Dic
12
2012

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Spazio alle piante

 

Questo articolo e’ stato scritto per il Carnevale della Biodiversità, settima edizione dal tema: “Ho visto cose… La biologia dei mondi fantastici”. Per la rassegna completa di tutti i blog e post che partecipano al carnevale andate sul blog Mahengechromis.

 

 

Spazio alle piante

 

Perché studiare le piante nello spazio? Perché la NASA conducendo ricerche a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (SSI)?

Apparentemente sembra che non ne valga la pena e che le difficoltà siano tante, come dimostrato da molti articoli apparsi alla fine degli anni ’90-inizio ‘00 (leggete qui). Ancora oggi, nel sito del “BBC Science Club”, per un’ora intera si è parlato della colonizzazione umana dello spazio e delle forme di vita extraterrestri, senza mai menzionare le parole “pianta” o “fotosintesi “. L’episodio precedente a questo ha riguardato l’estinzione, senza però mai fare riferimento alle piante e utilizzando un chiaro approccio zoocentrico, come elegantemente riassunto da Eoin Lettice (http://www.communicatescience.eu/2012/11/bbc-science-club-and-plant-blindness.html).

A pensarci solo un attimo però, anche chi non ha basi di biologia comprende che se gli esseri umani decidessero di creare colonie permanenti nello spazio, avrebbero necessità del sostegno delle piante, come spiegato nel divertente quanto istruttivo programma web “Dara O Briain’s Science Club”. Oltre a questo, la BBC può fare interessanti programmi scientifici di taglio divulgativo sulle piante, tra cui la splendida serie “Come coltivare un pianeta” (http://www.bbc.co.uk/programmes/b01bywvr), che è possibile scaricare a soli 5 euro.

Passando dai media al laboratorio, per dimostrare la nostra dipendenza dall’ossigeno di origine vegetale si utilizzano spesso i “vasi a campana di Priestley” (vedi figura sotto), un tipo di contenitore in cui si fanno studi come questo: http://www.extremephysiolmed.com/content/1/1/4. In questo esperimento, l’idea di mettere un essere umano nella campana di vetro di Prestley in presenza e assenza di piante è a dir poco originale (nonché rischiosa, ma la rivista peer-reviewd si chiama appunto per questo Extreme Physiology & Medicine) e rende bene l’idea di quanto sia impossibile la nostra vita senza i vegetali.

 

 

Uno dei “giardinieri spaziali” più conosciuti si chiama Robert Bowman, ingegnere al Lunar Plant Growth Chamber della NASA. Riporto qui uno stralcio della sua bella intervista, dove dà un significato concreto agli esperimenti con le piante nello spazio:

Lo spazio è un mondo di sfide per tutti gli esseri viventi, compresi gli esseri umani. Oltre alla leggerezza, ci sono molti altri aspetti della vita che diamo per scontati qui sulla terra, che non si applicano nello spazio. Se non c’è su e giù, come fanno le piante a sapere dove mettere radici? Immaginate di vivere in una scatola di metallo sterile con un volume molto limitato per diversi mesi o anni. Non si accettano animali, non ci sono persone care né piante d’appartamento, niente di vivo intorno a te, solo ronzio, macchine e luci lampeggianti. Non ce ne rendiamo spesso conto, ma troviamo molto conforto nel condividere il nostro mondo con altri esseri viventi. La vita in una navicella spaziale velocissima destinata ad un pianeta lontano potrebbe essere quindi un’esistenza molto difficile in un modo che si può solo iniziare a immaginare”.

 

E per compiere esperimenti nello spazio, cosa c’è di meglio che la pianta modello Arabidopsis thaliana, il cui genoma è corto, completamente sequenziato e ben conosciuto? Piastre con agar e soluzioni nutritive (vedi foto in basso), in cui germinano semi di Arabidopsis, vengono ormai sempre più inviate nello spazio, come si legge qui e anche qui, e, ancora, in questo video della NASA (“Growing the Future” è il nome del progetto).

