Dic
23
2013

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Guinness dei primati vegetali

 

La fine dell’anno è di solito tempo di bilanci, contabilità che deve quadrare, obiettivi e prestazioni che ci si prefigge di raggiungere l’anno successivo, ecc. ecc. ecc. Allora, quale periodo migliore di questo per parlare di record? Il nostro ineluttabile antropocentrismo ci porta a considerarci i più bravi e intelligenti; a limite estendiamo qualche dote gli animali. Ci arrendiamo ad esempio davanti alle loro dimensioni, alla loro velocità e forza. E le piante?

 

Molto prima che gli esseri umani costruissero le prime case di fango, paglia e legno, le piante usavano materiale organico per creare una moltitudine di strutture avanzate. Al pari degli animali, le piante usano la velocità e le dimensioni per sbaragliare la concorrenza e sopraffare gli avversari della stessa specie e di specie diverse. Anche sulle pendici più esposte alle intemperie, le piante hanno capacità di tempistica e resistenza per sopravvivere agli inverni più amari. Nei deserti più brulli e remoti, le piante adottano strutture e meccanismi per proteggersi, e impiegano strategie chimiche contro i loro nemici.

 

Iniziamo.

 

Le foreste pluviali contengono oltre il 50% delle specie vegetali del mondo e, insieme, le foreste pluviali, boreali e temperate costituiscono il 20% della biomassa della Terra. Considerando però tutte le piante, alghe comprese, arriviamo al 97,3%. Ogni anno sulla Terra vengono prodotti per fotosintesi circa 1.000.000.000.000 tonnellate di carbonio. Cosa che gli animali solo si sognano, con il 2,7% di biomassa (1,8% solo per gli insetti e un misero 0,1% per l’uomo!). Possiamo affermare che gli organismi vincenti sono proprio loro. E’ proprio negli ecosistemi pluviali che la concorrenza tra piante si fa spietata: mentre le specie più basse vivono in condizioni di umidità e temperatura costante ma hanno la luce come fattore limitante, gli alberi più alti svettano in cima, hanno molta luce ma le loro chiome pagano il pegno di un caldo torrido e di un tasso di umidità più basso. Per questo, in una foresta l’altezza fa la differenza (il motto “altezza, mezza bellezza” vale anche per loro). Alcuni dei più grandi alberi della foresta sono i più grandi organismi viventi sulla Terra: per esempio, la sequoia gigante californiana Sequoiadendron giganteum può superare gli 80 metri di altezza e contiene abbastanza legna per costruire oltre 40 piccole case, ma meglio non dirlo in giro. L’albero più grande. La sequoia gigante “Generale Sherman”, conservata presso il Sequoia National Park della California, è alta 84 metri, ha un tronco con una circonferenza di 34 metri e pesa circa 2500 tonnellate. La beffa è che la nostra mente va sempre a elefanti e balenottere azzurre e invece l’organismo vivente più grande della Terra è invece una pianta. Gli alberi detengono anche altri due primati assoluti: le radici del fico sudafricano, che possono raggiungere i 120 m di profondità, e il più alto esemplare vivente, una sequoia sempreverde (Sequoia sempervirens) in California di 111 metri di altezza (anche se un eucalipto australiano, ora morto, arrivò a 132 metri). Infine, un primato forse meno spettacolare, un comune albero dà protezione e cibo mediamente a un centinaio di altre specie vegetali e animali che non siano microorganismi; questa funzione viene svolta anche da morto (basti pensare ai picchi e ai vari insetti xilofagi).

 

Sequioadendron giganteum. Fonte: http://lh2treeid.blogspot.it/2010/09/sequoiadendron-giganteum-giant-sequoia.html

 

Sempre rimanendo nelle foreste pluviali, le liane assorbono acqua e nutrienti dal suolo con le radici, come avviene per quasi tutte le piante, ma per arrivare in cima alle chiome degli alberi su cui crescono devono essere in grado di trasportare le sostanze nutritive attraverso i lunghissimi fusti, che possono raggiungere anche i 900 metri di lunghezza! Per questo il sistema di trasporto di acqua delle liane è il più avanzato ed efficiente in assoluto. Un’altra pianta equatoriale, il taro gigante (Alocasia robusta) possiede la superficie più grande indivisa di qualunque altra foglia sul pianeta: arriva a oltre 3 metri di lunghezza e oltre 2 metri di larghezza. Le sue enormi foglie lucide prosperano nel sottobosco delle foreste tropicali dell’Asia, disponendosi in modo tale da raccogliere la maggiore quantità possibile di luce durante tutto il giorno.

