Mag
02
2012

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RNA family (part III, e ultima…)


[segue dal post precedente]


Quello di oggi è un argomento che conclude la serie di post sull’epigenetica, cominciate qualche mese fa. Vi ricordate i piccoli e dispettosi RNA presenti in una cellula? Tra questi, la categoria più singolare è quella degli Small Interefering (siRNAs). Queste piccole molecole di RNA a doppia elica (21-25 basi) riescono ad inibire l’espressione di alcuni geni, con effetti sorprendenti e, come vedremo fra un po’, parecchio utili. La scoperta di questi RNA è valsa a Andrew Fire e Craig C. Mello il premio Nobel per la medicina nel 2006. Come per tante scoperte, le piante hanno avuto anche qui un ruolo fondamentale.

In principio furono le petunie. Ricercatori statunitensi e olandesi, che lavoravano nei vivai, volevano petunie con una colorazione più intensa. I metodi del DNA ricombinante erano ormai disponibili, e così produssero piantine con una copia aggiuntiva di un gene responsabile per la colorazione dei petali. Il risultato fu inaspettato: i fiori non presentavano un colore più intenso ma al contrario erano bianchi oppure screziati, con delle zone bianche e altre tipicamente viola/lilla. Non si diede però molto peso a questo risultato.

Secondo la termodinamica, una volta spremuto un tubetto di dentifricio, è praticamente impossibile farcelo ritornare dentro. E fu così che dopo lo scoperchiamento del vaso (di petunie), le scoperte si susseguirono a ritmo sempre più serrato e non fu più possibile tornare indietro. Dopo qualche anno, i virologi vegetali inserivano nelle piante degli RNA virali a doppia elica, al fine di “vaccinarle” contro successivi attacchi virali. Il procedimento funzionava: le piantine divenivano immuni. Non si sospettava però che il meccanismo alla base fosse lo stesso di quello dell’esperimento delle petunie.

Ripetuto l’esperimento in un vermetto (Caenorhabditis elegans, divenuto una specie modello), si riuscì a silenziare alcuni suoi dei geni. Il salto era notevole: il meccanismo funzionava anche negli animali, ed anche molto bene. Fu coniato così il nome di “silenziamento genico” mediato da RNA a doppia elica (o RNA interference, RNAi; interferenza a RNA – qui trovate un utile gruppo di discussione sull’argomento, mentre qui un’intervista); ma il bello doveva ancora arrivare. Vi lascio immaginare le portate della scoperta. Inserendo l’RNA a doppia elica di un gene, si poteva silenziare quel gene, cioè impedire la sua espressione. Questo significava bloccare un gene senza però rimuoverlo; giusto disattivarlo, con un processo chiamato knock-out genico. In questo modo si sarebbe potuto studiare la sua funzione studiando gli effetti dovuti al suo spegnimento. Oppure ancora, silenziare geni potenzialmente pericolosi per le condizioni di un organismo (malattie genetiche, oncogeni, virosi vegetali, ecc.). Da una pianta di petunia ad un premio Nobel ce ne vuole, ma questo è proprio ciò che è avvenuto.

Rimaneva da chiarire però un piccolo particolare: il meccanismo molecolare alla base del tutto. Brevemente, ciò che accade è che l’RNA a doppio filamento inserito (dsRNA) è incorporato in un complesso enzimatico chiamato DICER, tagliato in frammenti a doppia elica più piccoli (gli siRNAs, appunto); questi ultimi, diventati a singola elica, vengono incorporati in un altro complesso chiamato RISC, il quale, come un cane da tartufo, trova l’RNA del gene complementare alla sequenza degli siRNA, degradandolo. In questo modo, l’RNA del gene non può essere tradotto e diventare proteina. In poche parole, il gene è disattivato a livello post-trascrizionale.

Capisco che tutto può sembrare oscuro, ma il buon vecchio Piero Angela, spiega tutto in questo video.


Oppure in questa animazione di computer grafica, che illustra bene il meccanismo della RNA interference.