 

 

Sarebbe interessante studiare la capacità di questa specie – dei cui processi di sviluppo si conosce moltissimo – di crescere sul altri pianeti colonizzabili. La fantascienza è piena di questi esempi ma la realtà forse sarà un po’ più complessa! Il romanzo di Kim Stanely Robinson Green Mars prende ad esempio il titolo dal processo di terraforming (terraformazione: trasformazione di un pianeta in Terra), in cui le piante cominciano a crescere sul suolo marziano. Le caratteristiche del paesaggio marziano e l’evoluzione della nuova biosfera marziana sono descritte dettagliatamente nel corso del libro, illustrando i progressivi cambiamenti. Uno dei primi esempi di terraformazione in fantascienza è però del preveggente Isaac Asimov (nel racconto breve Maledetti marziani – The Martian Way – del 1952). Qui il fattore limitante non erano le piante ma qualcosa di ancora più a monte, cioè l’acqua. I protagonisti della novella compiono un viaggio verso gli anelli di Saturno per potersi appropriare di ghiaccio (e quindi di acqua) con 25 navicelle spaziali per poter riuscire poi a portare su Marte uno degli enormi blocchi galleggianti intorno al gigante gassoso, consentendo così la sua colonizzazione. Tornando ad Arabidopsis, dubito sia una specie così adattabile, anzi è piccolina e fragile, piuttosto sensibile alla fotoinibizione e alle alte temperature (in fin dei conti è una Brassicacea come cavoli e rape e quindi ama l’inverno), quindi posso solo immaginare i danni sotto l’esposizione alle radiazioni presenti su Marte, nonostante le eventuali serre. E’ anche vero però che di Arabidopsis ci sono tanti ecotipi, molti dei quali geneticamente modificati.

Apriamo una piccola parentesi: “Non c’è nulla che precluda la vita” ha detto lo scienziato NASA Samuel Kounaves, commentando i risultati dell’analisi del campione di terriccio marziano prelevato dalla sonda Phoenix nel 2008: “Quello di Marte è il tipo di suolo che potrebbe essere trovato nel vostro giardino, ricco cioè di sostanze alcaline e di sostanze tossiche per la vita, quali quelle contenenti arsenico. Un suolo su cui potrebbero crescere gli asparagi”. Questa frase ha causato il subitaneo spunto del presidente del Consorzio di Tutela dell’Asparago Bianco di Bassano a Denominazione di Origine Protetta: «Saremmo felici che su Marte si piantasse l’asparago, perché siamo certi che il patrimonio genetico di queste piante, che le famiglie bassanesi si tramandano da secoli di generazione in generazione, sia tanto valido da meritare una discendenza extraterrestre».

Il nesso con Arabidopsis l’ho trovato leggendo quest’articolo (mi riprometto di cercare appena posso il lavoro peer-reviewed a cui fa riferimento) in cui si parla di una varietà di Arabidopsis modificata geneticamente (ha due geni del batterio Escherichia Coli) da un gruppo di ricercatori dell’Università della Georgia, in grado di assorbire l’arsenico dal terreno e di scomporlo non tossiche. Ecco allora che l’Arabidopsis rientra in gioco e potrebbe essere utilizzata su Marte, ma questa è biologia teorica ed i posteri astronauti un giorno forse lo proveranno di persona. Che una pianta cresca su arsenico (o almeno solo su arsenico) effettivamente mi sembra un po’ strano, dal momento che già i batteri dal metabolismo molto più plastico e adattabile, hanno delle forti difficoltà. In questo studio, abbastanza famoso, si è parlato di un batterio estremofilo e alofilo (GFAJ-1 delle Halomonadaceae), isolato nei laghi salati della California ed in grado di crescere su arsenico. Dopo soli 18 mesi la smentita, con la dimostrazione che GFAJ-1 non vive grazie all’arsenico, ma nonostante lo stesso, e come non possa fare a meno del fosforo, per quanto in piccole quantità (arsenico e fosforo sono compari nella tavola periodica degli elementi e la confusione è legittima).

Nello spazio non inviano solo Arabidopsis ma anche altre specie fotosintetizzanti. Nel caso di studi su alghe unicellulari e cianobatteri, delle cui condizioni di crescita estreme ho parlato in questo mio post di qualche tempo fa), queste si fanno crescere in sospensione e sotto agitazione in bottiglie molto simili a quelle usate per le colture cellulari (vedi foto in basso).

 

Quali aspetti delle piante si studiano nello spazio? Prevalentemente i loro movimenti (detti tropismi) in assenza di gravità, in un ambiente con luci artificiali e che si muove a forte velocità. Questi movimenti sono principalmente tre: idrotropismo, gravitropismo e fototropismo, cioè lo spostamento delle piante rispettivamente verso l’acqua, la forza di gravità e la luce. Sicuramente siete tutti preparatissimi, ma se volete cimentarvi (l’ho fatto anch’io con piacere) con il Tropism Quiz, andate qui.

