Apr
02
2013

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Evoluzione pre-Darwin

 

“Si tende a pensare che le piante traggano origine dal suolo, ma in realtà gran parte della materia che le compone proviene dall’aria”

(Fritjof Capra; La Rete della Vita)

 

“La fotosintesi: l’innovazione metabolica singola più importante nella storia della vita sulla Terra”

(Lynn Margulis e Dorion Sagan; Microcosmo)

 

 

Nel suo “Universo”, uno dei più bei romanzi brevi di fantascienza che abbia mai letto, Robert Heinlein narrava di uomini ignari di vivere da generazioni in un’astronave alla deriva. L’astronave aveva avuto inizialmente uno scopo: sfuggire da una Terra ormai in rovina e dirigersi verso un pianeta orbitante intorno ad Alpha Centauri, la stella più vicina al Sole, per colonizzarlo, ma ci sarebbero volute generazioni di uomini prima di arrivarci. Con il tempo, erano morti i membri dell’equipaggio terrestre originario, c’erano stati disordini e ammutinamenti; lo scopo della missione era diventato prima leggenda e poi religione. Per gli ignari passeggeri, l’Universo era la nave stessa. Era inconcepibile pensare ad altro al di fuori di essa. La nave provvedeva a tutte le esigenze vitali dell’equipaggio in cambio di energia ottenuta mediante piccoli e grandi inceneritori. La produzione di energia era rigidamente regolamentata, così come la vita ed il lavoro, duro e gerarchico. Tutto si dava per scontato, ma semplicemente perché gli ingegneri terrestri avevano previsto che con il tempo sarebbe giunta l’ignoranza e la dimenticanza, per cui i passeggeri non sarebbero stati più in grado di manovrare la nave né di ricordare lo scopo della missione. Per questo motivo l’avevano progettata semplice e semi-autonoma, diretta verso la stella.

La situazione non è molto diversa dalla nostra: diamo per scontato che ciò che ci circonda sia sempre stato così. Diamo per scontato, ad esempio, l’ossigeno che respiriamo ma non pensiamo che l’ossigeno libero in atmosfera non c’è sempre stato. Diamo per scontato che l’agricoltura sostiene i nostri bisogni di cibo, ma in che modo le piante crescano non ce lo chiediamo praticamente mai. Come i progettisti avevano pensato alla nave prima della sua costruzione, la vita sulla Terra non è nata con essa, ma si è sviluppata da circostanze contingenti e casuali, ma comunque altamente probabili in un lasso di tempo enorme (parliamo pur sempre di miliardi di anni!). Prima dell’evoluzione biologica in termini darwiniani, c’è stata una vera e propria evoluzione chimica, che ha seguito regole e meccanismi ancora oggi poco chiari. Grazie a questa evoluzione, probabilmente la vita si è potuta sviluppare ed evoluta dalla “non-vita”.

A partire dai semplici elementi chimici di origine stellare, furono probabilmente queste sotto le prime reazioni che avvennero sulla neonata Terra.

 

A partire da queste prime molecole, vari esperimenti furono effettuati per mostrare i vari aspetti dell’evoluzione di molecole più complesse alla base dei processi biochimici – e quindi della vita -, i primi dei quali furono compiuti da Miller e Urey negli anni ’50 con il loro famoso esperimento. Tuttavia furono ottenuti solamente mattoncini organici molto semplici, e comunque riscontrabili, seppur in piccolissime concentrazioni, anche nello spazio, dove la loro produzione è catalizzata dai raggi cosmici. L’evoluzione chimica, molto prima di quella biologica, prevedeva che semplici composti potessero catalizzare la creazione di copie di se stessi (qualcosa di simile alla formazione di un cristallo o di un polimero) in un ambiente ricco dei composti necessari. A seguito della replicazione, poi, furono creati alcuni composti con leggere differenze casuali, come avviene un po’ per le mutazioni biologiche. Questi “replicatori” potrebbero aver prodotto macromolecole complesse in grado di autoconfinarsi, autogenerarsi e autoperpetuarsi: erano queste le prime protocellule “viventi”. Da allora, l’evoluzione biologica ha fatto da padrona.

