Lug
30
2018

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Grezza ma non troppo

 

Nell’articolo di maggio (Mai soli) avevo parlato dei microorganismi endofiti, cioè che vivono all’interno delle piante, o sulla sua superficie (es. fillosfera e carposfera). Le condizioni esterne sembrano influenzare non poco la popolazione microbica di un organismo vivente: succede nel nostro intestino, il cui microbioma è influenzato dalla dieta, e la stessa cosa accade nelle piante, i cui microorganismi sono influenzati ad esempio dalle diverse pratiche agronomiche. Se ci sembra strano che le piante ospitino microbi diversi a seconda di come vengano coltivate, questo dipende dal fatto che le piante sono state da sempre meno studiati degli animali, e in particolare dell’uomo. Le cose stanno però cambiando: sequenziare il DNA dei batteri è sempre più economico e alla portata di tutti, e non è necessario avere un laboratorio attrezzatissimo perché il sequenziamento può essere svolto all’esterno. Quello che serve sempre di più è però il cervello del ricercatore per progettare al meglio un esperimento e per gestire e valutare la gran mole di dati che viene prodotta. Oltre alle tecniche genomiche, ce n’è una in grado di individuare quasi tutte le molecole sotto le dimensioni delle proteine presenti in un tessuto; si chiama metabolomica. Il vantaggio di questa tecnica è che ci da un’istantanea di quello che realmente sta succedendo in un tessuto.

L’ostacolo maggiore a questa tecnica, ormai diventata una vera e propria disciplina, è che le piante sono laboratori viventi in grado di produrre migliaia di molecole provenienti dalle più svariate vie biosintetiche, dai fenoli ai carboidrati, dai terpeni agli alcaloidi, dagli steroidi agli aminoacidi. Molti di questi metaboliti sono prodotti in determinati stadi fisiologici della pianta, ad esempio durante la crescita o lo sviluppo riproduttivo, altre volte in seguito a condizioni ambientali più o meno avverse, come avviene per la difesa contro i patogeni, o in carenza di nutrienti o di acqua. Per dare un senso a queste ricerche, bisogna quindi identificare i metaboliti chiave che fanno la differenza (e che la fanno al di sopra di un certo livello), eliminando tutti quelli che normalmente si riscontrano, scegliendo quelli più abbondanti o la cui sintesi è indotta da determinate condizioni interne ed esterne. È necessario inoltre fare un buon campionamento (non di certo limitarsi a una pianta, selezionando piante uniformi in età, stadio, posizione, ecc.) e scegliere il momento adatto, possibilmente ripetendo le analisi più volte durante l’anno (magari quando la pianta è a riposo vegetativo e poi in fase vegetativa/riproduttiva, se parliamo di piante). Se non si considerano bene tutti questi fattori, il rischio è quello di spendere soldi per centinaia di analisi senza approdare a nessuna conclusione.

Sul sangue umano sono stati pubblicati milioni di articoli scientifici perché è facile da estrarre e dalla sua composizione chimica, biochimica e cellulare si possono ricavare molteplici informazioni sullo stato di un organismo. Dai miei sbiaditi ricordi di fisiologia umana, il sangue veicola gas, acqua, nutrienti, ormoni, elementi, cellule, ecc. Una qualsiasi modificazione delle condizioni fisiologicamente normali è un campanello di allarme. E allora perché lo stesso non potrebbe avvenire per la linfa delle piante. Al contrario nostro, le piante hanno due diversi sistemi circolatori, lo xilema per la linfa grezza, e il floema per la linfa elaborata. Non voglio entrare nei dettagli, ma si è sempre detto che linfa xilematica, la quale scorre in vasi cavi e morti chiamati trachee e tracheidi, trasporta sostanze dalle radici alla chioma avendo come forza guida la traspirazione, mentre la linfa floematica, contenente gli zuccheri prodotti dalla fotosintesi, dalle foglie al resto della pianta. Dal momento che i metaboliti, come si deduce dal nome, derivano dal metabolismo, che avviene nelle cellule vive, si pensava che la maggior parte di queste sostanze fosse presente nel floema. Niente di più sbagliato! La linfa xilematica non è così grezza come si pensava: contiene non solo acqua e elementi minerali (nitrati, fosfati, solfati, elementi, ecc.) ma anche steroidi, terpeni, alcaloidi, fitormoni, regolatori di crescita, aminoacidi, fenoli, prodotti di degradazione e altro che fra un po’ vedremo. Dal momento che estrarre la linfa non facile come estrarre il sangue, inizialmente si è pensato che questi metaboliti fossero contaminazioni dei tessuti adiacenti, in particolare del vicino floema, ma tecniche di estrazione sempre più precise hanno smentito questa ipotesi.