I risultati? Gli esperimenti sulle piante cresciute nello spazio (dei bei filmati li trovate su questo sito) hanno dimostrato prevalentemente che le piante crescono in tutte le direzioni. Dopo un po’ però le piante sembrano adattarsi alle condizioni e iniziare a crescere in una direzione più stabile. Questo perché iniziano ad utilizzare fonti diverse gravità per orientarsi: le foglie usano prevalentemente la luce come riferimento, mentre le radici sono attratte verso l’acqua. In questo video, intitolato Plantango (anche se forse sarebbe stato più opportuno chiamarlo Plantbolero), potete vedere come le radici delle piantine cresciute in assenza di gravità comincino inizialmente ad esplorare casualmente l’agar, per poi scegliere determinate direzioni sulla base di altri stimoli ambientali.


 

La frontiera più affascinante per questo tipo di studi è l’indagine sui metodi per fornire risorse agli esseri umani e ad altre specie biologiche per vivere e sopravvivere durante lunghe missioni spaziali (es. rotta Terra-Marte-Terra), e la rigenerazione dei rifiuti umani e di altro tipo in queste condizioni estreme. Il bioregenerative life support system (BLSS), brevettato dall’ESA, utilizza piante “superiori”, cianobatteri e batteri per questi due compiti, ma gli inconvenienti riscontrati sono stati tanti. I più importanti sono stati l’elevata sensibilità alle malattie e ai prodotti chimici in piante cresciute in condizioni “spaziali”. Inoltre, l’etilene (un ormone normalmente prodotto dalle piante) è il gas più dannoso in un sistema chiuso e deve essere in qualche modo intrappolato. Un altro guaio è causato dalle radiazioni solari e cosmiche presenti in grande quantità nello spazio (sulla Terra sono schermate dal campo magnetico terrestre) e che attraversano facilmente le navicelle e gli esseri viventi, i quali a lungo andare possono provocare mutazioni del DNA e alle generazioni successive di piante.

In futuro, sia alghe che piante superiori potranno essere utilizzati per la depurazione dell’aria e dell’acqua sia come fonti di cibo in una navicella spaziale, ma è realistico immaginare che le piante utilizzate per le spedizioni su Marte dovranno essere geneticamente modificate. E qui entra in gioco lo studio delle piante cresciute nello spazio: dall’analisi dei danni e dai modelli di crescita si potrà decidere quali geni modificare per una crescita e una produttività ottimali in assenza di gravità. Nelle piante, l’acqua occupa fino al 90% del peso dell’organismo; ma l’acqua è pesante e ingombrante, e quindi anche piccoli aumenti di questi due parametri fanno lievitare esponenzialmente i costi di una missione spaziale. Per alimentare completamente gli astronauti di un veicolo spaziale durante un lungo tragitto, le piante dovrebbero essere modificate per contenere il 90% di sostanze nutritive e solo il 10% di acqua, ma la sfida è ancora lunga.

 

 

Grazie a loro, ho scritto:

 

Bratislav Stanković (2001) 2001:A plant space odyssey. Trends in Plant Science 6: 591-593.

Claudia Di Giorgio (2009) Asparagi su Marte. http://digiorgio-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2009/01/28/asparagi-su-marte/

Felisa Wolfe-Simon (2011) A Bacterium that can grow by using arsenic instead of phosphorus. Vol. 332 no. 6034 pp. 1163-1166. http://www.sciencemag.org/content/332/6034/1163.abstract?ijkey=9bd1a2d2376edbd78915c36141e579e140fe71f8&keytype2=tf_ipsecsha

Günter Ruyters and Tom K. Scott (1997) Future research in plant biology in space: summary of critical issues and recommendations of the workshop. Planta (1997) 203: S211-S213.

Quella pianta mangia-arsenico (2002) Galileo. Giornale di scienza. http://www.galileonet.it/articles/4c32e1505fc52b3adf000e83

Tiziana Mariconi (2012) I batteri alieni all’arsenico erano davvero una bufala. http://daily.wired.it/news/scienza/2012/07/10/batteri-arsenico-bufala-365432.html

Tor-Henning Iversen. Why plant experiments in space? http://www.nordicspace.net/PDF/NSA152.pdf

http://esamultimedia.esa.int/docs/issedukit/en/html/t040606r1.html

http://virtualastronaut.tietronix.com/textonly/act25/game-plants.aspx

http://www.nasa.gov/audience/foreducators/plantgrowth/careercorner/Robert_Bowman_Profile.html

http://www.nasa.gov/audience/foreducators/topnav/materials/listbytype/How_Plants_Grow_in_Space.html

http://www.nasa.gov/mission_pages/station/research/news/plants_in_space.html

http://www.space.com/5045-french-astronaut-grows-plants-space.html

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