra piante vicine della stessa specie o di specie diverse.

Il commensalismo si verifica quando una specie vive in un’associazione diretta con un’altra (l’ospite), guadagnando un riparo o qualche altro vantaggio per la sopravvivenza e non causando danni o benefici all’ospite. Orchidee e bromeliadi (Neoregelia spp.), ad esempio, vivono sul tronco o sui rami dei loro ospiti, guadagnando acqua e sostanze nutritive dall’aria o della corteccia, senza penetrare nei tessuti dell’ospite. Le radici tozze e le foglie xeromorfe che aiutano a guadagnare e conservare acqua sono caratteristiche di molte epifite vascolari (“epifita” significa vivere su un altro). Le epifite appartenenti a briofite, licheni e felci sono così abbondanti nella foresta pluviale tropicale che spesso costituiscono più biomassa vegetale rispetto ai loro alberi ospiti. Un’altra facilitazione è illustrata dalla crescita della piantina del cactus saguaro (Cereus giganteus), che avviene in genere all’ombra di alberi di Parkinsonia microphylla o di altre piante, le quali creano un migliore habitat per il cactus e lo proteggono dagli effetti negativi del sole intenso e dalla carenza di acqua. Nelle pratiche agronomiche spesso si utilizzano altre piante, che fungono un po’ da loro “infermiere”, per migliorare il microhabitat per il raccolto principale. Ad esempio, l’avena e l’erba medica possono essere seminate insieme in modo che l’avena ombreggi e mantenga una più alta umidità nel suolo, necessaria alle piantine emergenti di erba medica. Esempi di questo genere abbondano in agricoltura sostenibile e conservativa, dove consociazioni e rotazioni sono la norma.

Interazioni dirette pianta-pianta che forniscono benefici ad entrambi gli organismi rientrano nel mutualismo. Includendo anche i microorganismi, un buon esempio di questa interazione è l’associazione di legumi e batteri azotofissatori che vivono all’interno dei noduli radicali delle leguminose. Le piante beneficiano ottenendo l’azoto dai batteri, mentre i batteri ottengono l’energia dei carboidrati sintetizzati dalla fotosintesi dei legumi. La stragrande maggioranza delle piante superiori presenta associazioni delle radici con le ife fungine (micorrize). Le piante vascolari ne traggono beneficio perché il fungo è molto più capace di assorbire e concentrare fosforo (ma anche altri nutrienti minerali) rispetto alle radici, mentre il fungo si assicura una fonte di zuccheri sicura da parte della pianta.

Le interazioni con piante parassite sono invece dannose per l’ospite. Molte piante (ad es., cuscuta, orobanchaceae e Pterospora) non contengono clorofilla e quindi non possono fotosintetizzare. Parassitizzano quindi la pianta ospite penetrando nel tessuto esterno mediante i loro austori (estroflessioni della radice), che alla fine vengono a contatto con l’acqua e le sostanze nutritive. Anche il vischio forma austori ma la funzione primaria di queste strutture è quella di assorbire acqua, poiché questa pianta parzialmente parassita (emiparassita) è in grado di produrre gli zuccheri da sé mediante fotosintesi. Striga spp. ha foglie verdi ma è una parassita obbligata (oloparassita) che provoca enormi perdite di legumi e cereali di origine tropicale. La striga si è evoluta in modo che le sostanze chimiche della pianta ospite siano diventate segnali che consentono al seme di germogliare e attaccare l’ospite. Successivamente, la striga penetra nelle radici ospitanti e sottrae acqua, minerali e ormoni. Il fico strangolatore (Ficus watkinsiana) è invece un albero che germoglia in alto sull’albero ospitante e invia radici a terra, uccidendo infine l’ospite quando le radici e le liane del fico lo circondano e lo strangolano, ombreggiando e bloccando così la sua fotosintesi.

Così come avviene per noi umani, è molto difficile che le piante non siano influenzate dalle piante a loro vicine. Gli effetti negativi su uno dei vicini sono indicati come interferenze, e comprendono la competizione e l’allelopatia. La competizione, la situazione in cui una pianta esaurisce le risorse dell’ambiente richieste per la crescita e la riproduzione dell’altra pianta, è il fenomeno più comune in natura. Piante che hanno più successo nell’assumere le principali risorse, acqua, sostanze nutritive, luce e spazio, hanno vantaggi e tipicamente dominano nelle comunità vegetali. Il vantaggio competitivo può derivare dalla stagione di crescita di una pianta, dal tipo di crescita o delle caratteristiche morfologiche, come la profondità delle radici, o caratteristiche fisiologiche, come differenze nell’efficienza della fotosintesi. Al contrario della competizione, l’interferenza allelopatica è messa in atto da una pianta che immette sostanze chimiche tossiche nell’ambiente intorno a essa e che inibiscono la crescita e la riproduzione delle specie associate o quelle che possono in seguito crescere nella stessa area.

Molti effetti negativi sulle specie bersaglio probabilmente si verificano per una combinazione di competizione e allelopatia. La capacità di alcune specie di piante di influenzare negativamente altre piante è stata ben documentata fin dall’antichità. I primi scritti su questo argomento sono attribuiti a Teofrasto (300 a.C.), uno studente di Aristotele che per primo notò gli effetti dannosi del cavolo su una vite e suggerì che tali effetti erano stati causati da “odori” provenienti dalle piante di cavolo. Questo fenomeno di interferenza tra piante vicine, noto appunto come allelopatia, in genere include lo studio delle interazioni pianta-pianta e pianta-microorganismi, nonché gli effetti dei composti allelochemici rilasciati da alcune piante sulla crescita delle piante o su fattori edafici, e possono essere studiati a diversi livelli all’interno delle comunità vegetali. Le interferenze allelopatiche sono mediate in genere dal rilascio di metaboliti secondari nell’ambiente tramite volatilizzazione, lisciviazione in seguito a precipitazioni, essudazione radicale o decomposizione della lettiera. Un singolo composto o una miscela di metaboliti potrebbe rivelarsi attivo ma, in genere, il fenomeno dell’allelopatia dipende dalla concentrazione accumulata di composti bioattivi e dalla loro persistenza nel tempo nell’ambiente naturale. Pertanto, lo l’ecologia di tali interazioni, nonché la fisiologia e la chimica delle interferenze allelochimiche sono tutte coinvolte nello studio di questi fenomeni. Il coinvolgimento dei meccanismi allelopatici nelle dinamiche della vegetazione e nella distribuzione spaziale delle piante è stato esplorato fino ad oggi su base limitata, sia negli ecosistemi naturali che negli ecosistemi o negli agroecosistemi. Oltre agli aspetti fondamentali della ricerca sull’interferenza delle piante e sulle relazioni tra le specie di piante, il campo dell’allelopatia comprende anche gli aspetti applicati dell’ecologia delle piante, comprendendo ad esempio l’ecologia delle colture e delle infestanti, e la gestione delle specie invasive.

Ma dei fattori ecologici delle interazioni pianta-pianta piante parleremo la prossima volta.

 

[continua il mese prossimo…]

 

 

Grazie a loro, ho scritto:

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Pashirzad, M., Ejtehadi, H., Vaezi, J. et al. Plant–plant interactions influence phylogenetic diversity at multiple spatial scales in a semi-arid mountain rangeland. Oecologia 189, 745–755 (2019). https://doi.org/10.1007/s00442-019-04345-9

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Zhang, R., Tielbörger, K. Density-dependence tips the change of plant–plant interactions under environmental stress. Nat Commun 11, 2532 (2020). https://doi.org/10.1038/s41467-020-16286-6

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