Giu
10
2011

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Di fiore in fiore

 

[il miele è] la sostanza dolce naturale che le api (Apis mellifera) producono dal nettare di piante o dalle secrezioni provenienti da parti vive di piante o dalle sostanze secrete da insetti succhiatori che si trovano su parti vive di piante che esse bottinano, trasformano, combinandole con sostanze specifiche proprie, depositano, disidratano, immagazzinano e lasciano maturare nei favi dell’alveare”.

(D.L. 21 maggio 2004, n. 179)

Le materie prime impiegate dall’ape per l’elaborazione del miele sono sostanzialmente il nettare e la melata, dove per melata si intende l’insieme delle sostanze secrete da insetti succhiatori (principalmente emitteri), che si trovano su parti vive di piante o dalle secrezioni provenienti da parti vive di piante. Sia il nettare che la melata sono raccolti dalle api per fare il miele.

Il nettare è la secrezione zuccherina, più o meno vischiosa, prodotta da particolari tessuti specializzati chiamati “nettàri”, che normalmente si trovano alla base dei fiori, tuttavia la loro posizione sulla pianta può essere molto varia e possiamo incontrare i nettàri anche in altre parti non riproduttive della pianta come le foglie, il tronco, i piccioli, ecc. Si parla di nettàri fiorali ed extrafiorali a seconda che siano portati dal fiore o che si trovino in altre parti.

Figura 1. Goccia di nettare che fuoriesce da un nettario di cactus (Glandulicactus wrightii).

I nettàri extrafiorali di molte piante sono reputati avere una funzione di ricompensa per alcune specie di formiche (Video 1), che così non si avvicinano al nettare dei fiori e allo stesso tempo fungono da deterrente per gli insetti fitofagi (soprattutto quelli che si nutrono di boccioli fiorali) poiché secernono composti a loro sgradevoli (Heil et al., 2009). Le specie vegetali che producono più nettare extrafiorale sono quelle che più ospitano queste specie di formiche. La presenza di questa simbiosi mutualistica, in cui sia piante che formiche ricevono vantaggi, aumenta il tasso riproduttivo della pianta del 49% e riduce l’erbivoria del 62%, anche se queste due variabili non sembrano essere strettamente correlati (Trager et al., 2010). Le formiche sono inoltre utili per trasportare e quindi disseminare i semi di alcune piante poiché le loro colonie tendono a nidificare nelle vicinanze delle fonti alimentari, in questo caso la pianta che produce nettare. Nel nido conservano il cibo, eliminano i detriti e defecano, aumentando così la quantità di nutrienti a disposizione delle radici delle piante ospitanti.



Video 1. Formiche che visitano i nettàri extrafiorali.


Da un punto di vista evolutivo, i primi nettàri che si conoscono sono quelli rinvenuti nella felce Pteridium aquilinum, dove hanno la funzione di attrarre le formiche, con conseguente scoraggiamento di eventuali predatori. I nettàri non sono sempre strutture con una medesima origine anatomica e funzione; dal punto di vista filogenetico, i diversi tipi di nettari sono spesso strutture analoghe (strutture che compiono il medesimo scopo ma con un’origine embrionale diversa) ma non omologhe (aventi la medesima origine). Essi rappresentano il risultato di una interazione tra pianta e animale che può essere sia volta ad attrarre che a scoraggiare l’animale stesso.

I nettàri sono, in generale, caratterizzati da un’epidermide e da un parenchima specializzato. In alcuni casi gli stomi del nettario perdono la capacità di schiudersi e perciò vengono considerati stomi modificati che permettono una secrezione continua del nettare. Al tessuto di cui è composto il nettario viene dato il nome di “nettarifero” e le sue cellule, specialmente quelle del parenchima, sono spesso piccole e hanno un grosso nucleo. In altri casi, la fuoriuscita del nettare dalle cellule del nettario può avvenire attraverso aperture simili agli stomi, attraverso i peli ghiandolari o la cuticola, che si rompe in seguito al rigonfiamento dei tessuti sottostanti.