 

E arriviamo al dunque: la parte sperimentale.

Partecipare a congressi mi piace solo se c’è un fine pratico; è bello documentarsi ma non è mia intenzione sorbirmi tutti gli interventi orali e i poster (la mia attenzione dura 30 minuti la mattina e 30 il pomeriggio e ho bisogno di tempo per assimilare). L’altro aspetto positivo e stimolante è conoscere nuove persone (le più interessanti sono di solito le più dimesse e umili), il che non significa fare public relations, ma interessarsi sinceramente alle attività altrui e trarne buoni stimoli. Da uno di questi congressi è nata una piccola collaborazione che, a mio avviso, ha dato ottimi risultati. Molti di questi sono in via di pubblicazione, per cui non potrò andare ora in dettaglio, ma quello che ci interessa è il messaggio, che deve essere supportato dai risultati ma andare oltre questi. Il mio intervento orale riguardava la modifica dei microorganismi in piante di olivo gestite in modo diverso. Il messaggio: il microbioma delle piante gestite in modo sostenibile (sostenibili) è ricco e più diverso di quello delle piante coltivate con tecniche intensive (convenzionali). Le prove: i gruppi di batteri “utili” e “benefici” per le piante erano significativamente più abbondanti nel trattamento sostenibile, in vari periodi dell’anno. I vantaggi: le piante sostenibili si difendono meglio, sopportano meglio le condizioni avverse, hanno bisogno di meno fertilizzanti di sintesi e producono anche di più (anche se i vantaggi si notano a partire da 5-6 anni di gestione), gli agricoltori risparmiano soldi e risorse (acqua e concime), l’ambiente ne guadagna, la salute umana probabilmente sì.

Avevamo studiato anche i batteri presenti nella linfa, in entrambi i trattamenti. Al ché, l’idea di studiare anche la composizione chimica della linfa. “Hai ancora campioni nel frigo”, “Un momento che chiedo”, “Sì, ce ne sono ancora per due epoche di campionamento”, “Sei d’accordo se te li spedisco?”, “Sì”, “OK, organizzo tutto”. Dopo qualche mese, i risultati: 200-300 metaboliti che facevano la differenza nei due trattamenti, che si differenziavano statisticamente in maniera netta. 200-300 metaboliti con nomenclatura chimica IUPAC, un manicomio di nomi e sigle. Dopo qualche settimana ritorna il file Excel con una suddivisione in classi chimiche fatta sulla base di un database di composti di origine vegetale. Io lo analizzo un po’ e più o meno mi ci ritrovo, ma qualcosa non mi è chiaro. Ad occhio vedo che molti dei metaboliti sono più abbondanti nel trattamento sostenibile e che i composti, dai nomi più assurdi, non sono così disomogenei, ma che nell’elenco regna una certa uniformità: prevalgono alcune classi di composti rispetto ad altre. E sono per il 99% metaboliti secondari, cioè quelli che non prendono parte alle vie biosintetiche più importanti – non so, respirazione, fotosintesi, fotorespirazione – ma metaboliti secondari, cioè non essenziali per la semplice crescita, sviluppo o riproduzione dell’organismo, ma per esempio usati o come meccanismi di difesa contro predatori (animali erbivori, agenti patogeni, ecc.) o per la competizione interspecifica o per facilitare i processi riproduttivi. Allora esamino i composti uno ad uno e li passo al vaglio di PubChem, che per ognuno di essi mi dice vita, morte e miracoli, tutto basato sulla bibliografia. I miei sospetti erano fondati: c’è una precisa logica che differenzia i due trattamenti. Le piante “sostenibili” e quelle “convenzionali” hanno una composizione della linfa totalmente diversa per quanto riguarda i metaboliti secondari. Diversa sì, ma è possibile che i metaboliti individuati diano alle piante sostenibili dei vantaggi che le altre non hanno. A prima vista mi sembra di sì.

