Dic
21
2020

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La terra come placenta

Buongiorno a tutti. Tempo di feste e di relativa tranquillità, di letture e di riflessioni. Per questo, per salutare il nuovo anno e tutti voi, ho deciso di dedicare l’articolo di questo mese ad uno dei più bei libri di saggistica scientifica che abbia letto ultimamente. Una lettura, a mio parere, obbligata per chiunque si occupi di suolo, piante e ambiente.

Auguro a tutti voi un riposo fisico e mentale, con la speranza di tempi migliori. Grazie per avermi seguito anche quest’anno e arrivederci al prossimo!

 

 

“La terra come placenta”, Giovanni Haussmann, Ed. Libreria Editrice Fiorentina, 1992, pp. 111

 

Confesso di essere un lettore compulsivo di saggistica scientifica. Mi sono accostato a questo libro con cautela e, sebbene fosse famoso nel suo campo, non ne conoscevo l’autore. Ero stato incuriosito più che altro dal sottotitolo: “Testamento di uno scienziato umanista”. Il libro, di poco più di 100 pagine, ha un’importanza che va ben al di là degli aspetti scientifici trattati: è allo stesso tempo un manuale di etica, di filosofia naturale, di ecologia umana e un manifesto di sincero ecologismo. Il suo messaggio è limpido fin dalle prime pagine: l’uomo che si allontana fisicamente e culturalmente dall’ambiente naturale, dalla terra, dall’agricoltura e delle tradizioni è sradicato, spaesato, alienato, capace di fare solo danni a sé stesso, agli altri e all’ambiente.

Giovanni Haussmann, l’autore, è stato uno dei massimi esperti mondiali del rapporto tra suolo fertile e società umana. Pagina dopo pagina, arriva al messaggio del suo manifesto procedendo per gradi, accompagnando per mano il lettore, partendo dalle scienze agrarie fino a giungere a questioni di morale umana, secondo un modello epistemologico che mi ha ricordato lo Zibaldone di Leopardi. Haussmann ha una visione storica molto originale del dinamismo evoluzionistico del suolo che si rifà a quella del grande pedologo russo V.R. Williams, secondo la quale “la fertilità durevole ed elevata è dovuta essenzialmente alla struttura glomerulare del terreno” – risultante dall’evoluzione dell’humus – “nella quale la funzione preminente spetta ad una specifica flora prativa” [cit. pag. 21]. Haussmann introduce, inoltre, la categoria molto suggestiva di un agricoltore ideale in totale simbiosi con il suolo, che “attende al respiro di ogni organismo che gli è intorno” [cit. pag. 24].

Secondo l’autore, il suolo fa parte dell’identità stessa della persona: non è solo un legame affettivo, ma un’impronta spesso indelebile sulla formazione della psiche, che renderà la persona incapace di sentirsi pienamente realizzata se staccata dal suolo sul quale ha vissuto [cit. pag. 45]. I toni idilliaci della prima parte del libro lasciano poi il posto agli aspetti più problematici, alla frattura fra uomo e ambiente, al materialismo e all’utilitarismo, alle crisi culturali che sono causa ed effetto della separazione della scienza razionale dall’etica, al declino dell’importanza del bene comune, alla carenza di spiritualità ed ispirazione; tutti fattori conducono l’uomo moderno alla solitudine. Haussmann è un fine umanista ma possiede anche una cultura pragmatica derivante dalla sua formazione scientifica, per cui, come un medico, vuole porre rimedio all’isolamento umano. Le soluzioni da lui proposte sono basate sull’importanza della cultura e della famiglia, sul contatto intimo con la natura, sulla riscoperta dei valori etici, sulla religiosità laica, sia nel significato di relegere, ossia “ripercorrere” o “rileggere” la storia naturale, che di re-ligare, cioè relativo ai legami che uniscono gli uomini a certe pratiche (agronomiche, in questo caso!), fino a giungere ad una vera e propria metafisica del Cosmo.

Le conclusioni del libro sono di un’attualità disarmante: si parla di conservazione del suolo, di sostenibilità ambientale [bellissima la definizione del “Sisifo consumista” a pag. 94], di etica nella scienza, di una visione olistica della natura, dove l’uomo è solo tassello di un mosaico immenso. Ed è proprio l’uomo che dovrebbe “rivestire del proprio spirito tutto l’esistente ed esserne colmato a sua volta in una comune compenetrazione e creatività” [cit. pag. 106]. Il libro termina con i versi di poesia di un autore contadino russo. Io invece concludo questa recensione citando il grande poeta contadino Rocco Scotellaro (Tricarico, Basilicata, 1923-1953):

 

«Io sono un filo d’erba

un filo d’erba che trema.

E la mia Patria è dove l’erba trema.

Un alito può trapiantare

il mio seme lontano.»

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