Molto probabilmente in origine i nettàri erano assimilabili alle ghiandole che avevano il compito di eliminare all’esterno sostanze presenti in eccesso nel vegetale, principalmente zuccheri prodotti dalla fotosintesi. Erano quindi una specie di “cloaca”. Queste soluzioni zuccherine attiravano però anche gli insetti impollinatori, e quindi l’evoluzione ha fatto in modo che nella maggioranza dei casi i nettàri si venissero a trovare nei fiori; in tal modo gli insetti volando di fiore in fiore per nutrirsi di nettare si sporcavano di polline, favorendo la fecondazione incrociata delle piante.

 

La faccenda è affascinante:

1) I nettàri sono stomi modificati che compaiono con una funzione secretoria.

2) Il nettare attirava alcune formiche, i quali ne respingevano altri dannosi per le piante. E’ nata così una forma di simbiosi mutualistica, con vantaggi da entrambe le parti.

3) Altri insetti, questa volta impollinatori, si cibavano del nettare presente nei fiori e si sporcavano di polline. Si è stabilita una seconda simbiosi mutualistica.

4) I nettàri, derivanti dagli stomi, sono stati cooptati per la nuova funzione di ghiandole di escrezione escrezione (cambio di funzione: ex-aptation n.1!), poi sono diventati “attrattori” di formiche (ex-aptation n.2!!). In seguito, con un’altra ex-aptation (n.3!!!), sono diventati organi utili per l’impollinazione.

5) Stabilitasi la simbiosi mutualistica – spesso stretta e obbligata per molte specie vegetali – fiori e insetti si sono co-evoluti: l’ambiente ha selezionato le caratteristiche favorevoli per migliorare la simbiosi.

 

Riguardo a quest’ultimo punto, gli esempi di co-evoluzione sono sorprendenti e coinvolgono tutti i sensi degli insetti:

1) Olfatto. Alcuni lepidotteri sono in grado di cambiare preferenze olfattive quando una specie vegetale è più abbondante. Cioè, preferiscono l’odore del nettare dei fiori appartenenti alla specie meno abbondante, anche se il nettare in questione contiene meno energia. In questo modo favoriscono sempre l’impollinazione della specie meno abbondante, che ne ha per così dire più “bisogno” (Riffell et al., 2008).

2) Gas-recettori. I fiori di una pianta affine al pomodoro sono in grado di emettere fino a 200 ppm di CO2 al di sopra i livelli ambientali durante l’antesi (schiusura del fiore), quando il nettare è più abbondante. Tali variazioni sono percepite da alcuni recettori sulle antenne del lepidottero impollinatore (Goyret et al., 2008).

3) Termorecettori. Alcuni impollinatori preferiscono i fiori con il nettare più caldo, in quanto ciò permette di non far abbassare troppo la temperatura corporea quando sono posati sul fiore. Non raffreddando troppo i loro muscoli, come corridori di una maratona, possono riprendere il volo più facilmente, con ovvi vantaggi in termini di velocità e fuga dai predatori (quando ci si ferma per mangiare c’è maggiore pericolo di essere mangiati!). Se la temperatura ambientale sale però oltre i 34°C, questa preferenza per il nettare caldo sparisce, dal momento che comunque non si raffreddano più di tanto (Norgate et al., 2010).

4) Vista. I bombi, insetti impollinatori come le api, hanno una maggiore preferenza per il colori delle corolle dei fiori che producono più nettare. Continuano a preferirli anche se questi vengono privati del polline (Raine e Chittka, 2007). Cioè significa che i tratti fiorali possono guidare l’evoluzione per la preferenza degli insetti di alcuni colori piuttosto che di altri. Tornando alle api, Schemske and Bradshaw (1999) hanno osservato che esse preferiscono i fiori grandi e con bassi livelli di antocianine (pigmenti blu-rossi) e carotenoidi (giallo-arancio), mentre i colibrì (uccelli che si comportano come gli insetti impollinatori ma che si nutrono anche di polline! Un esempio di convergenza evolutiva?) preferiscono i fiori ricchi di nettare e con alti livelli di antocianine. Il bello è che a seconda che prevalgano api o colibrì, i fiori sono sottoposti a una diversa selezione. Le mutazioni dei fiori considerate (spesso monogeniche) sarebbero quindi selezionate sulla base della prevalenza di un impollinatore rispetto ad un altro.

