Set
01
2011

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Grande è bello

 

Gli appunti universitari di ecologia risvegliano antichi dilemmi. Sembra che un organismo più piccolo significhi avere un metabolismo più veloce, una vita più corta, una maggiore temperatura corporea, e una maggiore capacità di riprodursi e di lasciare progenie che non viene curata più di tanto (strategia “r”, la chiamano). Facendo un paragone “astronomico”, gli organismi piccoli sembrano condurre una esistenza lampo così come una stella più grande e calda esaurisce prima il proprio combustibile idrogenato e vive milioni invece di miliardi di anni prima di scomparire. A pensarci bene è così; almeno negli animali, gli organismi piccoli vivono di meno e danno l’impressione di essere veloci, scattanti, brulicanti, ricchi di vita, con l’unico fine di riprodursi (penso agli insetti, ai vari vermi, ma anche a topi, conigli, gatti, ecc.). Se penso ai microrganismi unicellulari, procarioti o eucarioti che siano, il senso di brulichio e moltiplicazione è ancora più impressionante, al punto che già li vedo scindersi, gemmarsi, sporulare, coniugare; insomma ogni modo è buono per scambiarsi materiale genetico, dividersi e aumentare il numero di cospecifici.

La spiegazione che viene fornita a queste differenze tra organismi piccoli e grandi è quasi sempre la stessa: nei più piccoli il rapporto superficie/volume è maggiore, e gli scambi con l’ambiente esterno più elevati. Mi spiego meglio. A parità di forma – paragoniamo due sfere – quella più piccola avrà sicuramente meno volume e superficie di quella più grande (e fin qua ci siamo) ma il loro rapporto cambierà perché, all’aumentare del volume, questo cresce al cubo mentre la superficie al quadrato. Facendo un po’ di calcoli, ci si convince facilmente. La superficie di una sfera è 4πr2, mentre il suo volume 4/3πr3. Se la sfera ha un raggio di 1 m, la sua superficie è 12,56 m2, il suo volume 4,19 m3, il rapporto superficie/volume 3. Se il raggio diventa di 2 m, gli stessi valori diventano rispettivamente 50,24 m2,  33,49 m3 e 1,50. Una bella differenza, causata solo da un metro di differenza di raggio. Ma gli esseri viventi, ad eccezione dei Barbapapà, non sono sfere, hanno le loro “infinite forme bellissime”, e miriadi di attributi oltre alla forma. Questo è vero, ma è altrettanto vero che se c’è una fonte di calore al centro della sfera di 2 m, questo si disperderà più lentamente e difficilmente rispetto a quanto avviene nella sfera piccola. La sfera piccola, per mantenere una temperatura simile a quella della sfera grande, dovrà bruciare più combustibile nella sua fornace o bruciarne più velocemente, altrimenti si raffredderà. Nel caso di un organismo piccolo, esso dovrà avere un metabolismo più elevato e, poiché il metabolismo è paradossalmente alla base della nostra vita ma anche della nostra morte (il discorso qui sarebbe lungo), vivrà di meno.

Il discorso è valido non solo a livello di intero organismo ma a tutti i livelli, per esempio basta pensare che, a parità stavolta di dimensioni,  i tessuti che devono scambiare, disperdere, assorbire gas, calore, sostanze con l’ ambiente esterno sono formati da strutture piccole e ramificate, in modo da avere una maggiore superficie di scambio (penso alle branchie, agli alveoli polmonari, ai capillari, ai villi intestinali, alle radici delle piante, ma probabilmente ci sono innumerevoli altri esempi).

Cosa succede nelle piante? Sulla più autorevole e accessibile fonte del sapere, Wikipedia, da cui hanno preso spunto quasi tutti i testi di ecologa vegetale, leggo che “nella strategia r, propria delle piante, dei microrganismi, dei funghi, della maggior parte degli animali (soprattutto fra gli Invertebrati), l’energia è investita nel produrre un elevato numero di gameti e zigoti; dall’impatto con l’ambiente si avrà un’elevata mortalità, ma il numero di discendenti che sopravvivono e giungono alla maturità sessuale è così alto, in termini assoluti, da permettere anche temporanee fasi di crescita esponenziale.”