Eppure, mentre le cellule si compartimentalizzavano e organizzavano i loro organelli, l’evoluzione chimica andava avanti, ignara di quella biologica, silenziosa e costruttiva. La Terra era ricca di acqua oceanica e di anidride carbonica atmosferica, per cui abbondava questa reazione:

 

CO2 + H2O –> CHO + O2

(an. carbonica + acqua à formaldeide + ossigeno)

 

L’ossigeno prodotto era comunque appena necessario per ossidare tutto ciò che trovava e non ne rimaneva molto di libero in atmosfera. La formaldeide invece, con il suo doppio legame polare carbonilico (>C=O) era una novità. Molecole di formaldeide potevano partecipare a reazioni di addizione nucleofila con alcoli e ammine e quindi erano in grado di concatenarsi, formando molecole più lunghe, che a volte si chiudevano a formare molecole cicliche. Tra queste, c’era il pirrolo, con il suo anello costituito da quattro atomi di carbonio e un atomo di azoto (figura in basso). Nel pirrolo, il doppietto elettronico contribuisce al sestetto aromatico. Per tale motivo, al contrario di molti altri composti simili, è un composto anfotero, cioè si comporta sia da acido che da base debole. E’ quindi una molecola molto versatile e abbastanza reattiva.

 

 

E qui arriviamo al punto (siamo pur sempre in un blog semiserio di biologia vegetale…). Molecole di pirrolo sono presenti in importanti composti naturali come la clorofilla, l’eme dell’emoglobina, la vitamina B12, i pigmenti biliari e molti alcaloidi. Precisamente, sono quattro pirroli che si uniscono a formare un anello tetrapirrolico, chiamato anello porfirinico, nucleo di base per tutte queste molecole. Soffermiamoci sulla prima molecola elencata: un momento decisivo per l’evoluzione deve essere stato la comparsa della clorofilla (“foglia verde”), che permise di sfruttare l’energia solare per trasformare semplici sostanze inorganiche come l’anidride carbonica e l’acqua in sostanze organiche ricche di energia. Ma la clorofilla fu verosimilmente preceduta da qualche cosa di più semplice. Nel 1966 due biochimici canadesi, partendo da pirrolo e formaldeide, ottenibili a loro volta da molecole più semplici, riuscirono ad ottenere la formazione di anelli porfirinici.

Struttura della clorofilla a e della clorofilla b. In nero, anello porfirinico; in rosso, la coda di fitolo. Fonte: Heldt & Piechulla (2010)

 

Qui sopra c’è una molecola di clorofilla, con in nero il suo anello porfirinico sostituito e in rosso la lunga coda idrocarburica chiamata fitolo. Quest’ultima permette alla clorofilla di inserirsi all’interno delle membrane del cloroplasto, l’organulo adibito appunto alla fotosintesi, un po’ come un chiodo in una parete. Al centro dell’anello porfirinico c’è un atomo di magnesio che gli conferisce stabilità, rigidità ed evita che l’energia catturata dal sole si disperda sotto forma di calore. La comparsa sulla Terra della clorofilla creò le condizioni che favorirono l’evoluzione della respirazione aerobia. Oggi sappiamo che questo evento si è probabilmente realizzato nei cianobatteri (vedete il mio post di qualche tempo fa), approssimativamente due miliardi e mezzo di anni fa. In corrispondenza di questo evento, sui fondali oceanici si iniziarono a formare i red beds (letti rossi), uno strato di ferro trivalente insolubile derivato dall’ossidazione del ferro bivalente disciolto in acqua. Questo processo di ossidazione fu causato dall’incremento di ossigeno atmosferico prodotto dalla fotosintesi ossigenica, che sciendeva l’acqua in idrogeno e ossigeno. Come si sia arrivati alla clorofilla ci è difficile dirlo, anche perché le condizioni ambientali erano completamente diverse da quelle moderne e, come è avvenuto per tante altre molecole complesse, è stata frutto di situazioni remote poi modificatesi.