 

Alocasia robusta. Fonte: UBC Botanical Garden Forums

 

Parlando sempre di lunghezza delle foglie, le palme non sono da meno: molte specie hanno foglie lunghe anche parecchi centimetri ma prima fra tutte c’è la palma rafia (Raphia farinifera), le cui foglie possono pendere per 24 metri, praticamente quanto un edificio di sette piani. E ancora, il seme più grande di qualsiasi pianta è sempre appartenente ad una palma, il coco de mer (Lodoicea maldivica), di cui abbiamo parlato in un post di qualche mese fa, e la più grande infiorescenza è sempre di una palma, la Corypha umbraculifera.

Passando dalle dimensioni alle proprietà fisiche, il bambù è una graminacea che, oltre ad essere la specie erbacea più grande, con un fusto talmente duro e legnoso da competere con l’acciaio. E’ infatti in grado di resistere a pressioni di circa 7000 N/m2 (una pressione che potrebbe schiacciare la pietra), che la rende l’organismo vivente pianta più forte in assoluto, davanti al quale anche i muscoli più efficienti dei vertebrati impallidiscono. Ripresa dall’alto, a mo’ di un telescopio che si apre, ogni nuova sezione della pianta si estende dal centro delle vecchie sezioni. Le specie di bambù più veloci sono in grado di avanzare verso la luce ad un ritmo impressionante di oltre 5 centimetri all’ora (più di un metro al giorno!). Questa incredibile capacità di crescita rende il bambù una pianta cruciale per il controllo dell’erosione del suolo.

 

Foresta di bambù. Fonte: http://www.nuok.it/chioto/una-passeggiata-fra-le-canne-di-bambu/

 

Alcune piante, come il banksia arancione (Banksia prionotes), hanno evoluto strategie riproduttive che si basano sugli incendi. A causa della sua altezza (fino a 10 metri) e dello scarso fogliame, è in grado di sopravvivere anche alle fiamme di un incendio boschivo. Non appena il calore attorno alla sua base raggiunge i 265°C (superando così anche le spore batteriche più resistenti al calore) i suoi grandi coni ricchi di semi sono “cotti al forno”. Quando poi il fuoco diminuisce e la temperature dei coni cala, questi si aprono, permettendo ai loro semi di cadere sulla terra arida, dove germinano. Ci sono poi vere e proprie specie incendiarie, come l’eucalipto, che questi incendi per così dire li provocano, avendo evoluto del fogliame coriaceo, resinoso e oleoso che facilmente prende fuoco a temperature superiori ai 40°C. Naturalmente lo fanno per un loro vantaggio: i loro semi germinano solo se esposti al fuoco e il fuoco fa fuori tutti i loro competitori; ma questa è un’altra storia che racconterò presto.

 

Il seme più robusto di qualsiasi altra pianta in natura è quello della specie acquatica perenne Nelumbo nucifera, o loto sacro, che cresce nelle praterie umide di Asia, Medio Oriente e Australia. Prove fossile indicano che queste piante erano presenti nel primo Cretaceo – tra 145 e 100 milioni di anni fa – e sono tra le più antiche piate a fiore. Il segreto della sua sopravvivenza viene dalla capacità di emettere nuovi germogli dai rizomi, modificazioni del fusto con funzione di riserva; in questo modo, una singola pianta può crescere fino a coprire uno specchio d’acqua dolce in pochi mesi. Grazie ai rizomi che la fissano in profondità nel fango, la pianta emette foglie rotonde che galleggiano sulla superficie dell’acqua Una volta l’anno, vaste superfici coperte a loto producono fiori profumati, di circa 20 cm di diametro, di colore rosa, rosso e bianco. Dopo l’impollinazione, producono semi grandi pressappoco quanto un’oliva, di aspetto marmoreo. I semi di loto sono coperti da un rivestimento legnoso incredibilmente duro, quasi completamente impermeabile all’acqua. Dopo la caduta dalla pianta, questi semi si depositano sul fondo del loro habitat acquoso, dove possono rimanere per centinaia di anni. Alcuni di questi semi (con un’età di più di 1000 anni) sono stati recuperati da un’antica torbiera in Manciuria e, dopo essere stati esposti all’acqua, sono stati ancora in grado di germogliare . Nel tentativo di verificare la vera forza di questi semi, essi sono stati sottoposti a fiamma ossidrica, sepolti nel cemento e presi a martellate, senza tuttavia subire alcun danno.