Quindi le piante sono organismi a strategia r e come tali dovrebbero avere piccole dimensioni, elevata prolificità, cicli di sviluppo brevi, intenso ricambio generazionale, elevata mortalità; e assenza di cure parentali.

In parole povere, le piante dovrebbero essere assimilabili agli invertebrati, e difatti generalmente generano uno sterminato numero di embrioni (semi) che si disperdono in qualche modo nell’ambiente e dei quali sono un piccolissima percentuale germina e dà origine ad individui adulti. Ma una pianta grande ha un metabolismo più veloce di una pianta piccola? Misurare il metabolismo di una pianta, soprattutto quello delle radici, non è così facile come negli animali, ma possiamo tentare di rispondere.

Innanzitutto, è vero che le piante hanno generalmente una strategia r? Ricordo che nelle Gimsnosperme (Conifere) e nelle Angiosperme (piante a fiore), la pianta madre ospita sia il gametofito (una pianta microscopica ma comunque diversa dalla pianta madre) e il nuovo embrione dello spermatofito. Cioè, più che una pianta madre è una pianta “nonna” che ospita altre due generazioni prima che il seme si disperda. Nelle piante a fiore, poi, il seme è protetto dal frutto, derivante solitamente dall’ovaio della pianta madre, e lo stesso seme possiede tegumenti protettivi derivanti dalla pianta madre. Quindi ci andrei cauto a dire che le piante non hanno meccanismi di protezione in qualche modo assimilabili alle cure parentali degli animali.

Per quanto riguarda invece le dimensioni, dando per scontato che la forma delle piante sia simile in quasi tutte le specie (cosa non vera ma, almeno nelle le piante terrestri, si riscontrano di solito radici, fusto e foglie) è vero che le piante, forse al pari o più degli animali, hanno un’incredibile varietà di forme, passando dalle sequoie giganti californiane che arrivano fino a 120 m, fino alle alghe unicellulari del genere Chlamydomonas, gradi circa 25 micron (0,025 millimetri). Se le sequoie vivono di più rispetto alle alghe, e quindi vale la regola del minor rapporto superficie/volume degli organismi grandi, è anche perché sono più differenziate e resistenti grazie ai tessuti lignificati e suberificati. Un paragone più calzante potrebbe essere fatto tra piante annuali/biennali (molte piante erbacee) e perenni (alberi di solito), ed effettivamente questi ultimi sembrano vivere molto di più e avere un ciclo vitale più lento, nell’ordine mediamente delle decine di anni. Ma anche tra gli alberi le differenze sono marcate, più di quelle che ci possono essere tra un elefante e un topolino (che in fin dei conti appartengono alla stessa classe), e non sempre determinate dalle dimensioni. L’olivo è una pianta longeva, che può vivere mediamente centinaia di anni, ma alberi relativamente “piccoli” come il tasso possono raggiungere i millenni, pur avendo una forma e una dimensione non molto diversa da quella di abeti e pini. Gli esempi sono tantissimi e non intendo annoiarvi ancora, ma qual è la conclusione che posso trarre?

Ad esclusione delle alghe unicellulari, assimilabili ai protozoi animali, le piante pluricellulari hanno un’estrema variabilità non solo per forme e dimensioni, ma anche per tipo di metabolismo, ciclo vitali e presenza/assenza di metaboliti secondari (sostanze come terpeni, polifenoli, tannini, alcaloidi, ecc., prodotti in misura e modo diverso dalle diverse specie vegetali e che conferiscono resistenza a condizioni ambientali avverse e organismi patogeni). Per così dire, il metabolismo vegetale è più complesso e variabile tra specie e specie. Mi sembra quindi che le differenze metaboliche tra una spugna e un primate siano in qualche modo minori rispetto a quelle presenti tra un muschio e un faggio. Sebbene la vita media delle piante sia correlabile alle loro dimensioni, la loro variabilità inter-specifica è troppo alta e sarebbe interessante applicare test statistici per determinare se c’è una vera e propria correlazione tra dimensione e durata della vita, come hanno finora fatto gli ecologi per molte specie di animali. Per quanto riguarda la classificazione delle piante come specie a strategia r, che ho riscontrato in quasi tutti i libri di ecologia, anche qui farei delle opportune distinzioni tra pianta e pianta e lascerei questa classificazione solo per gli animali.

E con questo, ho concluso!

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