Le regolazioni a livello epigenetico mediate dai piccoli RNA (quelli che abbiamo incluso nella “RNA family”, le cui applicazioni sono riassunte in questo bellissimo poster) sono solo una piccola parte di ciò che avviene in cellula. Esistono decine di altri meccanismi conosciuti e forse altrettanti, se non di più, ancora ignoti. Dai miei ricordi, emergono la metilazione del DNA, l’acetilazione degli istoni (proteine associate al DNA), l’avvolgimento più o meno stretto della cromatina, la regolazione dei fattori di trascrizione… tutta roba molecolare e dai meccanismi parecchio complicati.

Non voglio diventare prolisso e cito allora giusto due articoli che emergono dalla pila qui sulla mia scrivania, diligentemente contrassegnati con post it di diverso colore. Il primo articolo (Tom Misteli, 2011) illustra che il funzionamento dei nostri geni sarebbe influenzato dalla loro disposizione e dal modo in cui si muovono nello spazio tridimensionale del nucleo cellulare. In parole povere, i cromosomi (le grosse molecole di DNA che contengono i geni) non sarebbero sparsi a caso nel nucleo di una cellula ma ciascuno occuperebbe una posizione specifica. La loro organizzazione potrebbe quindi cambiare quando il comportamento cellulare si modifica, ad esempio nel corso di una malattia. Una posizione periferica di un cromosoma determinerebbe una sua minore distensione e quindi una minore trascrizione dei suoi geni. Spostandosi invece verso il centro del nucleo, il cromosoma diventerebbe attivo e disteso, e sarebbe circondato da fattori di trascrizione e di RNA polimerasi (enzimi che determinano la trascrizione dei suoi geni). In questo stato il gene si troverebbe in una transcription factory, libero di esprimersi al meglio.

Il secondo articolo, di Eric J. Nester (2012), è davvero incredibile. Abbiamo detto che l’epigenetica si situa tra l’ambiente e al DNA: è, per così dire, il modo in cui l’esperienza influenza il codice genetico, senza però modificarlo irreversibilmente. E fin qui ci sembrerebbe tutto logico. Recenti scoperte però riporterebbero in auge la teoria Jean-Baptiste Lamarck, il quale diceva che i tratti acquisiti durante la vita di un organismo (che so: avere muscoli sviluppati o suonare il violino), si potevano trasmettere ai figli. Da tempo, Darwin ci dice che non è così: il DNA dei figli non determina le caratteristiche acquisite perché deriva da quello che i genitori avevano alla nascita, quindi ben prima di acquisire quelle caratteristiche! Inoltre il DNA dei figli subisce ricombinazioni varie, ed è quindi è diverso da quello dei genitori. Sarebbe più logico pensare che un figlio potrebbe (condizionale) diventare un bravo musicista se vivesse in una famiglia dove si ascolta molta musica, acquisendo la dote dall’esperienza dei genitori e non dai lori geni. Eppure… sembra che topolini allevati da madri premurose abbiano modifiche epigenetiche diverse da quelle in topolini allevati da madri ansiose. Queste modifiche si conserverebbero fino all’età adulta e determinerebbero un comportamento simile a quello della madre. Madri premurose determinano quindi figlie premurose, e così via fino alle nipoti. Si tratta pur sempre di modifiche epigenetiche (quindi non del DNA) ma, se ci pensiamo un attimo, stavolta si tratta di modifiche trasmissibili. Lamarck non aveva tutti i torti…

[FINE]

 

 

Grazie a loro, ho scritto:

Suzanne Clancy (2008) RNA functions. Nature Education 1(1)

Courtney Wilkins et al. (2005) RNA interference is an antiviral defence mechanism in Caenorhabditis elegans. Nature 436, 18 August 2005: 1044-1047.

Gregory J. Hannon (2002) RNA interference. Nature 418, 11 July 2002: 244-251.

Tom Misteli (2011) La vita intima del genoma. Le Scienze 512, aprile 2011: 38-45.

Eric J. Nester (2012) Il codice epigenetico della mente. Le Scienze 522, febbraio 2012: 64-71

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