 

Se pensiamo che il record di velocità appartenga ai ghepardi, ancora una volta, sbagliamo. Il fiore di una specie di Cornus canadensis è più veloce di una pallottola. Si tratta di una specie di corniolo perenne, tappezzante, originario dei boschi dalla costa orientale degli Stati Uniti fino al Canada. Questo “super- speeder “ si muove 100 volte più veloce della pianta carnivora venere acchiappamosche e oltre il doppio dell’ultraveloce canocchia pavone (Odontodactylus scyllarus), un crostaceo provvisto di micidiali arti raptatori che possono frantumare i gusci robusti di molluschi e crostacei, o immobilizzare pesci di taglia superiore alla sua. Tornando l corniolo, questo diffonde il suo polline come una catapulta, ad una velocità incredibile (meno di 0,5 millisecondi). Utilizzando le riprese video ad alta velocità, ricercatori del Williams College (MA, USA), hanno cronometrato le piccole esplosioni di Cornus canadensis. Il risultato è che i petali costringono gli stami ricchi di polline in una posizione ripiegata. Quando i petali si aprono, i quattro stami si dispiegano, accelerando a 2.400 volte la forza di gravità, circa 800 volte l’accelerazione che un astronauta sperimenta durante un decollo. Questi fiori sbocciano sorprendentemente in un tempo più breve di quello necessario a un proiettile per raggiungere l’uscita della canna di un fucile.

 

 



Apertura del fiore di Cornus canadensis registrata a 10.000 fotogrammi al secondo.

 

Le piante ci battono, come sappiamo bene, anche in longevità, e questo non soltanto grazie ai semi. Pinus longaeva è una specie di pino caratterizzata da estrema longevità, scoperta nelle regioni di alta quota delle montagne del sud-ovest degli Stati Uniti. Un esemplare di Pinus longaeva, soprannominato Matusalemme, localizzato nella Antica foresta dei Pini dai coni Setolosi delle montagne Bianche californiane ha un’età di oltre 4700 anni, stimata mediante la conta degli anelli di crescita annuale in un piccolo campione prelevato con la tecnica del micro-carotaggio. Questo esemplare è l’albero singolo più longevo del mondo. La più antica pianta conosciuta è però probabilmente un arbusto di creosoto (Larrea tridentata) nel deserto del Mojave, in California. Si ritiene che alcuni di questi cespugli abbiano 11.700 anni! In Tasmania, ad un esemplare di agrifoglio del re (Lomatia tasmanica), scoperto qualche anno fa, è stata attribuita l’ età di 43.600 anni: il record di longevità assoluto per un vivente. Sono numeri che hanno dell’ incredibile ma secondo alcuni botanici vi sarebbero piante che, riproducendosi per clonazione, potrebbero avere anche un milione di anni.

 

Infine – è questo è periodo – il miracolo. Mentre nutriamo seri dubbi su Lazzaro, la Selaginella lepidophylla, o falsa rosa di Gerico, è una pianta che si è adattata a sopravvivere alle condizioni di prolungata siccità del suo ambiente naturale perché, anziché modificare il proprio metabolismo, cercare di trattenere acqua durante il giorno e assorbire quanta più umidità possibile durante la notte, lascia che i propri tessuti si disidratino fortemente (fino al 5%!). Quando l’umidità del terreno e dell’aria torna a salire, anche dopo molto tempo da quando si è disidratata, questa pianta è in grado di reidratarsi e recuperare perfettamente le proprie capacità fotosintetiche e di crescita. Piante di questo tipo sono state chiamate “piante della resurrezione” (ne esistono circa 330 specie conosciute in tutto il mondo e capaci di simili adattamenti). Non sempre però le piante della resurrezione riescono a “risorgere”: nel caso della Selaginella, se la disidratazione è stata troppo rapida, o in caso di un’alternanza irregolare di condizioni di siccità e umidità, la pianta non ha il tempo di prepararsi a dovere a resistere allo stress idrico a cui è sottoposta. Allo stesso modo, le capacità di seccarsi e riprendere a vivere possono scemare nel tempo e la pianta, dopo decine di volte in cui riesce ad alternare il disseccamento e la crescita vegetativa, muore.

 

 



La resurrezione di Selaginella lepidophylla.

 

Buon anno a tutti!

 

 

Grazie a loro, ho scritto

 

A caccia delle piante più vecchie della Terra. Corriere della Sera. http://archiviostorico.corriere.it/2002/aprile/07/caccia_delle_piante_piu_vecchie_co_0_0204072496.shtml

Age shall not wither them: the oldest trees on Earth. http://www.google.com/hostednews/afp/article/ALeqM5jbqPkeCraj9vmMDWjweCt0A6fKow?hl=en

Stefano Mancuso, Alessandra Viola (2013) Verde Brillante. Giunti.

The Plant Talent Show, 7 Unbelievable Things that Plants Do When You aren’t Looking. http://www.realfarmacy.com/the-plant-talent-show/#l5h07zBKsBSYjQxc.99

Will Benson (2012) Kingdom of Plants. Collins.

Appunti personali di vario genere.

 

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