5) Feromoni + vista. Molte orchidee imitano alla perfezione i feromoni femminili degli insetti impollinatori che, attirati dal profumo, si posano sull’orchidea e tentano di “accoppiarsi con essa”. Infatti i fiori delle orchidee imitano quasi alla perfezione l’addome della femmina dell’insetto impollinatore. Così il maschio si lancia sul labello dell’orchidea (un petalo modificato che funge quasi da pista di atterraggio per l’impollinatore) e tenta di accoppiarsi. Il labello, a questo punto, si capovolge, portando il maschio dell’impollinatore proprio nelle sacche del polline, che ricopre la vespa.



Video 2. L’incredibile varietà degli insetti impollinatori.
Gli studi della co-evoluzione piante-impollinatori sono ancora all’inizio e non si sono ancora raggiunte conclusione definitive, semmai ce ne siano in campo scientifico. Una delle teorie più accreditate, ma lungi dall’essere completamente dimostrata, è il modello concettuale di Grant–Stebbins. In poche parole, il modello afferma che se partiamo da due diversi impollinatori (A e B) e due popolazioni di una stessa specie vegetale (C), e per qualsiasi motivo A comincia a frequentare una popolazione e B un’altra, essi indurranno diverse pressioni selettive sulle due popolazioni, al punto tale che esse si isoleranno sempre più dal punto di vista riproduttivo, fino a formare due nuove specie vegetali (D e E). La struttura della comunità delle specie di impollinatori diventa così una delle maggiori cause di speciazione nelle piante. Si potrebbe così spiegare l’enorme radiazione delle Angiosperme (piante a fiore), che ammontano oggi a più di 250.000 specie. Se a tutto questo aggiungiamo anche l’influenza degli insetti, quali le formiche “scaccia-fitofagi”, che interagiscono con le altri componenti del sistema, e l’influenza dei fattori ambientali elencati prima, il quadro diventa a dir poco irrisolvibile!

Il tasso di secrezione di nettare risulta essere costante fino al raggiungimento di una specifica quantità di secreto; raggiunto tale livello, il fiore cessa la propria attività secernente, almeno fino alla rimozione del nettare da parte di un impollinatore. La cessazione della secrezione da parte del fiore avviene una volta che esso è stato impollinato e fecondato. Nel caso ciò non avvenga, la secrezione cessa al termine della antesi. La produzione di nettare e il suo eventuale riassorbimento hanno un alto costo energetico per la pianta; per tale ragione è poco comune da parte dei fiori il riassorbimento del nettare secreto. Nonostante ciò vi sono alcune specie vegetali che riescono a modulare la viscosità del proprio nettare mediante rilascio o riassorbimento di zuccheri.

Alla base dell’origine della secrezione del nettare agiscono complessi processi. I fattori che influiscono sulla secrezione nettarifera sono interni, collegati all’anatomia, alla fisiologia e alla genetica della pianta (Hampton et al., 2010; Radhika et al., 2010), altri esterni, di notevole importanza poiché suscettibili di ridurre o favorire la secrezione nettarifera, fino a divenire fattori limitanti, quali temperatura, vento, umidità, altitudine, irraggiamento solare, ecc. Vi sono, quindi, piante poco o niente nettarifere e piante normalmente considerate nettarifere che secernono più o meno nettare. Infine, alcune piante secernono il nettare per tutta la giornata, mentre altre solo al mattino o alla sera (ad esempio, i fiori dello zucchino durante l’estate sono nettariferi solo fino alle 10 del mattino). Naturalmente, le api, potendo scegliere, preferiscono i fiori che possono offrire le maggiori quantità alla concentrazione più elevata.