 

Già Isaac Newton, nel 1730, aveva suggerito che la luce e la materia potessero interconvertirsi, e Stephen Hales (1727) aggiunse che questa convertibilità poteva avere un ruolo nella nutrizione vegetale. Paul Castelfranco e Sam Beale, nel 1983, furono tra i primi a chiarire come la clorofilla fosse sintetizzata nelle piante. Nel 1960, fu sintetizzata per la prima volta in laboratorio dai ricercatori di Harvard, capeggiati da Woodward. Castelfranco, poliedrico ricercatore di origine italiana, fra l’altro poeta e studioso di religione (vi invito a leggere il suo fantastico articolo autobiografico citato nella bibliografia), definì le complesse reazioni del pattern biosintetico della clorofilla in uno schema semplice, accessibile anche ai comuni mortali. Ve lo riporto tradotto qui in basso.

 

 

La comparsa della clorofilla fu stata davvero epocale, nel vero senso della parola. Le clorofille sono infatti i pigmenti che rendono le piante verdi e sono senza dubbio i composti più importanti sulla Terra in quanto sono necessari per la raccolta e la trasmissione di energia luminosa nella fotosintesi. La percentuale più elevata di energia luminosa assorbita durante la fotosintesi avviene infatti per assorbimento diretto della luce da parte clorofille. Proprio per questo loro ruolo cruciale, le mutazioni degli enzimi appartenenti alla via biosintetica della clorofilla sono spesso letali per le piante.

 

I tanti tipi di clorofilla. In basso a destra, a mo’ di confronto, la vitamina B12. Fonte: Davies (2009).

 

La clorofilla a e la clorofilla b sono i principali tipi di clorofille delle piante cosiddette “superiori”. Hanno un caratteristico colore verde a causa della forte assorbimento di blu e rosso . Le clorofille hanno inoltre una caratteristica fluorescenza rossa che viene facilmente osservata quando i tessuti vegetali sono irradiati con luce blu. Altre clorofille minori e composti derivati dalle clorofille sono stati riscontrati nelle piante. Le più importanti sono la clorofilla a’ e la feofitina . Alghe, cianobatteri e batteri fotosintetici hanno altri tipi di clorofille o batterioclorofille. Sebbene le differenze nella composizione chimica delle clorofille siano minime, queste determinano diversità a livello degli spettri di assorbimento permettendo agli organismi fotosintetici di adattarsi ad ambienti diversi e di sfruttare al meglio la radiazione luminosa.

Ma perché le clorofille sono così brave a catturare i fotoni? Perché sono molecole con tantissimi doppi legami coniugati tra atomi di carbonio (alternati, uno sì ed uno no). Questi sono presenti nella maggior parte dei pigmenti, cioè nelle sostanza colorate. Al contrario di tanti altri pigmenti, però, la clorofilla è estremamente efficiente. Giusto a titolo di esempio, la rodopsina, una pigmento “cattura-luce” presente nei nostri occhi, è terribilmente inefficiente in quanto non assorbe la luce verde, il colore prominente dello spettro solare sulla superficie terrestre perché attraversa facilmente l’atmosfera e le nuvole.

Se il quadro di questo tipo di evoluzione fosse chiaro almeno quanto quello dell’evoluzione biologica, credo sarebbero più chiari molti particolari sulla comparsa della vita e sulle sue proprietà peculiari. L’evoluzione chimica è infatti probabilmente più basilare di quella biologica. In fin dei conti, senza clorofilla, non ci sarebbero state le piante e, senza di queste, nemmeno noi saremmo qui a leggere questo articolo.

 

 

Grazie a loro, ho scritto:

 

Castelfranco Paul A (2007) Studies on chlorophyll biosynthesis and other things. Photosynthesis Research 91: 25-36.

Davies Kevin (2009) Plant pigments and their manipulation. Annual Plant Reviews, 14. CRC Press.

Heldt Hans-Walter , Piechulla Birgit (2010) Plant Biochemistry, Fourth Edition. Academic Press

Labra Massimo. L’evoluzione della molecola della clorofilla. http://www.treccani.it/scuola/lezioni/in_aula/biologia_e_chimica/evoluzione_molecolare/labra.html

Wayne Randy (2010) Plant Cell Biology. From Astronomy to Zoology. Academic Press.

 

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