Gen
13
2015

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E agricoltura fu (parte seconda)

03 - Pomodoro

Nelle paludi dello Yangtze. La Grande Muraglia cinese separa due diversi ambienti e modi di vivere: a nord-ovest, tra i deserti e le steppe erbose e la terra dei pastori; a sud-est, nelle terre calde e umide, fioriscono le civiltà contadine del riso e del miglio. Dall’altopiano tibetano scendono verso est due grandi fiumi: a sud lo Yangtze, più a nord il Fiume Giallo (Huang Ho). Sulle loro rive, tra 9.000 e 7.000 anni fa, nacque l’agricoltura del futuro impero cinese. Il clima subtropicale del sud e gli acquitrini e le paludi che caratterizzano il basso corso e il delta dello Yangtze erano l’ambiente ideale per molte specie vegetali: il loto, il giglio d’acqua, la castagna d’acqua, la zizzania e la cannuccia di palude. C’era anche un cereale, l’Oryza rufipogon, che fu scelto dagli antichi abitanti del delta. Questa specie è il progenitore del riso moderno, i cui semi nutrono oggi più di due miliardi di persone. Per estendere la coltivazione del riso anche fuori dal delta dello Yangtze fu tuttavia necessario ricreare il suo habitat naturale, la risaia, costruendo canali e sbarramenti per l’acqua e terrazzando le colline.

Oryza sativa, con le varietà indica e japonica, è il discendente moderno del riso selvatico. Un’altra specie di riso, Oryza glaberrima, è stata domesticata invece in Africa dove, a differenza della Cina, il riso veniva raccolto non tagliando la pianta con il falcetto ma battendo le spighe e raccogliendo i semi in un cesto. La conseguenza è stata che, dopo anni di domesticazione, nel riso cinese i semi restano ancora oggi attaccati alla spiga, mentre nel riso africano si è conservato parzialmente il carattere selvatico di chicchi che si staccano, un bell’esempio di selezione antropica.

 

01 - Risaie

 

A nord, sulle colline della valle del Fiume Giallo. Seicento chilometri a nord della valle dello Yangtze, scorre il Fiume Giallo. Qui il clima è più asciutto e freddo ed è quindi inadatto alla coltura del riso. In siti archeologici risalenti a più di 7.000 anni fa, sono stati trovati però semi carbonizzati di due altre specie di cereali, il miglio e il panico (Panicum miliaceum e Setaria italica). Queste piante furono domesticate, coltivate e man mano diffuse in tutta l’Asia e anche in Europa, così da essere note anche ai Greci e Romani. Proprio per indicarne l’origine, in sanscrito il miglio è chiamato chinaka (che vuol dire Cina), in hindi chena e in persiano shu-shu, lo stesso nome usato dai cinesi. Come sempre, per un’alimentazione equilibrata, bisogna associare ai cereali una leguminosa. La soluzione adottata dagli antichi cinesi è stata la soia, il legume oggi più coltivato al mondo.

 

Teosinte, il seme degli dei. Il Popol Wuh, libro sacro dei Maya Quiche, così descrive l’origine della stirpe umana: “Il creatore Cuore di Cielo e gli altri dei modellarono il nostro primo madre-padre col mais giallo, […] pasta di mais per le gambe e le braccia […]. E quando essi furono completati, si rivelarono umani. È per questo che il Maya quando mangia il mais non solo rigenera se stesso, in quanto è fatto di mais, ma si ricorda anche del suo creatore.

Quando, dove e da quali piante selvatiche è nato il mais? È accaduto circa 9.000 anni fa nella valle del fiume Balsas, nel sud del Messico. Il progenitore selvatico è il teosinte (da “teocintli”, parola azteca che significa “seme degli dei”). Il teosinte è cosi diverso dal mais di oggi che per lungo tempo fu considerato un’altra specie. E’ una specie con molti rami laterali, ciascuno dei quali porta infiorescenze maschili e femminili; inoltre la spiga, facilmente disarticolabile a maturità, contiene da 5-10 semi, ciascuno racchiuso in un involucro legnoso. La domesticazione ha modificato radicalmente questi caratteri: il mais oggi e pianta con un unico stelo, un sola spiga (la pannocchia) con molte file di semi “nudi” che restano ben attaccati alla spiga. Sono caratteri che testimoniano quanto intensamente abbiano operato gli antichi coltivatori nel selezionare varietà di mais sempre più produttive.

Dalla valle del rio Balsas, la coltivazione del mais si è diffusa nell’America del Sud e del Nord generando spighe diverse per forme e colore dei semi e poi, a partire dai viaggi di Cristoforo Colombo, anche in Europa, Asia, Africa. In Italia, fino ai primi anni del novecento, è stato usato il mais per produrre la polenta, alimento base delle popolazione più povere e responsabile della pellagra, una malattia causata dalla mancanza della vitamina B3. Oggi, ironia della sorte, il mais è usato principalmente per l’alimentazione del bestiame.

