Ago
30
2020

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In vivo et in silico

 

Come ho più volte scritto in molti articoli di questo blog (vedete qui), le piante interagiscono con molti microorganismi (soprattutto batteri e funghi) in modo reciprocamente vantaggioso (simbiosi mutualistica). Recentemente, i ricercatori dell’Argonne National Laboratory del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti hanno scoperto un modo per ottenere nuove informazioni su queste interazioni utilizzando un dispositivo di nuova concezione: un chip inciso con minuscoli canali (vedi qui per l’articolo originale open access pubblicato su Frontiers in Plant Sciences). Questo dispositivo può fornire informazioni preziose per scoprire modi migliori per promuovere la crescita delle piante, selezionare colture resistenti alla siccità o ad altri stress ambientali, risanare l’ambiente e persino aumentare la produzione di materie prime bioenergetiche.

In particolare, le interazioni radice-microorganismi, proprio perché avvengono nel suolo, rappresentano una sfida per i ricercatori, i quali cercano di osservare l’adesione dei microbi sulla superficie radicale e lo scambio di nutrienti tra pianta e microorganismi. Per aggirare questa sfida, è stato di solito analizzato l’ambiente intorno alle radici coltivando piante in vaso, tra lastre di vetro o in piastre di agar, per poi osservare i cambiamenti fisici delle radici e le interazioni microbiche, ma solo dopo aver “sacrificato” la pianta. Tuttavia, il modo ideale per monitorare le relazioni tra le radici delle piante e i microrganismi che le circondano nella rizosfera, la regione di suolo ricca di nutrienti che circonda la radice stessa della pianta, sarebbe osservare queste interazioni mentre si verificano, e soprattutto per lunghi periodi e ad alta risoluzione. Per questo scopo, i ricercatori della divisione Biosciences di Argonne, insieme agli scienziati del Center for Nanoscale Materials di Argonne, hanno sviluppato un chip RMI (dove “RMI” sta per Interazioni Radici-Microorganismi): un minuscolo dispositivo che consente a piccole quantità di fluido di scorrere attraverso microcanali e percorsi scolpiti su un chip che misura solo pochi centimetri quadrati.

“I canali vengono creati tramite litografia, un approccio per la fabbricazione di strutture 3-D utilizzando materiali morbidi”, ha detto Gyorgy Babnigg, un bioinformatico e biologo molecolare che ha co-sviluppato il dispositivo. Babnigg e i suoi colleghi hanno utilizzato questa tecnica per creare uno stampo negativo del loro dispositivo. Hanno quindi versato una plastica simile al silicone sullo stampo e lo hanno riscaldato, facendolo indurire, quindi lo hanno rimosso dallo stampo. Successivamente, i ricercatori hanno praticato dei fori nel materiale per formare ingressi e uscite e, infine, lo hanno fuso con un pezzo di vetro coprioggetto, di quelli usati in microscopia, in modo da poter osservare cosa stava accadendo all’interno dei canali mediante un microscopio.

Dispositivi microfluidici come quello che Babnigg e il suo team hanno creato sono stati recentemente utilizzati dai ricercatori per studiare le interazioni tra radici e microbi, anche se esclusivamente in piante piccole e a un ciclo breve, come Arabidopsis thaliana. Il dispositivo progettato ad Argonne è stato però il primo ad essere utilizzato anche su piante legnose in vivo. Il team di Argonne ha scelto di utilizzare il proprio dispositivo per analizzare alberi Populus tremuloides, della famiglia delle Salicacee; un albero deciduo resistente e a crescita rapida nonché la specie arborea più ampiamente distribuita in Nord America. Hanno iniziato coltivando i semi del pioppo, ottenendo le piantine che quindi hanno trapiantato nei singoli canali del loro chip.

“A differenza di altri studi più brevi, siamo stati in grado di capire tutto l’impianto idraulico per far crescere le piantine nel chip per diverse settimane”, ha detto Babnigg. “Ci è voluto un po’ di tempo. Non abbiamo dovuto trasferire le punte delle radici nel chip, ma poi abbiamo dovuto aspettare che le radici raggiungessero l’ingresso dove scorrevano i nutrienti e poi aspettare un’altra settimana prima di poter aggiungere i microorganismi al sistema.” Questi ultimi sono stati ingegnerizzati dai ricercatori per essere fluorescenti (con colori unici e quindi facilmente identificabili), il che ha consentito di distinguere il loro comportamento al microscopio. Facendo scorrere continuamente una semplice soluzione salina attraverso il sistema per supportare la crescita delle piantine, queste hanno trattenuto i nutrienti necessari per la crescita dei microorganismi. Ciò significava che, affinché i microorganismi potessero sopravvivere, avrebbero dovuto nutrirsi sulle radici delle piante. Progettare il loro esperimento in questo modo ha permesso ai ricercatori di distinguere se le interazioni simbiotiche, come i microrganismi che assorbono i nutrienti trasudati dalla radice della pianta o il rilascio di composti – come il fosforo e gli ormoni vegetali – che regolano il movimento della radice, fossero osservabili. Per settimane, i ricercatori hanno studiato di continuo al microscopio come diversi tipi di microorganismi crescevano e interagivano con le radici vive, scoprendo che, in assenza di nutrienti esterni, i microorganismi aderivano alla superficie delle radici e utilizzavano gli essudati radicali (le sostanze secrete dalle radici) per crescere.

“Abbiamo osservato comportamenti particolari dei batteri sulle radici, dall’allineamento dei batteri alla formazione di biofilm densi”, ha detto Marie-Francoise Noirot-Gros, microbiologa e autrice di Argonne. “Abbiamo visualizzato tutte queste interazioni mentre la pianta era ancora viva”, ha detto Babnigg. “La nostra capacità di farlo utilizzando il nostro dispositivo e nel corso di diverse settimane è ciò che distingue questo lavoro”. L’aspetto interessante del lavoro, a mio parere, non è solo l’interazione pianta-microorganismi, ma l’interazione pianta-microorganismi-chip, un vero e proprio sistema trifasico in vivo e in silico. Esempi di questo genere sono ormai diffusi (vedete in questo video il chip Neuralink per misurare l’attività neuronale, qui applicato sui maiali; oppure qui la futuristica embedding technology che forse un giorno sarà applicato sugli esseri umani). Per non parlare dei chip per studi medici sul microbioma intestinale o della pelle o, ancora gli organ-on-chip (OOC) che simulano le attività, la meccanica e la risposta fisiologica di interi organi o sistemi di organi, rappresentando pertanto un modello in vitro di organo artificiale. Siamo ancora all’inizio!

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