Innanzitutto, ad esclusione di qualche aminoacido, i metaboliti primari non sono stati influenzati dalla gestione del suolo. Le differenze maggiori si riscontrano però per i metaboliti secondari (80% del totale), quasi sempre più concentrati (almeno 5 volte) o presenti solo nella linfa delle piante sostenibili. Tra questi, le classi prevalenti includono terpeni a diverso numero di atomi di carbonio, fitormoni e loro derivati (gibberelline, auxine, jasmonati, citochinine e strigolattoni); alcaloidi; steroli/steroidi; retinoli/retinoidi, tocoferoli e carotenoidi. I fitormoni trovati, esclusi i jasmonati (che hanno principalmente un’azione difensiva), sono metaboliti secondari che, in piccole quantità, promuovono e regolano la crescita delle piante, lo sviluppo e la differenziazione di cellule e tessuti e, per questo motivo, sono anche chiamati “regolatori della crescita”. A quanto pare, molti di essi e/o dei loro precursori sono trasportati non solo dal floema, ma anche dallo xilema, soprattutto se sintetizzati nelle radici. I terpeni hanno effetti antagonisti nei confronti di microorganismi patogeni e insetti erbivori. Carotenoidi (antiossidanti), steroidi e steroli (vedremo dopo), gibberelline e citochinine (regolatori e promotori della crescita) derivano anch’essi da terpeni. Le saponine, una classe di steroidi glicosilati, con proprietà simili al sapone sono anch’esse delle potenti tossine contro i patogeni e sono state riscontrate solo nella linfa delle piante sostenibili. Gli steroli vegetali sono una componente essenziale delle membrane cellulari, ma, cosa più interessante, molti di essi agiscono come messaggeri secondari, fitoormoni che regolano lo sviluppo delle piante (ad esempio brassinosteroidi) o sostanze di difesa (ad esempio i fitoecdisoni) con una struttura simile a quella degli ormoni degli insetti, il cui sviluppo è disturbato e compromesso dalla presenza di queste sostanze ormonosimili. Ad esempio, l’ecdisone è un ormone con una struttura steroidea che controlla la transizione da larva in pupa. Le piante possono imitare questi ormoni, in modo che quando gli insetti mangiano piante contenenti fitoecdisoni, il processo della pupa sia disturbato e le larve muoiano. È difficile però capire se l’ecdisone rilevato sia stato prodotto da insetti (ad esempio, trasmesso nella linfa da uno stiletto di afide) o se sia stato sintetizzato dalla pianta.

Dal momento che il trattamento sostenibile ha fornito al terreno più azoto organico e meno azoto minerale, questo probabilmente è stato il motivo dell’aumento dei fenoli e degli alcaloidi, la cui biosintesi è generalmente indotta quando viene aggiunto meno fertilizzante azotato. Sono probabilmente i composti più importanti per la difesa delle piante e possono essere influenzati dalle diverse pratiche agronomiche e dalle condizioni ambientali, anche se non sempre questa relazione è chiara. Infine, altri composti discriminanti tra i due trattamenti sono stati antibiotici sintetizzati da batteri (cloramfenicolo ed eritromicina D) e funghi (fusidato e aurachina), vitamine (es., biotina), siderofori di origine batterica (rizobactina 1021, prodotta da Rhizobium spp.) che aiutano le piante ad assorbire ferro dal suolo, insetticidi naturali prodotti da batteri (spinosina) e vari fitoecdisoni.

Dai dati complessivi emerge che l’adozione di una gestione sostenibile a lungo termine del suolo (18 anni) ha migliorato lo stato di salute delle piante in termini di difese chimiche (ad esempio, terpenoidi, alcaloidi, fitoalessine, jasmonati, fenoli), di crescita (es., gibberelline, citochinine, strigolattoni) e di funzionalità cellulare (es. vitamina A, biotina, steroidi). Nella linfa delle piante sostenibili sono stati riscontrati molti composti derivati da microbi utili per piante (es., siderofori, sostanze simili agli ormoni, antibiotici). Una gestione sostenibile del suolo è quindi un fattore chiave per aumentare i nutrienti del suolo e sostenere un microbiota del suolo funzionale e diversificato, che a sua volta aumenta la fertilità del suolo, ovvero la capacità di un suolo di fornire i nutrienti essenziali per la crescita delle piante.

La gestione de suolo può quindi influenzare profondamente il metabolismo della pianta, come si vede dall’analisi del metaboloma della linfa, ma anche indirettamente l’ambiente e la salute umana (assenza di pesticidi e fertilizzanti minerali, aumento della crescita delle piante e difese naturali, ecc.). Nell’agricoltura convenzionale, adottata dalla maggior parte degli agricoltori, la frequente lavorazione del terreno riduce fortemente la complessità e la diversità dell’agro-ecosistema. I risultati ottenuti incoraggiano l’uso di una serie di pratiche agricole sostenibili (ad esempio, coperture erbose, riciclaggio dei residui di potatura, input di sostanza organica, ecc.) In grado di migliorare lo stato fisiologico delle piante, con benefici sulla quantità/qualità delle produzioni, l’ambiente e la salute umana.

I tempi stanno per cambiare. Le analisi della linfa diventeranno routine in futuro?

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