 

02 - Teosinte

 

Polenta o tortillas? Non solo la povertà, ma anche un errore di cucina è all’origine della pellagra: i Conquistadores avevano apprezzato il mais ma ignorato l’uso che ne facevano le popolazioni dell’America Centrale, presso i quali la malattia era pressoché sconosciuta. Questi avevano l’abitudine di mettere l’impasto di mais a bagno per notte in acqua di calce, una soluzione fortemente alcalina, prima di preparare tortillas. Questo processo rendeva “biodisponibile” la niacina (vitamina PP o B3), sintetizzata a partire dal triptofano, un amminoacido essenziale triptofano per l’organismo umano. L’antica pratica non venne però trasmessa nel Vecchio Mondo, dove si mangiava invece polenta.

 

Tacos con frijoles. Come ho detto prima, l’accoppiata cereali-leguminose è fondamentale per l’uomo perché il valore nutrizionale dei cereali si riequilibra con quello delle leguminose. Per questo, ovunque è nata l’agricoltura, gli uomini hanno sempre domesticato e coltivato un determinato “pacchetto” di piante: il quartetto della Mezzaluna fertile (orzo, frumento, piselli, lenticchie), il duetto cinese (riso/miglio, soia) ed il terzetto messicano (mais, fagioli e, in aggiunta, zucche, che potevano anche servire, una volta svuotate, come borse da viaggio o contenitori per l’acqua).

Quest’ultima è la cosiddetta agricoltura delle tre sorelle perché le tre specie venivano coltivate insieme nello stesso campo, sfruttando il fatto che le leguminose, fissando l’azoto atmosferico, fertilizzavano il terreno. La patria di origine dei fagioli messicani è situata 500 km a Nord del bacino del fiume Balsas, culla del mais, nello stato di Jalisco. Qui crescevano e crescono spontanei i fagioli selvatici, il fagiolo di Lima (Phaseoius lunatus) e, nei terreni più aridi, il Phaseoius acutffolius. Sono piante selvatiche i cui baccelli a maturità si aprono ed espellono con forza i semi. Analogamente ai contadini della Mezzaluna fertile, i primi coltivatori americani individuarono quei mutanti spontanei in cui questo processo non avveniva.

 

Il popolo quechua e la “papa”. Il quechua è la lingua dei popoli che vivevano originariamente in una piccola regione dell’altopiano andino a sud del Perù e che hanno dato origine all’impero Inca. È il popolo della “papa”, la patata. Il continente americano ospitava popoli di culture tra loro molto diverse. I popoli delle “great plains”, le grandi pianure dell’America del Nord, non sono mai diventati agricoltori: se si eccettua la domesticazione di poche specie, come il girasole, sono sempre stati cacciatori e raccoglitori. La grande foresta amazzonica, invece, era una barriera invalicabile che divideva i domesticatori del mais dai popoli che migliaia di chilometri più a sud vivevano sulle pendici della catena andina.

Le montagne e il clima della cordigliera non si prestavano bene alla cottura del mais e gli abitanti di queste regioni dovevano ingegnarsi per trovare altre risorse alimentari in grado di fornire i carboidrati presenti nei semi di cereali. La soluzione era già pronta in natura: Solarium tuberosum, una pianta che accumula, come riserva di energia grosse quantità di carboidrati (amido) nei fusti sotterranei, i tuberi della patata. Oltre alla patata, venivano mangiati anche i tuberi dell’ “oca” (Oxalis tuberosa) e i semi di un pseudo cereale, la quinoa (Chenopodium quinoa). Per le proteine, si potevano utilizzare i fagioli, anche se sulle Ande era disponibile un’altra soluzione: l’Arachis hypogaea, la nocciolina americana.

 

001 patate

 

La “mela d’oro”. Tra i doni fatti al mondo dai popoli andini non c’è stata solo patata ma anche il pomodoro. La regione di origine del pomodoro si trova nelle Ande peruviane, dove vivono specie selvatiche strettamente affini al pomodoro coltivato. Il cambiamento più impressionante avvenuto durante la sua domesticazione e coltivazione riguarda la dimensione delle bacche:quelle selvatiche sono infatti piccole (diametro inferiore a un centimetro), pesano meno di un grammo e sono facilmente preda di uccelli, che ne disperdono i semi.

Al contrario, i pomodori attuali possono avere un diametro anche di 15 centimetri ed arrivano a pesare centinaia di grammi. Dalla zona di origine nel Sud America, le specie selvatiche o inizialmente domesticate si diffusero verso Nord come piante infestanti i cui semi erano mescolati ai semi di mais e ai fagioli coltivati dai nativi, secoli prima delle esplorazioni spagnole. Quando gli Spagnoli di Hernan Cortes arrivarono nello Yucatan, i pomodori della specie S. esculentum var. cerasiforme, con bacche di notevoli dimensioni di colore giallo oro, erano largamente coltivati in tutta la zona (“tomatl” e la parola nahuatl con cui gli Aztechi chiamavano il pomodoro, che in spagnolo divenne poi “tomate”).

È singolare comunque che il pomodoro in Europa per molti anni fu considerato pianta velenosa: solo nel 1820, con lo scopo di sfatare questa diceria, Robert G. Johnson mangiò un pomodoro davanti ad una folla attonita facendo cosi crollare la radicata convinzione che il pomodoro fosse tossico e non adatto all’alimentazione.

 

[fine.]

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