Video 3. Impollinazione delle orchidee.

Può anche accadere che un fiore, pur essendo nettarifero, sia troppo corto e quindi che l’apparato boccale delle api non riesca a raggiungere il nettare. Talvolta, per ovviare a questo inconveniente, le api riescono a succhiarlo dall’esterno. Normalmente, più un fiore viene visitato e più nettare produce. Quando un fiore viene visitato, viene marcato con una sostanza repellente che le api sono in grado di individuare in volo e questo permette di lasciar passare un certo lasso di tempo tra una bottinatura e l’altra.

L’apparato boccale masticatore-succhiatore delle api, altamente specializzato, consente di succhiare il nettare. La muscolatura della faringe con la dilatazione e la contrazione della cavità pre-orale che funge da pompa, consente il risucchio del nettare o il suo rigurgito. Il liquido così succhiato giunge alla borsa melaria, che consiste in una dilatazione dell’esofago dove viene accumulato. Si calcola che per trasportare un litro di nettare sono necessari almeno 25.000 viaggi!!! La borsa melaria è separata dal resto del canale digerente da una valvola speciale che ha la funzione di far passare nell’intestino vero e proprio solo la quantità di nettare necessaria all’alimentazione dell’ape, e di filtrare il nettare dalle impurità che potrebbe contenere.

Il nettare che sgorga dai nettàri è in stretta relazione con la linfa elaborata dai vasi cribrosi (succo floematico), con cui i nettàri sono in collegamento. La composizione del nettare è simile per quanto riguarda i costituenti principali, quali acqua e zuccheri, a quella della linfa; tuttavia, il tenore in acqua è molto variabile, e quindi varia anche la concentrazione totale degli zuccheri, che oscilla tra il 5 e l’80%. La parte fondamentale del nettare è rappresentata dai carboidrati (saccarosio in primis), ma esso contiene anche aminoacidi, enzimi, sali minerali (potassio soprattutto), acidi organici, pigmenti, sostanze aromatiche e vitamine.

That’s all!

 

Grazie a loro ho scritto:


(le pubblicazioni elecate sono reperibili gratuitamente on-line sui siti delle riviste PNAS e PLoS ONE):

Goyret et al. (2008) Context- and scale-dependent effects of floral CO2 on nectar foraging by Manduca sexta. PNAS, vol. 105, no. 9:4565-4570

Hampton et al. (2010) Identification of Differential Gene Expression in Brassica rapa Nectaries through Expressed Sequence Tag Analysis. PLoS ONE, vol. 5, no. 1:e8782

Harder and Barrett (2006) Ecology and Evolution of Flowers. Oxford University Press, Great Clarendon Street, Oxford, UK

http://www.cactus-art.biz/note-book/Dictionary/Dictionary_N/dictionary_nectary.htm

http://www.storialibera.it/controevoluzione/selezione_naturale_03.php

Norgate et al. (2010) Ambient Temperature Influences Australian Native Stingless Bee (Trigona carbonaria) Preference for Warm Nectar. PLoS ONE, vol. 5, no. 8:e12000

Radhika et al. (2010) The Role of Jasmonates in Floral Nectar Secretion. PLoS ONE, vol. 5, no. 2:e9265

Riffell et al. (2008) Behavioral consequences of innate preferences and olfactory learning in hawkmoth–flower interactions. PNAS, vol. 105, no. 9:3404-3409

Rodríguez-Gironés and Llandres (2008) Resource Competition Triggers the Co-Evolution of Long Tongues and Deep Corolla Tubes. PLoS ONE, vol. 3, no. 8:e2992

Schemske e Bradshaw (1999) Pollinator preference and the evolution of floral traits in monkeyflowers (Mimulus). PNAS, vol. 96, no. 21:11910–11915

Strada (2011) “L’affascinante mondo della api”. Tesi di laurea, Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria, A.A. 2010/2011.

Trager et al. (2010) Benefits for Plants in Ant-Plant Protective Mutualisms: A Meta-Analysis. PLoS ONE, vol. 5, no. 12:e14308

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